La guerra a Gaza e la ricerca di sicurezza: perché Israele è stata colta di sorpresa?

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  Redazione
  27 novembre 2023
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Nel barbaro attacco a sorpresa lanciato da Hamas il 7 ottobre, sono stati massacrati più ebrei che in qualsiasi altro giorno successivo all’Olocausto nazista. Sono stati commessi crimini sadici e ripugnanti, arrivando a filmare le proprie azioni vantandosi con il proprio sodalizio islamista.

È stato devastante anche per lo Stato israeliano. Nel giorno dell’attacco, la dottrina israeliana relativa alla proverbiale sicurezza di lunga data del paese è pateticamente crollata di fronte a una sorta di tempesta perfetta. Tradotta in termini istituzionali, bisogna de facto riconoscere che i suoi servizi di intelligence e le sue istituzioni militari non sono stati capaci di garantire la sicurezza del territorio e dei cittadini.

La storia

Per anni, l’establishment politico e militare di Gerusalemme ha permesso che si accumulassero minacce esplicite nei suoi confronti cercando tuttavia di mantenere lo status quo nello stato conflittuale con i palestinesi e di instaurare un modus vivendi con lo Stato de facto di Hamas a Gaza, basato però sulla deterrenza: una strategia che mirava solamente a prolungare i periodi di appena accettabile tranquillità.

Alla luce dei fatti recenti, Israele non può tornare più allo status quo antecedente il 7 ottobre. Il compito dello Stato ora è riportare a casa tutti gli ostaggi e rendere impossibile a Hamas e ad altri avversari, in particolare al gruppo militante libanese Hezbollah sostenuto dall'Iran, di effettuare in futuro ulteriori attacchi terroristici contro cittadini israeliani o di porre minacce dirette alla sicurezza dello Stato.

La responsabilità

Allo stesso tempo, il governo e l’establishment politico devono assumersi la responsabilità dei propri errori strategici. Dovrebbero dare priorità agli interessi di sicurezza nazionale rispetto alla sopravvivenza politica e adoperarsi per promuovere l’unità d’intenti tra gli israeliani, preparandoli ai tempi impegnativi e le difficili sfide che li attendono.

Una volta eliminato il pericolo letale rappresentato da Hamas, Israele dovrà rinnovare il processo di promozione di una sicurezza stabile e di accordi politici affidabili con i palestinesi. È ora in corso un necessario cambiamento di paradigma, ma un paradigma può spostarsi in molte direzioni diverse. Per il bene del futuro di Israele, è necessario riportare le istituzioni della difesa e l’intera strategia relativa alla sicurezza del Paese verso alcuni principi fondamentali dai quali si sono allontanati negli ultimi anni.

Conosci il tuo nemico

Storicamente, la dottrina della sicurezza nazionale di Israele è stata elaborata e sancita a metà del XX secolo, sotto il primo ministro del paese, David Ben-Gurion. Nel corso dei successivi decenni, la dottrina è stata aggiornata per includere stabilmente quattro pilastri principali: deterrenza, allarme rapido, difesa e vittoria definitiva.

La deterrenza è un’arte efficace ma complessa.

Il suo declino può essere colto in tempo reale, ma il suo crollo definitivo diventa evidente solo in chiave retrospettiva. Nel caso recente, c’erano numerose ragioni per le quali Hamas ha smesso di esitare concludendo che era giunto il momento migliore per attaccare.

A causa dell’eccessiva fiducia riposta da Israele sulle sue misure di deterrenza e la sua tacita accettazione di un prolungato rafforzamento delle forze di Hamas a Gaza (facilitato soprattutto dai cospicui finanziamenti iraniani), quest’ultimo gruppo aveva raggiunto un livello decisamente elevato di preparazione operativa in grado di poter effettuare un attacco su vasta scala in territorio israeliano.

Il rapporto con l’Arabia

Nel frattempo, il progresso dei colloqui volti a normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita ha accresciuto le preoccupazioni sia di Hamas che dell’Iran, i quali temevano un ulteriore (quanto plausibile) consolidamento di un blocco politicamente solido e pertanto capace di opporsi all’affermazione politica della Repubblica islamica con i suoi alleati, il cosiddetto asse della resistenza.

Ovvero era più che motivata la preoccupazione per una più profonda integrazione strategica di Israele con altri paesi mussulmani nel difficile teatro mediorientale. Presumibilmente, Hamas confidava che un grave attacco avrebbe ostacolato questo processo.

Il declino della deterrenza può essere percepito in tempo reale, ma il suo crollo diventa evidente solo in una più razionale retrospettiva. Hamas è stato probabilmente incoraggiato dall’impressione che la crisi politica interna di Israele – scatenata dalle estese proteste contro la proposta del primo ministro Benjamin Netanyahu di ridurre il potere della Corte Suprema israeliana – avesse distolto l’attenzione politico-militare da Gaza e minato in modo significativo la coesione sociale e la determinazione di Israele.

A questo punto, è doveroso sottolineare che la direzione dell'intelligence militare israeliana, il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane (IDF) e il ministro della difesa avevano tutti messo in guardia Netanyahu dal fatto che Israele appariva storicamente debole e fragile agli occhi dei suoi avversari di Hamas.

Nonostante questi chiari avvertimenti trasmessi negli ultimi mesi attraverso una serie di documenti vari, Netanyahu ha scelto di ignorarli.

La dottrina

Secondo la dottrina della sicurezza israeliana, quando la deterrenza fallisce, la comunità dell'intelligence assume il ruolo vitale di indagare per poter fornire un allarme tempestivo, consentendo all'IDF di prepararsi con rapidità e rispondere efficacemente alla minaccia.

Ma negli ultimi anni all’interno della comunità dell’intelligence israeliana si era diffuso un malinteso dagli effetti catastrofici, proprio come in passato accadde con le stesse modalità precedenti la guerra dello Yom Kippur nel 1973.

Durante quel periodo, la comunità dell’intelligence valutò erroneamente che Egitto e Siria non avrebbero osato impegnarsi in una guerra che non potevano vincere, non riuscendo a comprendere l’obiettivo celato del presidente egiziano Anwar al-Sadat era, comunque fosse, quello diverso e determinato di rompere il pacifico status quo a livello internazionale e di teatro.

In quanto organizzazione terroristica jihadista allineata con l’Iran e con il suo asse di resistenza, l’aspirazione fondamentale di Hamas è dichiaratamente quella di infliggere il massimo danno a Israele indebolendone lo Stato, con l’obiettivo finale di annientarlo.

Ma l’intelligence e i principali decisori israeliani erano arrivati illusoriamente a credere che le responsabilità di Hamas a Gaza - dove essenzialmente governava uno stato di fatto di oltre due milioni di palestinesi - avessero addirittura temperato l’estremismo.

In definitiva, Hamas ha ingannevolmente incoraggiato questa percezione errata negli ultimi anni, presentandosi come un attore affidabile e avvertendo di un’escalation se Israele non avesse permesso che i finanziamenti dal Qatar arrivassero a Gaza e non avesse permesso a più lavoratori di Gaza di entrare in Israele.

Le spie di Hamas

Quando Israele ha accettato tali concessioni, Hamas ha utilizzato il denaro ricavato e le informazioni accuratamente raccolte dagli abitanti di Gaza autorizzati a lavorare in Israele per pianificare clandestinamente e nei dettagli la sua offensiva omicida.

Questa dimostrata incapacità di comprendere adeguatamente la natura di Hamas e le sue intenzioni abilmente e a lungo celate, risale al lontano ritiro israeliano da Gaza avvenuto nel 2005 e al successivo colpo di stato di Hamas contro l'Autorità Palestinese.

Da allora, Israele ha operato sulla premessa che un Hamas scoraggiato e indebolito fosse preferibile a un vuoto di governance a Gaza e avrebbe consentito a Israele di concentrarsi su quelle che percepiva come sfide strategiche più critiche, come le aspirazioni nucleari dell’Iran e il rafforzamento militare di Hezbollah in Siria.

Di conseguenza, ogni volta che si verificava una riacutizzazione del conflitto a Gaza, l’obiettivo di Israele era quello di ristabilire la deterrenza attraverso un uso misurato e limitato della forza.

Ciò ha consentito ad Hamas di realizzare un potenziamento a lungo termine di armi e di infrastrutture militari e logistiche e di migliorare le proprie capacità operative.

Il terzo pilastro

Quando la deterrenza vacilla e i primi allarmi non si concretizzano, la tradizionale dottrina di sicurezza israeliana si ripiega sul suo terzo pilastro: le capacità difensive esercitate dall’IDF .

Negli ultimi dieci anni, l’ IDF è riuscita a mitigare due minacce centrali provenienti da Gaza: gli attacchi missilistici (che il sistema di difesa israeliano “Iron Dome” è capace di intercettare e distruggere) ed i tunnel che si infiltrano nel territorio israeliano (che sono stati neutralizzati da una barriera anti tunnel sotterranea che Israele ha completato lungo il confine con Gaza nel 2021.

Tuttavia, Israele non è riuscito a ipotizzare un’invasione di superficie e non ha rafforzato le difese intorno a Gaza in proporzione alle crescenti capacità militari di Hamas, deviando diametralmente da una dura lezione chiave appresa durante la guerra dello Yom Kippur: organizzare la difesa in base alle capacità dell’avversario e non solo alle sue intenzioni tecnicamente valutate. Di conseguenza, le forze israeliane nell’area si sono trovate in inferiorità numerica e sono state colte di sorpresa dopo che l’ IDF ha ridotto la sua presenza di truppe intorno a Gaza e ha concesso la libera uscita a numerosi militari durante tale periodo di vacanza di Sukkot.

Tale festività ricorda la permanenza biblica degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto: quaranta anni durante i quali abitarono in dimore precarie (capanne, ovvero sukkot in ebraico), accompagnati però, secondo la tradizione, da “nubi di gloria”.

Il ruolo dell’IDF

L’ IDF era diventato eccessivamente dipendente dai mezzi tecnologici per difendere il confine con Gaza, come telecamere, sensori avanzati e mitragliatrici azionate a distanza. Hamas ha utilizzato i droni per ridurre l’efficacia di tali strumenti e ha sfondato la barriera di confine con i bulldozer: una combinazione di mezzi ad alta e bassa tecnologia, diversa da qualsiasi cosa Israele avesse previsto.

Il quarto pilastro della dottrina della sicurezza israeliana è il concetto legato al raggiungimento di un risultato militare rapido e decisivo, ovvero garantire una vittoria incontrastata sul nemico neutralizzando sia le sue capacità militari che la sua determinazione a continuare a combattere. Questa idea ha scatenato per molti anni un ampio dibattito tra esperti e alti dirigenti dell’IDF su come definire l’ “esito decisivo” e la “vittoria” e successivamente come applicarli ai conflitti moderni con protagonisti non statali e un'infinità di pericolosi gruppi terroristici.

Israele ora capisce che, sebbene l’ideologia jihadista di Hamas possa persistere (come hanno fatto quelle dello Stato Islamico, o dell’ISIS , e di al Qaeda), l’IDF stavolta deve smantellare dalla base le capacità militari di questa organizzazione islamista.

L’obiettivo strategico a GAZA

Sulla scia del brutale attacco di Hamas, Israele è giunto alla conclusione che non può coesistere con uno stato islamico jihadista simile all’ISIS direttamente schierato a ridosso dei propri confini con Gaza. Ovvero, l’epoca dei cicli interminabili ed intermittenti di combattimenti e cessate il fuoco a Gaza è finita. Quella che la sostituirà sarà una campagna militare continua e prolungata, guidata non da un desiderio di vendetta ma basata sugli irrinunciabili interessi di sicurezza di Israele e su un impegno costante per il ritorno sicuro degli ostaggi sequestrati da Hamas.

Il primo passo

L'operazione militare israeliana di terra è stata solo il primo passo mentre lo sforzo militare continuerà anche dopo il totale ritiro delle forze dell'IDF da Gaza.

Una strategia israeliana efficace richiede l’integrazione di numerosi sforzi paralleli e interconnessi – militari, civili e politici – eseguiti metodicamente all’interno di un quadro completo e strutturato, che però deve essere continuamente riallineato con le aspettative di sicurezza dell’opinione pubblica israeliana e combinato con una assidua campagna diplomatica e di intelligence, che a sua volta potrà assicurare l’assistenza e il sostegno del quale il Paese avrà sicuramente bisogno da parte dei suoi alleati e partner.

Questa guerra segna un ritorno alle condizioni delineate negli accordi di Oslo del 1993, che sottolineavano la riluttanza di Israele a tollerare un’entità palestinese armata ai suoi confini. Il governo israeliano sta anche cercando di ripristinare la fiducia del pubblico nelle proprie forze armate e in altre istituzioni statali e inviare un segnale - chiaro per chiunque - che danneggiare i cittadini israeliani comporterà un costo di gran lunga superiore per gli avversari del paese e porterà alla loro radicale distruzione. L’entità del danno inflitto da Hamas a Israele richiede una risposta decisiva, anche se comporta sacrifici significativi.

Il popolo di Israele, che si sta mobilitando con l’ausilio dei riservisti in un numero senza precedenti e orchestrando organizzazioni di volontariato per aiutare i sopravvissuti e gli sfollati, è profondamente consapevole della formidabile sfida che lo attende, ma è anche risoluto e ben disposto a sostenere sia gli oneri che i costi che saranno necessari.

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