INSTABILITA’ NEL SAHEL: QUALI EFFETTI SUGLI INTERESSI CINESI?

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  Aurelia Maria Puliafito
  07 novembre 2023
  4 minuti, 5 secondi

Mali, Guinea, Burkina Faso, Niger, Ciad e Gabon sono le otto ex colonie francesi che, negli ultimi tre anni, hanno visto i propri regimi rovesciati da una serie di colpi di stato, i cui effetti, è evidente, non si limitano soltanto a creare instabilità nella già fragile area del Sahel. In occasione del golpe in Gabon, ultimo in ordine di tempo - che ha portato alla fine del decennale governo della famiglia Bongo sul Paese - l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josepp Borrell ha dichiarato che quanto accaduto rappresenta “un grosso problema per l’Europa”, sostenendo dunque la necessità di mantenersi vigili nell’osservare l’evoluzione degli eventi. Altrettanta attenzione viene riservata da un attore internazionale di spicco, i cui interessi strategici, politici ed economici nei confronti del continente africano sono enormi. L'attore di riferimento è la Cina, superpotenza globale che, nel corso degli ultimi due decenni, ha sviluppato sensibilmente la sua relazione con il continente africano: il solo volume dello scambio commerciale è passato dagli 11 miliardi di dollari del 2000 ai 254 miliardi del 2022 e la percezione popolare in merito alla presenza cinese nel continente è complessivamente positiva agli occhi dei cittadini africani, come rilevato dall’Afrobarometro.

CINA ED AFRICA, UNA RELAZIONE PROFICUA

I progetti della Cina in merito alle possibilità di sviluppo ed approfondimento dei legami con l’Africa, oggetto di interesse della Repubblica popolare sin dalla sua fondazione, si sono concretizzati da circa trent’anni attraverso un proficuo do ut des: ai cospicui investimenti nelle infrastrutture da parte di Pechino è corrisposta l’opportunità di approvvigionarsi di preziose materie prime e l’altrettanto prezioso sostegno politico e diplomatico offerto dalla controparte africana.

Nel gennaio del 2006 le ambizioni cinesi vennero ulteriormente specificate ed aggiornate in un documento programmatico, intitolato “La politica della Cina in Africa”, in cui si sottolineavano le affinità tra i due attori ed il comune interesse allo sviluppo ed alla sicurezza. La presenza del gigante asiatico si è fatta sempre più ingombrante e tentacolare negli ultimi dieci anni, ovvero a partire dal lancio ufficiale, nel 2013, della Belt and Road Initiative (BRI), meglio nota come nuova Via della Seta. La realizzazione di questo faraonico progetto - in cui la Cina dovrebbe investire complessivamente più di mille miliardi di dollari - ha ulteriormente stimolato la presenza cinese sul territorio africano attraverso l’invio di cospicui contingenti militari nelle aree interessate da operazioni di peace keeping delle Nazioni Unite (l’ottanta per cento dei soldati cinesi impegnati in simili operazioni opera, per l’appunto, in Africa). La presenza di osservatori vigili in loco risulta essere indispensabile anche per garantire sicurezza alle centinaia di migliaia di cittadini cinesi presenti nel continente africano. L'azione dell’Esercito di Liberazione Popolare (Elp) è tutt’altro che limitata alle sole missioni promosse dall’Onu: in Gibuti, piccolo stato del Corno d’Africa, (strategico in virtù della sua collocazione nell’intersezione di vitali passaggi marittimi, in particolare per il flusso di petrolio) Pechino ha inaugurato nel 2017 la sua prima base militare all’estero. Il corridoio di Stati subsahariani che collegano il Gibuti alla costa occidentale rappresenta, difatti, un obiettivo vitale agli occhi di Pechino al fine di poter inaugurare una seconda base militare che affacci sull’Oceano Atlantico, sottolinea Limes.

Ma i colpi di stato nella regione del Sahel impongono una fase di stallo alla penetrazione cinese, ed una attenta riflessione su quali debbano essere le mosse più efficaci per garantire la stabilità dei rapporti nell’area.

Come sottolineato dal giornalista Jevans Nyabiage del South China Morning Post, Pechino, disinteressata alle ideologie politiche ed in generale alla natura dei regimi che governano gli Stati oggetto di suo interesse per tessere le trame della propria espansione globale, vuole camaleonticamente adeguarsi alla realtà e stringere solidi legami con le giunte militari attualmente al potere. Questi sono indispensabili al fine di ampliare ulteriormente l’estensione geografica della BRI ad esempio al Mali, importante esportatore di oro, al Sudan ed al Ciad, dove la Cina ha investito nel settore petrolifero, ma soprattutto a dare un nuovo e vigoroso impulso ai progetti esistenti, la cui realizzazione è stata già rallentata dalla pandemia da Covid 19. La Cina sta di fatto operando secondo “un modello di grande rischio, grandi profitti” secondo Paul Nantulya, analista specializzato nelle relazioni tra Cina ed Africa presso l’Africa Centre for Strategic Studies di Washington, ed è dunque mossa dalla consapevolezza della necessità di non arretrare in quello che è un percorso estremamente remunerativo sul piano economico e militare, seppur impervio ed instabile.

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Aurelia Maria Puliafito

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