Il risveglio dell'Europa geopolitica è un fatto reale?

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  22 marzo 2024
  9 minuti, 15 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

C'è un accordo quasi unanime fra Stati e i più affermati movimenti d’opinione sul fatto che la brutale invasione russa dell'Ucraina abbia catapultato a tempi da record l'Unione Europea verso una maggiore assertività in politica estera e unità in campo geopolitico. La guerra ha sbloccato in pochi netti progressi la politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea (UE) rispetto a quanto non sia stato realizzato nei decenni precedenti.

Tuttavia, i progressi dell'UE possono qualificarsi come geopolitici solo se viene utilizzata una nozione limitata di tale concetto: è un dato di fatto che l'unità tra i paesi alleati si è sensibilmente rafforzata tra gli Stati membri su alcune questioni fondamentali, mentre su altre si è frammentata. Di sicuro sono stati fatti molti passi avanti, ma per ora non si intravede la nascita di una forte geostrategia unica ed europea ben strutturata e radicalmente nuova, specie nella prassi e dialettica politica quotidiana. In effetti, l’evento bellico invita ipso facto a un logica meno agevole sul ruolo e l'identità operativa globale dell'UE, specie in questioni geostrategiche.

La necessità di decomprimere la risposta

Il tono dei dibattiti interni all'UE è stato unitariamente positivo. Stavolta, gli Stati membri dell'UE si sono uniti in un fronte unito contro l’aggressione militare russa. L'esitazione iniziale è durata davvero poco, ma hanno ugualmente fornito enormi quantità di armamenti all'Ucraina. Hanno concordato e rispettato severe sanzioni contro la Russia, accolto decine di migliaia di rifugiati ucraini e si stanno muovendo a tappe forzate verso l'eliminazione totale delle importazioni del gas russo siberiano.

Non in ultimo, la maggior parte degli Stati membri ha assunto l’impegno di aumentare la propria spesa per la difesa fino ad un minimo pari al 2% del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL). Tuttavia, si sono posti chiari limiti alla risposta dell'UE: gli Stati membri hanno rifiutato di impegnarsi militarmente in maniera diretta per salvare l’Ucraina, visto come un paese europeo sovrano e ampiamente democratico, dall'occupazione russa. Numerose grosse aziende europee si sono ritirate dalla Russia, tutte di propria iniziativa piuttosto che a causa di sanzioni ufficiali della loro madrepatria.

Il ruolo esaustivo della geopolitica

La geopolitica è un termine da sempre anelato dai potenti della politica in quanto dotata senza eguali di analizzare e condizionare i processi decisionali, specie nella complessa e difficile gestione della politica estera.

Ma se il suo significato principale sta nella competizione e adeguatezza vertenti sulla configurazione geografica del potere, per il momento non ha preso molto in considerazione le reazioni dell'Unione Europea. Di per sé, l’aumento della spesa da parte dell’UE non è in alcun modo un atto di sovranità inteso in senso geopolitico: anche se l'UE avesse speso di più per la difesa precedentemente all’invasione, è improbabile che ciò avrebbe automaticamente portato gli Stati membri a intervenire operativamente in Ucraina.

Né l’affermare un obiettivo a lungo termine per ridurre la dipendenza dal gas russo è necessariamente un atto di potere geopolitico. A questo proposito, se l'UE agisce geopoliticamente dipenderà piuttosto da come utilizzerà la manovrabilità che acquisirà una volta raggiunta la totale autonomia energetica.

L’unanimità delle decisioni

L'Unione Europea ad unanimità ha imposto severe sanzioni alla Russia, ma altrove nel mondo rimane cauta nell'utilizzare la stessa misura come strumento di geopolitica, o più semplicemente di potere internazionale. Così come il brusco cambiamento di politica nei confronti della Russia potrebbe non tradursi obbligatoriamente in importanti cambiamenti di strategia verso altri paesi con analogo quanto dispotico sistema autoritario. Dunque, la guerra in Ucraina potrebbe rivelarsi più come un'eccezione che una regola di stretta osservanza e di lunga durata.

La crisi ha galvanizzato il coordinamento politico europeo sulla propria capacità di difesa e nel contempo ha potenziato il ruolo decisionale e la leadership militare degli Stati Uniti nelle questioni di sicurezza europee. Se l'autonomia strategica riguarda in parte la necessità dell'UE di agire quando gli Stati Uniti si rifiutano di farlo, è veramente difficile vedere come questo concetto – attualmente ancora teorico - possa adattarsi al contesto della brutale invasione russa e alle sue conseguenze così distruttive per l’assunto livello continentale.

La moderazione dell'UE deriva per un verso da prudenti e virtuose valutazioni di ordine strategico ma anche dalla carenza di una volontà politica corale e univoca. Per molti anni, l’analisi ed il discorso geopolitico dell'UE hanno preceduto la sua operatività nel suo vicinato orientale. Piuttosto che il conflitto che provoca un cambiamento radicale nella geostrategia dell'UE, c'è molta continuità ben evidente. Ci sono echi di come l'UE ha risposto all'annessione della Crimea da parte della Russia e alle azioni nell'Ucraina orientale dal 2014.

Apertis verbis, gli Stati membri più grandi rimangono decisamente riluttanti a fornire garanzie totali, dirette e durature di sicurezza all'Ucraina e perseguono di gran lunga una sorta di accordo raggiunto pacificamente – per quanto improbabile - nell’ambito di un negoziato diretto con la Russia.

Sorge una nuova inquadratura

Al momento attuale, non c'è tanto una svolta geopolitica da parte dell'UE quanto un altro passo più sostenuto nell'evoluzione dei suoi quadri strategici già esistenti. Al di là delle singole misure adottate dopo l'invasione dell'Ucraina, vi sono solo modeste indicazioni che l'UE stia intraprendendo una nuova direzione procedurale, secondo il modo col quale affronta le sfide internazionali. E in quest’ultima in particolare.

Da alcuni anni cresce una curiosa dissonanza all'interno dei dibattiti interni sulla politica estera e di sicurezza dell'UE: quasi tutti i documenti e deliberati politici ufficiali, i discorsi ministeriali, gli editoriali, le pubblicazioni di think tank o gli articoli di giornale ripetono la linea secondo cui l'UE deve come può aumentare il suo livello di ambizione in politica estera.

E’ caratteristico e positivo il fatto che in tutti predomina una posizione uniforme secondo la quale l'UE deve impegnarsi a esercitare maggiore potere politico e molto più potere geopolitico nel mondo.

Attualmente, l'Unione Europea ha sempre più inteso la politica estera in senso liberale all’insegna del ridimensionamento dei conflitti e della prudenza procedurale: una tendenza guidata da molteplici fattori, tra cui la cura dei vincoli reciproci sulla politica interna, la compressione delle risorse finanziarie e un maggiore focus sulla cautela e moderazione nelle concezioni di ordine strategico.

La geopolitica dell’UE nel mondo

Gli aiuti allo sviluppo dell'UE sono relativamente stabili, ma rappresentano una quota bassa e in calo del PIL degli Stati beneficiari, mentre i donatori non occidentali aumentano i loro finanziamenti esterni in modo più deciso.

Sul piano del quadro geopolitico mondiale, l'Unione europea è stata in buona parte rimpiazzata dalla Cina nel continente africano e in America latina. Attualmente non ha strategie particolarmente degne di nota in nessuna delle due regioni per invertire questa tendenza.

Fa contrasto che in alcune parti del Medio Oriente, la Russia ha messo da parte gli stati europei nonostante la sua davvero limitata forza economica: è sufficiente considerare che detiene un PIL inferiore a quello dell’Italia.

I flussi di investimenti esteri dall'UE hanno raggiunto il picco alcuni anni fa e la politica commerciale dell'Unione si sta ora trasformando maggiormente in politica industriale interna.

Il ritmo della firma nell’ambito di nuovi accordi commerciali è ultimamente rallentato, mentre il cosiddetto "effetto Bruxelles" viene comunemente sia celebrato.

Con le sue rappresentanze più istituzionalizzate l'UE si è allontanata dall'azione esterna centrata sull'esportazione all'ingrosso delle sue regole verso forme più leggere - ma non meno insidiose - del dialogo diplomatico.

La risposta dell'UE all'invasione russa dell'Ucraina non solo si adatta a questa tendenza, ma ha amplificato sino ad alcuni mesi fa la dissonanza praticata de facto tra la sua retorica e le sue azioni reali.

Tuttavia, come indicato sopra, le principali decisioni politiche dell'UE sono state guidate dal desiderio di non essere direttamente coinvolti, di non avere la responsabilità di integrare rapidamente l'Ucraina e di non dover gestire interdipendenze internazionali profondamente e incautamente intrecciate.

I dibattiti sull'azione esterna dell'UE potrebbero trarre maggiore vantaggio dall'essere più fondati sulla valutazione e la spiegazione di queste tendenze difensive.

Ad esempio, sarebbe utile porre quesiti più approfonditi sul rapporto tra tutti i filoni abitualmente elencati di maggiore ambizione dell'UE.

In una situazione così ingarbugliata e complessa, il completamento di un’analisi più articolata e attenta richiede necessariamente la risposta, non scontata, ad alcuni interrogativi cruciali.

Spingere per una maggiore sovranità europea è sicuramente sinonimo di un maggiore potere anche in senso geopolitico?

Quando i leader nazionali sottolineano i rischi dell'interdipendenza sono presi sul serio solo quando poi promettono nuovi partenariati e/o accordi commerciali dell'UE in tutto il mondo?

Una transizione veramente verde richiede una diminuzione di alcuni aspetti dell'impronta globale dell'UE, nonostante le ampie affermazioni contrarie, ma solo alla stampa non aggiornata?

L'attenzione dell'UE sulla geoeconomia rischia di oscurare le sue pretese nella complessa e spesso contraddittoria materia geopolitica? Tuttavia, un maggiore utilizzo operativo del potere e della sovranità europea a volte potrebbe scontrarsi con la costruzione di partenariati genuinamente co-modellati e reciprocamente vantaggiosi con altre società? Le risposte a tali domande così fondamentali e attese possono rivelare che l'UE nel suo complesso deve essere più selettiva e determinata nel dove e nel modo in cui incrementare la sua ambizione sul piano internazionale. Approfondire questa prospettiva potrà essere concettualmente più appropriato che ricorrere a teoremi unidimensionali sulla necessità di un'Europa collocata in un ambito più globale.

Il rischio c’è e dev’essere analizzato in quanto potrebbe accadere che l'UE rimanga bloccata in una sorta di terra di nessuno ma tuttavia di importanza strategica: infatti in tale condizione perderebbe la sua convinzione e fiducia nei valori liberali relativi alla serenità politica e sicurezza senza dover però sostituirli con una piena mobilitazione di quel potere geopolitico che sarebbe in grado di possedere ed esercitare.

I diplomatici dell'UE probabilmente metterebbero in discussione questa critica e risponderebbero elencando tutte le nuove politiche che sono in cantiere per rafforzare il potere dell'Unione di fronte all'invasione dell'Ucraina e per garantire che abbia un'impronta globale più pesante.

Il cambiamento strategico

È necessaria una variazione del paradigma di riferimento in termini di dialettica sulla presenza internazionale dell'UE. Piuttosto che semplicemente proclamare e celebrare la sua nuova unità e il suo scopo, un dibattito più utile si dovrebbe concentrare anche sugli intricati equilibri tra diversi tipi di interessi e priorità individuali.

Alla fine, l'UE dovrà comunque decidere se e come perseguire un potere più globale e allo stesso tempo accettare gli immancabili rischi che questo comporta nelle situazioni di crisi conflittuale. Il punto finale è che, anche se l'Unione europea sta potenziando la sua azione esterna in alcuni settori, compreso quello militare, la sua aspirazione deve anche essere radicata in ciò che è politicamente e concretamente realizzabile.

Una serie più variegata di idee strategiche contribuirebbe a generare un dibattito maggiormente fondato sul ruolo dell'Europa negli affari globali. La guerra in Ucraina richiede questo più che celebrazioni retoriche di risvegli geopolitici, con il rischio che poi risultino illusori.

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