Il rischio climatico nel settore bancario

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  Filippo del Monte Alia
  25 aprile 2023
  5 minuti, 27 secondi

Ad oggi le banche di tutto il mondo stanno venendo sottoposte a pressioni maggiori dal mondo politico, sociale ma anche economico, affinché anch’esse si impegnino al più presto per mitigare il rischio che il cambiamento climatico comporta per il pianeta e i conseguenti danni, potenzialmente disastrosi, al sistema economico e al benessere di milioni di persone. Infatti, un innalzamento incontrollato delle temperature sarebbe letale per una lunghissima serie di attività commerciali. Le perdite economiche derivanti da un fallimento, o comunque un danneggiamento, di questo gran numero di settori sarebbero colossali.

Il rischio climatico

Negli ambienti finanziari contemporanei si parla sempre di più di rischio climatico come di un elemento che le istituzioni bancarie di tutto il mondo devono imparare a gestire se non vogliono vedere andare in fumo miliardi di dollari. La gestione di tale rischio è uno dei compiti fondamentali di una banca e se non viene eseguito correttamente ne causa spesso il fallimento. Secondo un’analisi operata dalla società di consulenza finanziaria McKinsey&Company, circa il 15% del bilancio delle banche dell’UE è a rischio. Non sono da trascurare, inoltre, i costi di transizione che un’industria altamente nociva per l’ambiente dovrà attraversare in futuro.

Questo nuovo tipo di rischio, però, è solo una faccia della medaglia. Se da una parte, infatti, il mondo degli investimenti presenta nuove insidie, dall'altra stanno sorgendo delle nuove opportunità di guadagno che prima non si potevano immaginare. L’UN Adaptation Gap Report stima che i costi annuali di adattamento al cambiamento climatico ammonterebbero a circa 500 miliardi di dollari; una somma considerevole che potrebbe rappresentare un’opportunità nel caso in cui la si considerasse una domanda di investimenti in nuovi settori, infrastrutture o tecnologie proficui nel tempo.

Come siamo messi secondo la BCE

Allo stadio attuale la situazione non è affatto rosea e, per utilizzare il linguaggio della BCE, il bicchiere non è nemmeno mezzo pieno. Frank Enderson, membro del comitato esecutivo dell’ente, infatti, stima che il 96% delle banche UE non riescano a identificare correttamente questi nuovi fattori di rischio o non li identifichino affatto. Inoltre, anche se la maggior parte delle banche fa riferimento al cambiamento climatico nella documentazione legata alla propria strategia di investimenti, si tratta solo di una facciata che di rado sfocia in cambiamenti di strategia su vasta scala.

La BCE continua affermando che circa l’8% del portafoglio medio di una banca potrebbe trovarsi a rischio di default, un dato allarmante anche se inferiore a quello presentatoci da McKinsey&Company (15%). In uno studio che prende in esame 112 banche, con un asset combinato dai 24 ai 27 trilioni di dollari, conclude che metà di queste subiranno delle perdite dovute al clima. Delle banche esaminate, solo il 28% integra il rischio climatico nel proprio calcolo del rischio.

Insieme alla BCE anche altri enti bancari di notevole importanza, come la Federal Reserve e la Bank of England, stanno da anni enfatizzando il rischio posto dal cambiamento climatico.

Cosa si potrebbe fare? Una delle opzioni

Una legge universalmente riconosciuta e applicabile non esiste, però esistono numerosissimi report e analisi che suggeriscono nuove strategie agli enti bancari.

Uno di questi è stato stilato sempre da McKinsey&Company e si compone di due elementi di maggiore importanza. In primis, vi è la necessità di formare un apparato interno specificatamente designato alla gestione del rischio climatico, che deve essere considerato in tutti i tipi di attività di investimento di una banca, dai prestiti all’allocazione di capitali. In secondo luogo, occorre tenere conto degli eventuali danni provocati dal cambiamento climatico nei propri “stress test”, ovvero analisi di ipotetici scenari in cui si subiscono delle perdite, al fine di determinare la capacità della banca di far fronte a tali perdite.

Questi due elementi, insieme ad altri, sono poi organizzati in 3 tappe, realizzabili in un arco temporale che va dai 4 ai 6 mesi, in modo da sviluppare un approccio completo al problema in modo graduale. Come prima cosa, occorre designare un ufficiale, o comunque stabilire una sezione, che si occupi del rischio climatico. Successivamente, viene la parte metodologica, ossia lo sviluppo di una strategia e delle opportune metodiche, accumulando dati sulle possibili fonti di rischio, i possibili danni, effettuando i già menzionati stress test e così via. L’ultimo step è quello di integrare il rischio climatico in ogni processo decisionale dell’istituzione al fine di routinizzarlo e farlo diventare parte del sistema.

Queste sono soltanto delle linee guida generali e non sono le uniche formulate in materia. La BCE, infatti, ha già pubblicato una propria guida su come gestire al meglio questo problema.

Il problema dei dati

Una corretta gestione da parte di una banca del rischio climatico non può avvenire se non si possiedono dati attendibili e completi sul problema. La raccolta di dati è proprio il punto più spinoso della questione, nonché quello più importante in quanto permette di vedere o prevedere il fattore di rischio e correre ai ripari.

I dati più rilevanti da raccogliere, come si può immaginare, sono quelli riguardanti le emissioni di gas serra, fondamentali, non solo per una corretta gestione del rischio, ma anche per il raggiungimento di un’impronta climatica neutrale entro il 2050. L’idea dietro alla raccolta di questo tipo di dati è che più alto è l’impatto climatico di un’azienda o di un progetto in cui una banca ha investito, maggiore è il rischio di perdite a causa degli elevati costi di transizione di tale industria o progetto. Una maggiore consapevolezza dei costi di transizione, inoltre, consentirebbe di trasformare un danno in un guadagno, investendo in nuovi settori che permettano di ridurre l’impatto climatico e di ottenere anche importanti profitti.

I rischi comportati dai costi di transizione, tuttavia, sono solo uno dei tanti rischi che il cambiamento climatico comporta in termini di danni economici. Una banca deve anche considerare il rischio che un disastro naturale, o un semplice innalzamento della temperatura media, comporta per un’attività in cui ha investito: è il caso, per esempio, di attività agricole su vasta scala, esposte ad un clima sempre più anomalo. Col tempo, non solo gli istituti bancari, ma tutte le attività umane dovranno mettere in conto di essere sempre più esposte ai danni derivanti dal cambiamento climatico.

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Fonti utilizzate per l’articolo:

https://unsplash.com/it/foto/W...

https://www.mckinsey.com/capabilities/risk-and-resilience/our-insights/banking-imperatives-for-managing-climate-risk#/

https://www.bloomberg.com/professional/blog/climate-risk-data-challenges-facing-the-banking-sector/

https://www.ecb.europa.eu/press/blog/date/2022/html/ecb.blog221102~7599e5851e.en.html

https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ssm.pr201127~5642b6e68d.en.html

https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/ssm.202111guideonclimate-relatedandenvironmentalrisks~4b25454055.en.pdf

https://www.bankingsupervision.europa.eu/about/climate/html/index.en.html

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2022/en_Siani_banche_e_imprese_24_novembre_2022.pdf?language_id=1

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