La dottrina emergente di Trump in Medio Oriente

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  Redazione
  20 giugno 2025
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Il futuro approccio dell'amministrazione USA in questa travagliata regione sembra destinato a rispecchiare le tendenze emanate a gennaio scorso, tra le quali l'enfasi sugli accordi negoziati (con Gaza e l'Iran), l'uso limitato della forza militare (come con gli Houthi) e massicci accordi economici in nome del contrasto all'influenza della Cina in quest’area. Per molte presidenze americane, il secondo mandato ha rappresentato un'opportunità mediamente proficua per consolidare la propria eredità: il Presidente, libero dai vincoli derivanti dalla necessità di dover affrontare nuovamente le elezioni, è quindi in grado di perseguire le politiche estere e interne che preferisce.

Storicamente, lo staff del presidente è rimasto sostanzialmente invariato tra il primo e il secondo mandato, garantendo continuità di pensiero e di processo trumpiano. Alcune problematiche mondiali sono coerenti con i temi più cruciali del primo mandato. Eppure, nel caso della seconda amministrazione Trump, non tutto appare esattamente allo stesso modo. Il presidente Trump ha oggi un ufficio di presidenza – quello a più stretto contatto con la sua “stanza ovale” - completamente rinnovato ed eredita un mondo decisamente cambiato in alcuni risvolti dall'ultimo mandato.

Da oltre cento anni nessun presidente americano ha ricoperto due mandati non consecutivi, e le somiglianze quanto le differenze tra il primo e il secondo mandato di Trump si stanno parzialmente cristallizzando. Da un lato, molti dei punti focali della prima amministrazione Trump rimangono integrati anche nella seconda. La priorità data all'immigrazione, alla sicurezza dei confini e alla competizione con la Cina attraversano integralmente entrambi i mandati. Dall'altro, le aspirazioni di espansione territoriale (vedi verso la Groenlandia), le tensioni con i tradizionali partner e alleati degli Stati Uniti (vedi le tensioni verso il Consiglio Atlantico e la NATO) e la minore disponibilità per i vasti e onerosi impegni militari americani all'estero sono variazioni accentuate di un tema simile.

Anche il mondo ereditato dalla seconda amministrazione Trump è radicalmente diverso: gli Stati Uniti non hanno più una presenza militare in Afghanistan, le guerre in Ucraina, Gaza e Sudan continuano e la competizione con la Cina non ha fatto altro che intensificarsi.

Eppure, il Medio Oriente è rimasto una priorità per Trump

A maggio, ha visitato l'Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) per il primo viaggio ufficiale all'estero del suo secondo mandato. Ciò che è emerso durante quest’ultimo viaggio è la formazione di una nuova dottrina di politica estera, che muove dal Medio Oriente ma che ha ripercussioni sulle relazioni dell'America in tutto il mondo.

La visione del mondo di Trump

Diversi temi emergono nella prospettiva di politica estera della seconda amministrazione Trump. Uno è la reticenza del presidente stesso a impegnarsi in operazioni militari prolungate all'estero.

"Misureremo il nostro successo non solo dalle battaglie che vinceremo, ma anche dalle guerre a cui porremo fine", ha dichiarato Trump nel suo secondo discorso inaugurale, "e forse, cosa più importante, dalle guerre a cui non parteciperemo mai". Si tratta di frasi illuminate e inconsuete in riferimento a quella regione.

Questo tema rafforza la sentita preferenza del presidente per la fine delle guerre, come quella in Ucraina, nonché il suo rapporto tecnico con l'uso della forza militare. La prima amministrazione Trump ha dimostrato che il presidente non è contrario a determinate quanto forti azioni militari – gli attacchi in Siria del 2017 e del 2018 e l'operazione “Qassem Soleimani” del 2020 sono esempi degni di nota – ma il suo sostegno a operazioni militari prolungate e a lungo termine è sempre più raro. Questo punto di vista è rafforzato da un altro tema di politica estera di questa amministrazione: la convinzione che i costi di un certo tipo di avventurismo militare americano all'estero abbiano superato di gran lunga i potenziali benefici.

Il recente viaggio in Medio Oriente ha offerto al presidente e al suo team l'opportunità di sottolineare questa convinzione.

Elogiando le ambizioni economiche della regione, Trump, stimolando non poco le menti degli analisti, ha osservato : "Questa grande trasformazione non è venuta dal rumore dell'intervento occidentale o dal far volare persone su splendidi aerei che vi danno lezioni su come vivere e governare i vostri affari".

Ha poi continuato criticando lo storico approccio americano alla regione nell'era della Guerra Globale al Terrore: "Alla fine, i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite, e gli interventisti stavano intervenendo in società complesse che nemmeno loro stessi comprendevano". Poche settimane dopo il viaggio, il vicepresidente USA, Vance, ha ulteriormente sottolineato in termini altrettanto significativi questa prospettiva.

In un discorso all'Accademia Navale degli Stati Uniti, ha osservato che si stava verificando "un cambio generazionale" in politica estera, ovvero un cambiamento "basato sul realismo e sulla protezione dei nostri interessi nazionali fondamentali". Il viaggio in Medio Oriente ha segnato "la fine di un approccio decennale in politica estera che ha rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori". E ha ulteriormente sottolineato: "Abbiamo avuto un lungo esperimento nella nostra politica estera che ha barattato la difesa nazionale e il mantenimento delle nostre alleanze con la costruzione della nazione e l'ingerenza negli affari esteri, anche quando questi ultimi avevano ben poco a che fare con gli interessi americani fondamentali".

Pochi giorni dopo, l'ambasciatore statunitense in Turchia e stretto consigliere del presidente, Tom Barrack, ha ulteriormente elaborato questa visione: "Un secolo fa, l'Occidente ha imposto mappe, mandati, confini tracciati a matita e dominio straniero. Il Trattato di Sykes-Picot ha diviso la Siria e la regione più ampia per ottenere un vantaggio imperialista, non per la pace. Quell'errore è costato intere generazioni. Non lo ripeteremo. L'era dell'interferenza occidentale è finita. Il futuro appartiene alle soluzioni regionali... e a una diplomazia fondata sul rispetto”.

Nel complesso, le dichiarazioni del presidente e dei suoi più stretti consiglieri suggeriscono l'emergere di una nuova dottrina di politica estera. Questa dottrina sembra porre l'accento sull’azione di minimizzazione oppure della fine dei conflitti, sulla sensibile limitazione degli impegni militari americani e sulla massimizzazione dei benefici economici americani all'estero. E il Medio Oriente diventa per l’ennesima volta il banco di prova relativo a questo approccio.

La dottrina Trump in pratica...

In tutto il Medio Oriente, l'applicazione di questa dottrina ormai emergente di politica estera è ormai chiara per tutti i protagonisti. Sul fronte diplomatico, Trump ha ripetutamente chiesto la fine dei conflitti. Come l'Ucraina, ha puntato sulla fine del conflitto a Gaza, in entrambi i casi esercitando una notevole pressione sui tradizionali partner americani. Ha anche espresso il desiderio di consolidare il successo del primo mandato dei suoi Accordi di Abramo per la normalizzazione degli accordi tra Israele e i suoi vicini, facilitando ulteriori accordi nella regione. E ha dato priorità a un accordo con l'Iran sul suo programma nucleare. I contorni e la fattibilità di raggiungere un accordo del genere rimangono un punto di dibattito, ma si evidenzia la priorità attribuita da Trump ad una soluzione negoziata rispetto alla soluzione di tipo militare.

Sul fronte militare, il presidente ha dimostrato per il momento la volontà di utilizzare la forza militare in modo limitato

Come nel suo primo mandato, Trump rimane contrario a periodi prolungati di operazioni militari. L'esempio più significativo è dimostrato dalla campagna militare contro gli Houthi in Yemen, durata intensamente per diverse settimane prima che l'amministrazione interrompesse totalmente le operazioni di bombardamento e perseguisse a questo punto un accordo diplomatico con il gruppo. In entrambi i casi, il clima di fiducia in proficui risultati negoziali capaci di minimizzare gli impegni militari americani prolungati è stata sensibilmente rafforzata, che di fatto ha garantito la libertà di navigazione americana nello stratto di Suez.

Sul fronte economico

E’ chiaro da sé che in questo settore Trump si sente maggiormente a suo agio. La sua convinzione nel potere di accordi economici che siano reciprocamente vantaggiosi per preservare la pace e la stabilità è stata più evidente che in Medio Oriente. Il suo recente viaggio ha portato all'impegno di migliaia di miliardi di dollari in corposi accordi in vari settori con i numerosi ed importanti partner del Golfo. In particolare, la concorrenza con la Cina era stata posta anche al centro dell'attenzione nei colloqui di Trump. I funzionari dell'amministrazione hanno subito sottolineato la enorme disparità tra i migliaia di miliardi annunciati durante questa visita e i circa 50 miliardi di dollari firmati durante la visita del presidente Xi Jinping del 2022.

Molti degli accordi nel campo tecnologico, incluso l'acquisizione di chip di più avanzata concezione, sono stati inquadrati come una limitazione dell'influenza della Cina. "Stavano andando in Cina, la Cina sarebbe stata la loro casa madre", ha pronunciato Trump a un giornalista durante il viaggio di ritorno. E aggiunge: "Questo non succederà più".

Riflessioni finali

La dottrina di politica estera che emerge dalla seconda amministrazione Trump sembra incentrarsi maggiormente sulla negoziazione di accordi di pace, sul rafforzamento della posizione americana nei confronti della Cina, sulla prevenzione di costosi (e forse inutili) coinvolgimenti militari e infine sulla pressione da esercitare sapientemente su partner e alleati affinché si facciano avanti positivamente. Questa dottrina è alimentata da una visione del mondo fortemente critica nei confronti delle precedenti politiche estere statunitensi, in particolare in Medio Oriente, dove questa dottrina è al momento più evidente.

La domanda per gli osservatori internazionali e analisti è se questa dottrina finirà per affermarsi pienamente e , ancora di più, estendersi oltre i vasti territori del Medio Oriente.

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