Iran: continuano le rivolte e gli arresti, cominciano le esecuzioni

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  Melissa Cortese
  14 gennaio 2023
  4 minuti, 24 secondi

La morte di Mahsa Amini, studentessa curda di 22 anni, avvenuta a settembre 2022 mentre era in custodia della polizia morale di Teheran, ha scosso la Repubblica islamica dell’Iran da cima a fondo. Le proteste e gli scioperi che si sono propagati in numerose città – e in tutte le 31 province – persistono ancora oggi, coinvolgendo persone di ogni età, genere e classe sociale. Nonostante la sanguinosa repressione ancora in corso, con il passare delle settimane, i raduni si sono trasformati in rivolte di carattere trasversale che contestano non solo la violenza della polizia morale e la repressione delle libertà femminili, ma l’intero sistema della Repubblica islamica e la guida suprema Ali Khamenei.

Secondo un report della Human Rights Activists News Agency, il numero di morti tra i manifestanti ammonta attualmente a 520 mentre gli arresti sono più di 19.000. Infatti, la violenza del governo iraniano ha raggiunto il culmine a inizio dicembre, quando, a seguito di una condanna per il reato di moharebeh, cioè di inimicizia contro dio, sono stati impiccati Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard. A queste esecuzioni ne sono seguite altre due a inizio gennaio: attualmente sono 17 i manifestanti su cui pende la pena capitale. Inoltre, i processi in questione sono stati sommari e si sono tenuti a porte chiuse: secondo Iran Human Rights, le confessioni delle vittime sono state estorte. Le forze di sicurezza e il leader supremo hanno una forte e diretta influenza sui tribunali, che confezionano sentenze infondate ad hoc. Alla luce del peggioramento della situazione in Iran, è stata indetta d’urgenza una sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani – UNHCR – durante la quale è stato istituito un gruppo d’indagine che investigherà sulle violazioni dei diritti umani nel Paese. Si teme un’ondata di esecuzioni il cui scopo è terrorizzare la popolazione e porre fine al dissenso in Iran. Però, la stretta sui dissidenti indica che il regime islamico si trovi in seria difficoltà: le proteste non si placano.

Allora, quali sono i possibili scenari del proseguimento del conflitto tra manifestanti e regime? Il primo scenario è quello in cui il regime non cede ad alcun compromesso, non si apre alle riforme. Anzi, l’ayatollah riesce a placare le proteste intensificando l’uso della violenza da parte delle tre branche delle forze armate iraniane: esercito, polizia e guardie della rivoluzione. A quel punto, sarà da vedere se i manifestanti avranno ancora forza e coraggio per reagire e ribellarsi.

Un altro eventuale scenario vede il regime aprirsi ad alcune delle richieste di cambiamento, poiché i compromessi e le concessioni placherebbero le proteste senza arrivare alla destituzione di Khamenei e alla non desiderata rivoluzione dell’attuale apparato politico. Nel migliore dei casi, potrebbe essere indetto un referendum sulla modifica della Costituzione al fine di inserire limitazioni al potere del leader supremo – il quale oggi controlla forze armate, magistratura e Consiglio per il discernimento – ma l’Iran resterebbe una Repubblica islamica basata sul potere di istituzioni religiose, presidente e parlamento.

Nel terzo scenario possibile, secondo gli analisti, i manifestanti raccolgono il sostegno delle forze dell’ordine e dell’esercito. Tale traguardo aprirebbe la strada ad un completo rovesciamento del regime del leader supremo Khamenei e del presidente Raisi. In questo caso, resterebbe l’incognita dei futuri sviluppi dell’apparato politico del Paese: il potere politico nelle mani delle forze armate comporterebbe un avvicinamento all’Oriente in politica estera. Inoltre, un simile sviluppo porterebbe anche alla fine dell’accordo sul nucleare iraniano: una Repubblica militarizzata è incline alla deterrenza, la cui arma nucleare è il suo primo e più efficace strumento.

Ma, come si chiede il giornalista francese Pierre Haski, si può negoziare con Teheran mentre i manifestanti vengono uccisi? Da qui si apre una riflessione più ampia, su quanto sia giusto e utile discutere e cercare compromessi con dei leader che commettono crimini di guerra e calpestano i principi fondamentali dei diritti umani. Il 20 dicembre l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea, Josep Borrell, ha incontrato il Ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian. Catherine Colonna, Ministro degli Esteri francese, ha confermato di aver avuto, in questa occasione, un breve colloquio con il suo omologo iraniano per invitarlo a rispettare i diritti civili e politici nel suo Paese e a liberare i cittadini francesi ancora imprigionati. Viene spontaneo chiedersi se questo dialogo possa avere qualche impatto positivo e se sia legittimo avviarlo in un momento in cui in Iran la repressione ha già provocato più di 500 morti, di cui quattro manifestanti condannati alla pena capitale e giustiziati.

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Melissa Cortese

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