Just Transition Fund: un futuro incerto fra transizione verde ed importanti problemi strutturali

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  Redazione
  12 settembre 2020
  5 minuti, 34 secondi

A cura di Tiziano Sini

Lo scorso dicembre, con l’insediamento della nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen, nuovi orientamenti sono stati posti al centro dello scenario politico europeo, in particolare la necessità di intraprendere un cambio di tendenza radicale in grado di affrontare con forza la questione climatica ed ambientale.

Il Commission Work Programme[1] e ancor prima il programma politico con cui si è presentata la nuova Presidente (My Agenda for Europe: political guidelines for the next European Commission 2019-2024[2]), hanno messo in luce principi e prerogative con cui si sarebbe mossa nei mesi successivi la Commissione.

La realizzazione di questi importanti impegni è stata sancita dalla presentazione da parte della Commissione dell’European Green Deal, il programma che garantirà l’avvio di un processo di transizione verso l’economia verde e la neutralità climatica in Europa[3].

All’interno del virtuoso piano, a fianco della famosa legge sul clima[4], l’altra novità rilevante riguarda la creazione del Just Transition Fund.

L’importanza di questo strumento, inserito in un articolato meccanismo (Just Transition Mechanism), dove viene coadiuvato da BEI e da InvestEU, risiede proprio nel ruolo volto a favorire il perseguimento della neutralità climatica.

In questo caso l’aspetto fondamentale che ne contraddistingue l’operato è il target di interventi da esso promossi: in particolare garantire disponibilità finanziaria e consulenza attraverso la Just Transition Platform, in quei territori ad elevata dipendenza da combustibili fossili come lignite, carbone, scisti bituminosi e torba, nonché quelle regioni dove sono collocate industrie ad alta intensità di carbonio, in cui gli impatti della transizione potrebbero essere più profondi anche a livello sociale.

Gli Stati per garantire un maggior coordinamento e predisporre interventi mirati si dovranno impegnare ad elaborare Piani territoriali per una transizione giusta, che andranno ad indicare le priorità dal punto di vista sociale, economico ed ambientale, garantendo così gli obiettivi prioritari per gli interventi di progressiva cessazione delle attività connesse ai combustibili fossili e la decarbonizzazione. Verranno garantite inoltre indicazioni per il processo di transizione, con annesse esigenze di sviluppo, riqualificazione della manodopera e risanamento ambientale.

Il Consiglio europeo e il depotenziamento del Just Transition Fund

Premessa la strutturazione dello strumento e l’importanza che ricoprirà in futuro sia dal punto di vista economico, che sociale ed ambientale, diventa necessario delineare le tendenze odierne e le difficoltà a cui sta andando incontro.

Aprendo una piccola digressione è notevolmente importante tenere in considerazione che fra la presentazione del Just Transition Fund all’interno del Green Deal, ed oggi, sia capitata la peggior crisi mai attraversata dall’Unione Europea, con ripercussioni sanitarie ed economiche, a cui ha fatto seguito un aspro dibattimento a livello europeo. Una fase segnata dalla proposta rivoluzionaria della Commissione con il Next Generation EU e il pronunciamento del Consiglio europeo, che ha in parte cambiato i propositi originali delineati da Bruxelles.

La questione focale ruota infatti essenzialmente intorno a questi due recenti avvenimenti: da un lato infatti i presupposti che secondo la Commissione dovevano guidare la politica di rilancio europeo avrebbero dovuto seguire quanto già tracciato dall’European Green Deal, promuovendo una transizione verso un’Europa più verde, digitale e resiliente[5].

Per questo attraverso il nuovo bilancio rafforzato dal Next Generation Eu sarebbero stati garantiti più fondi al Just Transition Fund; in questo caso alla dotazione originale di 7,5 miliardi, a cui verranno sommati altri 2,5 miliardi provenienti dal bilancio europeo, il nuovo programma avrebbe dovuto garantire altri 30 miliardi, per un totale di circa 40 miliardi.

La cifra è comunque destinata ad ampliarsi attraverso l’effetto leva, gli Stati beneficiari dovranno impegnarsi infatti ad integrare ogni euro versato dal Fondo, con contributi provenienti dall’European Regional Development Fund e dall’European Social Fund Plus, nonché attraverso risorse nazionali supplementari.

Questi presupposti positivi nei confronti di questa nuova iniziativa, che ne valorizzavano il ruolo, sono andati inesorabilmente a scontrarsi con il pragmatismo europeo, ed in particolare con le decisioni del Consiglio edello scorso 21 luglio, dove la struttura intergovernativa dell’Unione e le esigenze nazionali sono andate a prevalere sull’interesse comune europeo.

Ciò che ne è scaturito è stato un radicale ridimensionamento della portata dell’intera iniziativa, così come disegnata dalla Commissione, ed a farne le spese è stato lo stesso Just Transition Fund, che ha subito una contrazione finanziaria non indifferente, passando da 40 a circa 20 miliardi (i fondi supplementari stanziati non saranno più 30, ma circa 10 miliardi)[6].

Una decisione importante, le cui ripercussioni potrebbero essere non indifferenti, ma comunque non definitiva, visto il ruolo che adesso avrà il Parlamento europeo nell’approvazione del nuovo quadro finanziario pluriennale.

La Corte dei Conti europea ed i dubbi sul Just Transition Fund

A minare il corso del nuovo strumento non è però bastato l’intervento del Consiglio; due giorni dopo (23 luglio), la Corte dei Conti europea si è espressa infatti sul Just Transition Fund in maniera alquanto netta.

Il Parere infatti muove forti critiche alle scelte promosse dalla Commissione, in particolar modo sul fatto che Bruxelles “non ha effettuato una valutazione d’impatto specifica, né una consultazione delle parti interessate, con cui giustificare l’importo modificato”; a cui nelle medesime osservazione viene fatto notare che “una solida analisi delle necessità consentirebbe tuttavia di corroborare meglio l’assegnazione delle risorse finanziarie dell’UE, nonché di individuare e quantificare gli obiettivi da raggiungere”.

La Corte dei Conti inoltre sottolinea come “il collegamento tra performance e finanziamenti è relativamente debole e vi è il rischio significativo che l’utilizzo di tali fondi non ponga fine alla forte dipendenza di alcune regioni dalle attività ad alta intensità di carbonio”, con “il rischio che siano stanziati ulteriori fondi per finanziare la transizione”.

Inoltre, viene aggiunto che “il metodo di assegnazione proposto fornisce scarsi incentivi ad attuare la profonda e significativa trasformazione strutturale per conseguire gli obiettivi dell’Ue in materia di clima”[7].

Lo scenario è senz’altro mutato, ed in brevissimo tempo, facendo vacillare le basi dell’intero progetto con cui Bruxelles mirava a dar vita ad un processo di transizione e rilancio senza precedenti.

La partita è tutt’altro che chiusa, ma la consapevolezza è che le valutazioni promosse nei prossimi mesi saranno determinanti per la realizzazione degli obiettivi e la valorizzazione di quei principi posti al centro dell’agenda politica della nuova Commissione.

Fonti consultate per il presente articolo:

[1] https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar%3A7ae642ea-4340-11ea-b81b-01aa75ed71a1.0002.02/DOC_1&format=PDF

[2] https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/43a17056-ebf1-11e9-9c4e-01aa75ed71a1

[3] https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/european-green-deal-communication_en.pdf

[4] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?qid=1588581905912&uri=CELEX:52020PC0080

[5] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_20_940

[6] https://www.consilium.europa.eu/media/45118/210720-euco-final-conclusions-it.pdf

[7] https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/OP20_05/OP20_05_IT.pdf

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