La questione ucraina - Referendum

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  Matteo Gabutti
  09 ottobre 2022
  12 minuti, 29 secondi

Il popolo ha fatto la propria inequivocabile scelta. […] È senza dubbio un loro diritto, un diritto sugellato all’Art. 1 dello Statuto dell’ONU, che afferma esplicitamente il principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli.
[…] gli abitanti di Luhans’k e Donetsk, Kherson e Zaporižžja sono diventati nostri concittadini, per sempre.

Vladimir Putin, Presidente della Federazione Russa, 30 settembre 2022

Queste le parole perentorie pronunciate da Vladimir Putin in occasione della firma dei trattati con cui ufficializzava l’annessione alla Federazione delle quattro regioni occupate dell’Ucraina. Al di là dei toni roboanti e manichei a descrivere la lotta per la sopravvivenza della Gran Madre Russia contro un Occidente menzognero e satanista, nel suo discorso il leader del Cremlino ha fatto propri termini e concetti del diritto internazionale. Lo stesso diritto internazionale su cui la NATO, l’UE e l’ONU fondano le denunce di illegalità dei referendum tenutisi nelle regioni di Donetsk, Kherson, Luhans’k, e Zaporižžja. Compito di questo articolo sarà dunque di gettare luce sulla vicenda, analizzando la legittimità dei plebisciti.

Referendum

Già nel discorso del 21 settembre, Putin - oltre ad invocare la mobilitazione parziale delle riserve militari russe - aveva annunciato l’attuazione dei plebisciti nelle regioni occupate dell’Ucraina sud-orientale. Come da programma, tra il 23 e il 27 settembre, i cittadini interessati si sono recati alle urne, con un’affluenza media di poco inferiore al 90%. Stando ai media russi, i risultati lascerebbero poco spazio a dubbi: la maggioranza più timida a favore dell’annessione è stata registrata nella regione di Kherson, ad un esorbitante 87%, mentre quella più decisa nella Repubblica Popolare di Luhans’k, ad un inverosimile 99,23%.

Il tutto si è svolto nel teatro del conflitto russo-ucraino, ancora ufficialmente definito “operazione militare speciale” dal Cremlino. Le stesse quattro regioni, pur essendo sotto il controllo più o meno sicuro di Mosca, non sono esenti da scontri ed esplosioni quotidiane, che hanno costretto numerosi residenti ad abbandonarle. L’area è dunque lontana dal poter esser considerata stabile, tanto più che il Presidente Zelensky ha già dichiarato che il Paese non accetterà mai questi “pseudo-referendum” - anche in luce della controffensiva ucraina lanciata ad inizio mese nelle regioni di Kharkiv e Kherson.

Condanna internazionale

Proprio il contesto bellico costituisce la base delle accuse di illegalità dei referendum lanciate dai rappresentanti di Stati – in primis gli Stati Uniti – e organizzazioni internazionali – tra cui NATO, UE, ONU. Infatti, la vulgata condanna i plebisciti come intrinsecamente legati alle violazioni del diritto internazionale di cui la Russia si sarebbe macchiata dall’inizio dell’invasione. Inoltre, giudica con scetticismo la genuinità dei risultati, considerando che il voto è avvenuto in pieno conflitto armato, in territori occupati militarmente e al di fuori dell’ordine legale e costituzionale ucraino.

A riassumere egregiamente queste posizioni, vi sono le parole pronunciate dal Sottosegretario Generale per gli affari politici e di peacebuilding dell’ONU, Rosemary DiCarlo, di fronte al Consiglio di Sicurezza:

Azioni unilaterali volte a fornire una parvenza di legittimità al tentativo di acquisizione con la forza del territorio di uno Stato parte di un altro Stato, pur sostenendo di rappresentare la volontà popolare, non possono essere ritenute legali di fronte al diritto internazionale.

L’invasione, l’occupazione militare o la risultante annessione del territorio di uno Stato da parte di un altro, infatti, costituisce un atto di aggressione (UNGA Res. 3314 (XXIX), Art. 3(a)), intesa come il ricorso illecito alla forza armata contro la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza dello Stato che ne sia vittima (Art. 1). Risulta quindi virtualmente impossibile scindere i referendum dalle violazioni russe delle norme dello ius ad bellum – a regolamento della legittimità del ricorso all’uso della forza armata nelle relazioni internazionali – che li hanno resi possibili. Banalmente, perché senza l’operazione militare speciale, o ancora prima l’interessamento di Mosca nel Donbas, difficilmente si sarebbe giunti al voto. O comunque, non in queste modalità.

Self-determination & international law of occupation

Se però anche si ammettesse che questi plebisciti fossero effettivamente l’espressione del volere popolare, essi rimarrebbero incompatibili con i princìpi del diritto internazionale. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, consacrato nell’Art. 1 dello Statuto dell’ONU citato da Putin e nella Risoluzione 1514 del 1960 dell’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA), seppur fondamentale, verrebbe subordinato al principio di unità nazionale e d’integrità territoriale di uno Stato (UNGA Res. 1514 (XV), Art. 6). Pertanto, referendum di questo genere non possono avere luogo legittimamente senza il consenso dello Stato sovrano, e una regione non può decidere di separarsene unilateralmente.

Le uniche eccezioni varrebbero per i cosiddetti territori non-autonomi – che potrebbero esercitare il diritto all’indipendenza all’interno del framework dell’ONU (Statuto dell’ONU, Capitolo XI) nei confronti di potenze coloniali, occupazioni straniere o governi razzisti – o nei casi dell’ancor più controversa remedial secession. Questi discorsi, tuttavia, non si addicono alle quattro regioni, che, come la Crimea nel 2014, sono ancora soggette alla sovranità di Kiev, per quanto siano de facto occupate dalla Russia.

La questione sarebbe dunque regolata dal diritto internazionale per l’occupazione, ovvero un ramo del diritto umanitario applicabile per territori caduti sotto il controllo effettivo di un Paese straniero durante un conflitto armato. Il suo principio cardine consiste nella netta distinzione tra occupazione e trasferimento di sovranità, e si traduce in una serie di doveri per la potenza occupante, che dovrebbe per quanto possibile rispettare lo status quo originario, e che non può assolutamente annettere le aree occupate. E questo vale anche per gli oblast del Donbas, che, checché ne dica la Russia, non possono essere legalmente considerate come Repubbliche indipendenti. Inoltre, i recenti sviluppi del conflitto smentiscono che il controllo effettivo russo si estenda su tutta l’area coinvolta dai plebisciti, minandone ulteriormente la credibilità.

Motteggiare l’Occidente

Infine, non possiamo ignorare le molteplici irregolarità riscontrate dal punto di vista procedurale. Testimoni oculari e video riportano la presenza di soldati russi a monitorare la compilazione delle schede elettorali, la maggior parte delle quali sono state consegnate casa per casa da funzionari scortati da guardie armate. Il tutto si è poi svolto freneticamente in tempi molto brevi, sotto l’occhio di quella che la Russia ha definito una missione di osservatori internazionali, ma che l’ONG European Platform for Democratic Elections non ha esitato ad etichettare come “attività politica solo mascherata da controllo delle elezioni.” Ed anche l’esito è così esorbitante da risultare incredibile, come le motivazioni addotte da Putin per giustificare il voto e l’operazione speciale.

Secondo il Professor E. Lieblich, infatti, il linguaggio del diritto utilizzato dal Presidente russo non servirebbe a convincere la comunità internazionale, ma piuttosto a mimare e screditare l’Occidente. Il probabile obiettivo, sostiene lui, sarebbe mettere il mondo davanti al fatto compiuto e attendere che la situazione si cristallizzi con la perdita d’interesse globale – come accaduto in parte con la Crimea. E, nel frattempo, presentare un’immagine di vittoria, magari scoraggiando attacchi in quei territori che Mosca interpreterebbe come diretti contro la Russia stessa.

Fonti consultate per il presente articolo

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Constitution of Ukraine 2019

Statuto delle Nazioni Unite 1945

Immagine: https://www.pexels.com/it-it/f...

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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