La famiglia Donnagemma è una famiglia di origini italiane, Vanni, Elisa e i loro cinque figli hanno sempre vissuto in giro per l’Europa grazie al lavoro di Vanni e nel 2006, a seguito di un’importante opportunità professionale nel settore petrolifero per una compagnia italiana, si spostano a Perth, in Western Australia inizialmente per un contratto a tempo determinato di due anni, ottenendo così il visto lavorativo che permetteva all’intera famiglia di vivere in Australia, pur non godendo però degli stessi diritti dei cittadini permanenti.
La decisione di restare in pianta stabile in Australia arriva dopo che Vanni ottiene un rinnovo dell’assunzione per altri tre anni e la famiglia Donnagemma decide di restare definitivamente in Australia per garantire la continuità scolastica ai loro figli, in particolare gli ultimi due, gemelli: Matteo e Benedetta. Da qui inizia il loro percorso per l’ottenimento della residenza permanente ma allo stesso modo iniziano a sorgere degli ostacoli da parte del Dipartimento dell'Immigrazione e della Cittadinanza (DIAC) australiano.
In Australia il sistema di immigrazione dipende dal tipo di visto che si richiede o si riesce ad ottenere una volta arrivati lì, inoltre per la maggior parte dei visti permanenti e per i visti di ingresso temporanei viene richiesto a chi fa domanda per il visto di sottoporsi a una valutazione dello stato di salute. Le valutazioni sanitarie vengono effettuate sulla base di una serie di criteri legati alla durata del soggiorno, allo scopo della visita e al tipo di visto richiesto. Il visto del padre Vanni era un visto temporaneo per lavori qualificati dipendente quindi dal suo contratto di lavoro, soprattutto grazie all’alta professionalità del suo mestiere, che rendeva possibile garantire la permanenza in Australia anche a tutti i membri della sua famiglia a suo carico, moglie e i 5 figli. Inizialmente l'azienda supportava l'avviamento per le pratiche di ottenimento della residenza permanente ma quando hanno scoperto che Benedetta, l'ultima dei suoi figli era affetta da una mutazione genetica hanno fatto un passo indietro.
Il rinnovo del visto per i membri della famiglia non è uguale per tutti, i figli maggiori e in età scolare riuscivano più facilmente ad ottenere il visto mentre Benedetta, riceveva sempre un visto di una durata inferiore rispetto ai suoi fratelli e a sua madre. Questo perché l’Australia considera le persone con special needs, anche minorenni, come un costo maggiore sulla spesa sanitaria del paese.
In generale, Elisa, Vanni e i loro figli hanno vissuto in Australia sempre come dei cittadini di serie B, nonostante pagassero più tasse rispetto ai residenti permanenti non hanno mai avuto diritto ai numerosi servizi dedicati ai bambini con special needs, a partire anche dalle scuole con percorsi e programmi formativi dedicati. Queste scuole sono pubbliche per i cittadini australiani mentre per loro, non avendo la residenza permanente, erano a pagamento e neanche del tutto garantite: nel caso in cui anche a lezioni inoltrate si fosse raggiunto un numero elevato di iscritti Benedetta, come gli altri bambini senza residenza permanente, sarebbe stata mandata via per lasciare il posto ad un cittadino australiano. La famiglia Donnagemma non ha mai potuto godere di tutta una serie di servizi come l’accompagnamento del disabile, i servizi di trasporto e di ricreazione destinati ai bambini e ragazzi con bisogni speciali.
Dopo i primi cinque anni a Perth, Vanni viene assunto da una compagnia australiana la quale agevolava le pratiche di ottenimento del visto sia per lui che per i familiari a carico inclusa Benedetta, che in ogni caso ogni due anni veniva sottoposta a controlli medici da parte del DIAC e dal medico del Commonwealth. Inizialmente, il beneficio che Vanni, grazie al suo lavoro, apportava al governo australiano in termini di reddito veniva considerato maggiore rispetto ai costi che il governo valutava per la figlia Benedetta. In realtà però Vanni ed Elisa non hanno mai potuto richiedere la residenza permanente perché essendo Benedetta a carico loro e dunque legata al loro visto, oltre a creare problemi per il rinnovo, impediva, secondo la legge australiana, l’ottenimento della residenza permanente.
“"Noi non ci siamo inventati un modo per restare, siamo sempre stati considerati un vantaggio per il governo australiano grazie alle skills di Vanni, fin quando non ha perso il lavoro."
”
- Elisa D.
La crisi che ha seguito la pandemia da COVID-19, nonostante le importanti misure restrittive attuate dal governo australiano è comunque arrivata a colpire diversi settori comportando il fallimento di numerose aziende e il conseguente licenziamento di un numero notevole di lavoratori, tra questi il signor Vanni.
A seguito di questo licenziamento Vanni ha avuto del tempo per poter cercare lavoro ma con l’avvicinarsi della scadenza del loro permesso di permanenza in territorio australiano non tutti i datori erano disposti a rinnovargli il visto lavorativo con una persona disabile a carico. A questo punto nel 2020, Vanni ed Elisa decidono di intraprendere un percorso giudiziario che gli avrebbe permesso di ottenere l’intervento del Ministro che è l’unico a poter ragionare al di là della legge. Per fare ciò era necessario che perdessero la causa due volte in tribunale. La prima sentenza del giudice emessa a seguito del primo appello in tribunale nel 2020 arriva due anni dopo, nel 2022, stabilendo che Benedetta non avrebbe mai potuto ottenere la residenza permanente poiché erano stati attribuiti dal medico del Commonwealth dei costi medici che in realtà non esistevano in quanto le spese sanitarie di cui aveva bisogno erano pagate privatamente. Una volta ottenuta la prima sentenza del giudice nel maggio 2022 per continuare l’iter giuridico e arrivare al ministro, la mamma Elisa ottiene un visto studenti, intanto, che il marito era riuscito ad ottenere il bridging visa, ovvero un visto temporaneo di passaggio da una tipologia di visto ad un’altra. Il visto per studenti di Elisa avrebbe garantito il visto anche per i figli minorenni, che copriva anche Matteo, ma non Benedetta. Ciò voleva dire che Benedetta doveva tornare “a casa” in Italia, anche se era nata in Olanda e cresciuta in Australia, e non ha mai percepito l’Italia come casa sua. La famiglia si presenta quindi per la seconda volta in tribunale, sostenendo che la ragazzina non avesse alcun costo sul sistema sanitario del paese e denunciando l’errore che il DIAC aveva commesso inserendo delle patologie false che ovviamente aumentavano il costo stimato dal medico del Commonwealth. Se la bambina non supera il test a cui viene sottoposta per restare, la famiglia ha 38 giorni per lasciare l’Australia. Tale test tiene in considerazione il costo potenziale che un migrante può avere sul sistema sanitario, ritenendo dunque che un bambino disabile possa essere un costo elevato; il sistema sanitario australiano preferisce non supportarlo. Non è la prima volta che il Dipartimento si comporta in maniera anomala, prendendosi la libertà di dichiarare il falso su cui è impossibile contestare in quanto nessuna sentenza una volta scritta può essere modificata ma solamente annullata.
“"I costi che l’immigrazione comporta per chi come noi la subisce sono parte del bilancio statale."
”
- Vanni D.
La situazione si complicò ulteriormente quando Elisa si rese conto che, mentre lei aveva fatto richiesta per un visto di due anni per Benedetta, il DIAC l’aveva calcolato per 5 anni, aumentando quindi i costi e negandole il visto. A questo punto, in tribunale il giudice si rende conto degli errori e Benedetta riesce quindi a ottenere l’approvazione per l’ottenimento del suo visto fino a marzo 2023. Loro sono riusciti a fare tutto ciò in virtù della loro esperienza mentre un’altra persona si sarebbe vista con le spalle al muro e costretta al rimpatrio.
Per questo motivo Elisa e Vanni avevano lanciato una petizione lo scorso maggio per far sapere a tutti che dopo 17 anni in Australia il sistema rischiava di separare la loro figlia dai suoi fratelli e che, è da quando sono lì che con ricorrenza quasi annuale fanno richiesta per diventare cittadini australiani e ottenere la residenza permanente, vedendosela però negata a causa della disabilità della figlia e, con il passare degli anni, anche per il requisito dell’età che per ottenere la residenza permanente non deve essere superiore a 50 anni. Adesso Vanni è stato assunto da un’importante azienda decisa nell’aiutarli ma soprattutto decisa nel supportarli insieme ai politici locali per far sì che nuove regole riguardo la permanenza di persone disabili vengano stipulate.
Vanni ed Elisa hanno fatto tutto da soli, dopo l’annullamento del processo a causa degli errori commessi dal medico del Commonwealth hanno ripetuto tutte le visite mediche per Benedetta privatamente, non hanno ricevuto sostegno da alcun tipo di associazione in quanto non essendo cittadini australiani non gli spettavano. Il loro caso è un caso forte ed è per questo che si trovano ancora lì, rispettando le leggi ma anche subendo gli errori grossolani che l’immigrazione ha compiuto nei loro confronti durante gli anni. È anche per ciò che da quando il governo australiano ha minacciato di mandare in Italia la loro figlia, Benedetta, hanno deciso di accogliere inviti da parte di politici, giornalisti e trasmissioni locali per raccontare la loro storia ma soprattutto affinché non venissero mandate via delle famiglie a causa di questi errori burocratici commessi dal DIAC, il quale si limita a osservare il caso in maniera distaccata e senza tenere conto di aspetti interni fondamentali. L’Australia è un paese giovane e progressista specialmente dal punto di vista delle disuguaglianze ma sulla questione dell’accoglienza di migranti con disabilità rimane arretrato facendo ricadere la colpa di tale arretratezza sui costi del paese.
La disabilità è considerata un peso per i contribuenti e un ostacolo all’ottenimento della residenza permanente per la famiglia, un sistema che è stato criticato in quanto ingiustamente discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità.
Difatti, il Migration Act del 1958, che è la legge ancora in vigore , è uno dei pochi atti legislativi in Australia per cui è giustificato discriminare le persone in base alla loro disabilità. Anche se con modifiche significative rispetto allo statuto originale contiene un elenco di malattie prescritte che escludono le persone dalla migrazione. Oltre alla legge, nel 1989 sono stati introdotti i Regolamenti sulla migrazione, che prescrivevano nuovi criteri sanitari ed eliminavano ogni riferimento alle malattie prescritte, ad eccezione della tubercolosi. I regolamenti sulla migrazione sono stati aggiornati nel 1994 e hanno introdotto tre criteri di interesse pubblico:
- proteggere la comunità australiana dai rischi per la salute e la sicurezza pubblica;
- contenere la spesa pubblica per l'assistenza sanitaria e i servizi comunitari;
- salvaguardare l'accesso dei cittadini australiani all'assistenza sanitaria e ai servizi comunitari che scarseggiano.
In generale, le famiglie possono essere espulse se le autorità affermano che le spese mediche e comunitarie supereranno i 49.000 dollari in dieci anni. Questa cifra copre potenzialmente quasi tutte le condizioni mediche gravi ma Benedetta, come tanti altri bambini, non necessitava di particolari cure speciali se non le cure pediatriche di base. Fortunatamente oggi si trovano ancora in Australia, grazie all’intervento di diversi politici a seguito della petizione lanciata da Vanni ed Elisa, pur restando sempre a rischio espulsione a causa dei criteri discriminatori per l’ottenimento della residenza permanente.
“"Noi tutto questo non l’abbiamo fatto solo per la nostra famiglia, ma anche per tutta l’Australia che è un paese che amiamo e dove vogliamo continuare e vivere insieme ai nostri figli."
”
- Vanni D.
Nel 2010, il Comitato australiano permanente sulla migrazione ha presentato il rapporto sull'inchiesta sul trattamento della disabilità in ambito migratorio, intitolato Enabling Australia: Inquiry into the Migration Treatment of Disability. Questa inchiesta ha affermato che il requisito sanitario è discriminatorio in quanto stabilisce standard di salute che i disabili non soddisfano o non possono soddisfare. Inoltre, le leggi sanitarie discriminatorie sulla migrazione concepite per proteggere la salute pubblica dei residenti permanenti si estendono anche al diritto internazionale. L'Australia mantiene i suoi requisiti sanitari nella legge e nella politica anche se ciò non rispetta la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) delle Nazioni Unite che il governo australiano ha ratificato, ignorando le raccomandazioni del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Sebbene il governo australiano abbia apportato alcune modifiche alla politica sanitaria in materia di visti per le persone con disabilità e condizioni di salute, a seguito della richiesta da parte delle Nazioni Unite di rendere le sue regole sull’immigrazione più eque e meno restrittive in merito alle politiche sanitarie in materia di migrazione, finora non sono state attuate riforme legislative e politiche fondamentali. Ma la cosa grave è che l’Australia possiede un Discrimination Act il quale è finalizzato a impedire che avvengano discriminazioni di ogni genere nella vita pubblica dei cittadini, da cui gli immigrati sono esclusi e anzi, la fiscalità con cui vengono misurati i parametri che consentono l’ottenimento della residenza permanente da parte del DIAC si trovano all’interno di tabelle rigide e non adattate al singolo caso che escludono quindi la permanenza di una ragazzina come Benedetta, cui nucleo familiare è composto da 7 persone di cui tutte contribuiscono all’economia e alla società australiana e che quindi sopperiscono il vuoto che apparentemente creerebbe all’interno del sistema. C’è anche da notare che a seguito della petizione lanciata dalla famiglia Donnagemma, le interviste in televisione e i ricorsi al giudice i politici attuali si stanno anche adoperando per discutere alla camera sull’applicazione del Discrimination Act e sulla ridefinizione dei parametri da utilizzare per valutare il rilascio del visto permanente. La società australiana in generale è una società inclusiva, i genitori riferiscono di essere sempre stati accolti e sostenuti dalla comunità, con la quale hanno condiviso la loro vita e la crescita dei loro figli, uno dei motivi principali per il quale hanno preso la decisione di crescere la propria famiglia lì, dove anche per persone affette da disabilità come Benedetta possono essere incluse nella società attraverso i percorsi formativi dedicati che puntano all’inserimento di questi ragazzi all’interno del mondo lavorativo.
“"Per noi è sempre stato difficile perché noi seguiamo la legge, anche se seguendola perdi tanti anni."
”
- Vanni D.
“"Adesso stiamo aspettando che approvino il visto perché abbiamo fatto tutte le visite richieste e Benedetta gode di ottima salute, Vanni lavora ed io, insieme a Benedetta e Matteo siamo dipendenti dal suo visto. Abbiamo davanti dai 2 ai 4 anni in cui dobbiamo trovare la soluzione per ottenere la residenza permanente, intanto si spera che gli altri ragazzi l’abbiano ottenuta. La sua vita (di Benedetta) siamo noi e suoi fratelli, un domani quando non ci saremo più cosa farebbe da sola in Italia lontano dai suoi fratelli?"
”
- Elisa D.
La prassi discriminatoria per l’ottenimento del visto continua a trattare in modo ingiusto le persone con disabilità e le famiglie come quella di Benedetta. La denuncia della famiglia Donnagemma è riuscita a far comprendere alle amministrazioni che per affrontare questo problema, è indispensabile una riforma legislativa che garantisca un sistema di migrazione non discriminatorio e l'allineamento con la legislazione internazionale, come stabilito dalla CRPD delle Nazioni Unite.
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Fonti utilizzate per il presente articolo:
Intervista condotta da Flora Stanziola con Vanni ed Elisa Donnagemma,
https://neda.org.au/fact-sheets/
Fonte immagine:
https://www.pexels.com/it-it/foto/mappa-dell-australia-68704/
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L'Autore
Flora Stanziola
Autrice da giugno 2022 per Mondo Internazionale Post. Originaria dell'Isola d'Ischia e appassionata di lingue e culture straniere ha conseguito nel 2018 il titolo di Dott.ssa in Discipline per la Mediazione linguistica e culturale. Dopo alcune esperienze all'estero e nel settore turistico, nel 2020 ha intrapreso la strada delle relazioni internazionali iscrivendosi al corso di laurea magistrale in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, appassionandosi alle tematiche relative alla tutela dei diritti umani. Recentemente ha concluso il suo percorso di studi con la tesi dal titolo: "L'Uganda contemporaneo: dalle violenze ai processi di sviluppo".
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disabilità Australia discriminazione