La nuova Siria

La caduta del regime di Bashar al-Assad chiude un capitolo tragico della guerra civile in Siria, ma lascia milioni di siriani – in Europa e nei Paesi confinanti – in un limbo legale

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  Giuliana Băruș
  15 gennaio 2025
  5 minuti, 14 secondi

Damasco, 8 dicembre 2024. Dopo quasi quattordici anni di conflitto civile, la Siria si è svegliata libera dal regime della famiglia Assad, che per cinquantatré anni ha governato il Paese.

Quando arriva dopo così tanto tempo, dopo un’attesa infinita, può accadere che non la si riconosca subito perché la libertà non si presenta mai da sola: porta con sé sentimenti contrastanti. Disperazione, speranza, rancore e incertezza diventano inscindibili.

Tutto comincia nel 1970, quando Hafez al-Assad, padre di Bashar, prende il potere con un colpo di Stato. Da allora, il suo partito, Ba’ath, ha stretto la Siria nella tenaglia di una dittatura liberticida, costruita sulla paura e l'oppressione, che ha lasciato cicatrici profonde nel Paese e fratture tra le sue minoranze etniche e religiose. Dal 2011, in Siria la libertà si è pagata con il sangue, la legge sostituita dalle armi e dal caos: 13 anni e 305 giorni di guerra civile.

In una decina di giorni, tra il 27 novembre quando è cominciata la marcia da Idlib verso Aleppo e la caduta di Damasco nelle mani dei ribelli il 7 dicembre, è cambiato tutto.

I miliziani di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) –la coalizione sunnita islamica nata dall’ex filiale di al-Qaida, Jabhat al-Nusrah –  hanno preso il controllo del Paese con una marcia durata dieci giorni e terminata con la fuga del presidente in Russia. 

Ora le bandiere che sventolano sono cambiate: la terza stella torna a splendere, aggiunta dai ribelli tredici anni fa, e il rosso del sangue è diventato un verde speranza. Una speranza che per la Siria diventa una condanna a non smettere mai di ricordare, anche quando il dolore sembra insopportabile.


La reazione dell'Europa 

In diversi Stati europei l’entusiasmo ha presto lasciato il posto a un dibattito politico e giuridico sull’opportunità di rimpatriare nel Paese d’origine chi ha la nazionalità siriana, che – con un tasso di riconoscimento al 92 per cento – è quella che più garantisce protezione internazionale in Ue.  

Lunedì 9 dicembre Francia, Germania, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Svezia e Grecia hanno annunciato che sospenderanno l’esame delle domande d’asilo dei cittadini siriani. A fine giornata lo hanno comunicato anche Regno Unito e Svizzera. L’Austria si è spinta addirittura a dire che sta preparando un “programma di rimpatrio ed espulsione per i siriani che già hanno ottenuto l’asilo. Nell’Unione europea a occuparsi della materia sono i singoli Stati.

Già a luglio 2024, una decina di Paesi europei – tra cui Austria, Malta e Italia – ha chiesto all’Unione di avviare una normalizzazione delle relazioni con il governo siriano per poter rimpatriare i richiedenti asilo in alcune parti del territorio ritenute sicure. Ottenuto l’impegno a nominare un inviato speciale per condurre le discussioni, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ora sembra tutto da rifare: “Prima di discutere la nomina di un inviato speciale, e vista la situazione sul campo, dobbiamo rivedere il suo ruolo. È un lavoro in corso”, si assicura dalla Commissione europea.

Dal 2011, più di 14 milioni di siriani sono stati costretti a fuggire dalle loro case in cerca di sicurezza. Circa sette milioni sono sfollati all'interno del loro Paese, dove il 70 per cento della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria e il 90 per cento vive al di sotto della soglia di povertà.

Circa sei milioni di rifugiati siriani vivono nei cinque Paesi confinanti con la Siria: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Anche qui però la loro permanenza e status giuridico sono sempre incerti, frutto delle arbitrarie politiche migratorie dello Stato ospitante. Un limbo burocratico che tiene in ostaggio la vita e il futuro di un popolo.

Dal 2019, secondo i dati dell’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo, circa 600mila siriani hanno chiesto asilo nell’UE: Germania e Austria hanno accolto il maggior numero di rifugiati siriani negli ultimi anni. E sono adesso i Paesi in prima linea per avviare i rimpatri.

Le prime testimonianze raccolte tra gli immigrati siriani in Europa nelle ore successive alla caduta di Bashar al-Assad mostrano tuttavia una grande cautela sulla questione del ritorno, anche tra coloro che sono arrivati ​​di recente. Uno studio pubblicato nel 2023 dalla Radboud University nei Paesi Bassi stimava in meno del 40 per cento la percentuale di siriani residenti in Germania pronti a ritornare nel Paese d’origine, anche se la situazione dovesse tornare a quella precedente alla guerra in termini di sicurezza.



Siria libera? 


Caduta la dittatura sanguinaria degli Assad, la Siria è oggi ancora lontana da potersi considerare un territorio libero dagli interessi stranieri. La ricostruzione turca nel nord del Paese non è solo un processo di rinascita, ma un atto di annessione mascherato da operazione di recupero.

Il nord della Siria è diventato a tutti gli effetti un governorato turco, con una popolazione che si trova a vivere sotto il controllo di un’autorità straniera, ma con il volto della rinascita. Una rinascita, quella imposta da Erdoğan, che non ha sapore di libertà.

Chiunque prenderà il potere in Siria dovrà fare i conti con un Paese lacerato da tredici anni di conflitto civile: segnato per sempre da ingiustizia, violenza e oppressione, dove tra le numerose minoranze interne si annidano focolai di vendetta pronti a incendiarsi.

Sarà lì che si misurerà la capacità del nuovo esecutivo: se sarà in grado di governare o se, come i suoi predecessori, finirà per alimentare altre divisioni e nuove violenze fra vicini di casa.

Oggi, però, in tutta la Siria sventolano le bandiere a tre stelle, simbolo di rinascita e ribellione. Il segno di un futuro che ancora non si riesce a immaginare: una nuova Siria libera.





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L'Autore

Giuliana Băruș

Studi in Giurisprudenza e Diritto Internazionale a Trieste.
Oltre che di Diritto (e di diritti), appassionata di geopolitica, giornalismo – quello lento, narrativo, che racconta storie ed esplora mondi fotoreportage, musica underground e cinema indipendente.

Da sempre “permanently dislocated un voyageur sur la terreabita i confini, fisici e metaforici, quelle patrie elettive di chi si sente a casa solo nell'intersezionalità di sovrapposizioni identitarie: la realtà in divenire si vede meglio agli estremi che dal centro. Viaggiare per scrivere soprattutto di migrazioni, conflitti e diritti e scrivere per viaggiare, alla ricerca di geografie interiori per esplorarne l’ambiguità e i punti d’ombra creati dalla luce.

Nel 2023, ha viaggiato e vissuto in quattro paesi diversi: Romania, sua terra d'origine, Albania, Georgia e Turchia.
Affascinata, quindi, dallo spazio post-sovietico dell'Europa centro-orientale; dalla cultura millenaria del Mediterraneo; e dalle sfaccettate complessità del Medio Oriente.

In Mondo Internazionale Post è autrice per la sezione Organizzazioni Internazionali”.

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