Introduzione
Sotto il cuore frenetico di Los Angeles ci sono dei bunker dove vengono tenuti in custodia i migranti. Molti di loro si recano ai palazzi federali per un appuntamento con l’Immigrations and Customs Enforcement (ICE), poi dagli uffici vengono presi e portati nei sotterranei, dove vengono tenuti anche per più giorni, in stanze che vengono riempite fino a 30 persone ciascuna.
Le famiglie dei migranti denunciano la scomparsa dei rispettivi parenti e si rivolgono agli avvocati, come Lizbeth Mateo, i cui clienti - una coppia con dei bambini - si erano recati al palazzo federale Edward R. Roybal a downtown L.A. per un appuntamento, quando sono stati detenuti e immediatamente scortati nel bunker sotterraneo, in stanze senza letti e accesso limitato ad acqua e cibo.
Nonostante le autorità federali si siano immediatamente mobilitate per smentire tali accuse, è innegabile che la situazione nella città dei sogni stia irreversibilmente precipitando, in un baratro di caos e violenza urbana, alimentato dalle politiche estremiste di un'amministrazione sempre più controversa e radicale.
Quando tutto si scatena
Tutto inizia venerdì 6 giugno, quando gli agenti dell’ICE arrestano decine di immigrati irregolari nel sud della California: 44 persone vengono arrestate su un sito di lavoro e testimonianze riportano di agenti federali che inseguono delle persone in un parcheggio di Home Depot, nel quartiere di Westlake a L.A.
Nel pomeriggio, già i primi manifestanti si radunano all’ingresso del già citato palazzo di Edward R. Roybal, per chiedere la cessazione dei raid della polizia contro la popolazione immigrata.
Questo è solo l’inizio di una serie di proteste che poi si diffonderanno, come una marea inarrestabile, per tutta Los Angeles : il giorno dopo viene denunciata una immensa folla radunatasi a Paramount, piccolo sobborgo della metropoli, dove più dell’82% della popolazione ha origini ispaniche.
La situazione accelera in una manciata di ore: interviene il sindaco di L.A. Karen Bass, affermando che non ci sono stati raid dell’ICE per tutto sabato, ma sembra ormai complesso cercare di circoscrivere una situazione che invece sta esplodendo.
Alle 18 di sabato 7 giugno, infatti, il Presidente Donald Trump autorizza l’invio di 2000 membri della Guardia Nazionale, per cercare in qualche modo di ristabilire la legge nella città del sole.
La Guardia Nazionale è una sorta di corpo ibrido, che persegue interessi sia statali che federali, accompagnata a Los Angeles anche da oltre 700 marines per sedare una rivolta che, citando Trump, “è contro l’autorità dello stesso governo degli Stati Uniti d’America”.
L’8 giugno la California National Guard arriva in città, ma la situazione è lontana dall’essere sotto controllo. CBS News Los Angeles riporta una serie di incendi, mentre numerosi edifici e negozi sono stati il target di atti vandalici e graffiti, tra cui la sede del Los Angeles Times e la sede del LAPD, il dipartimento della polizia di L.A.
Quelle che si vedono di L.A. sono immagini che sembrano essere uscite da un film post apocalittico, di una città ridotta a fuoco e fiamme.
Dopo cinque giorni di scontri, il sindaco Karen Bass ordina il coprifuoco. Intanto, gli abitanti di altre città hanno aderito alla lotta della California e le proteste si sono estese a Boston, Atlanta, Dallas, Philadelphia e molte altre.
Si conta che fino a mercoledì 11 giugno, almeno 851 persone sono state arrestate nella metropoli del cinema.
Il nuovo regime delle deportazioni
L’ICE è un’agenzia federale che opera per controllare la sicurezza delle frontiere e della immigrazione, parte del Dipartimento della Sicurezza Interna, ordinato dall’allora Presidente Bush nel 2003 dopo gli attacchi dell’11 settembre.
L’ICE è diventata il grande antagonista degli ultimi giorni, accusata di essere il braccio esecutivo di una politica profondamente discriminatoria e razzista da parte del Presidente Trump.
Dal suo insediamento, infatti il miliardario ha fatto di tutto per stringere ancora di più le maglie dell’immigrazione, sia irregolare che regolare: ha cancellato la possibilità di chiedere asilo ai confini col Messico, ha vietato l’ingresso ai cittadini provenienti da dodici paesi, soprattutto dall’Africa e dal Medio oriente, vuole chiudere le università agli studenti internazionali e ha invocato una legge del 1798 per espellere cittadini del Venezuela appartenenti a bande criminali per inviarli a CECOT, la nuova Alcatraz di El Salvador, dove molti vengono rinchiusi senza accuse formali.
Trump ha inoltre minacciato di reintrodurre la Insurrection Act, una legge del 1807 che autorizzerebbe il presidente a usare personale militare per svolgere compiti di polizia all’interno del territorio USA.
Molti definiscono queste scelte di Trump più “consone a un dittatore, che a un presidente”, come tuona Gavin Newsom, governatore della California, sui social media, denunciando che le azioni dell’amministrazione repubblicana violano la sovranità dello stato californiano.
Si ritiene che, dall’insediamento di Trump, l’ICE sia stata trasformata in una macchina per le espulsioni che ha messo in atto un regime con una serratissima tabella di marcia: ogni giorno arrestare 3000 migranti senza documenti.
La città delle minoranze
Ma la città dell’estate per sempre è una metropoli complessa. Si contano quasi 4 milioni di abitanti, ed è la seconda città al mondo, dopo Città del Messico, per numero di abitanti messicani. In tutta la contea di L. A., 10 milioni di persone sono Latinos, il 16% ha origini asiatiche e un terzo dei residenti è nato fuori dai confini americani. Più o meno dal 1990, i bianchi sono la minoranza. Nel 2000 il Los Angeles Times definì la California un “minority-majority State”, ovvero uno Stato dove la minoranza è la maggioranza.
La California non è soltanto lo stato del sogno americano, del glamour di Hollywood e delle spiagge assolate, ma porta con sè una storia di segregazione razziale e di immigrazione.
Per decenni lo Stato è infatti stato cuore di un movimento per i diritti degli immigrati e delle minoranze: i Black Panthers nacquero a Oakland - California o ancora il movimento Chicano, che chiedeva parità di diritti e giustizia per i messicani americani.
La storia della città splendente è una storia di immigrazione, di comunità che vivono da decenni - spesso non facilmente - a contatto le une con le altre. La folla che in questi giorni conquistava le strade di L.A. era una folla che dimostrava la diversità della metropoli: Cynthia Guardano era alle proteste, lei che è nata negli Stati Uniti ma i cui genitori sono immigrati da El Salvador. Michelle Hernandez, figlia di immigrati messicani, protesta per paura di quello che potrebbe succedere alla sua famiglia e ai suoi amici nel caso di un raid dell’ICE. Jason Petty, professore di storia, è alle proteste perché ha sentito che gli agenti dell’ICE sono venuti nel quartiere dove va a scuola sua figlia.
Conclusione
Quello che sta accadendo a Los Angeles non è solo il riflesso di una crisi migratoria, ma lo specchio deformato di un’America che sembra smarrire il proprio senso di giustizia e umanità. Le immagini di bunker sotterranei, di famiglie separate e di soldati per le strade non appartengono a un Paese che si proclama faro di libertà, ma evocano scenari di repressione e autoritarismo. In una città costruita da generazioni di migranti, dove la diversità è parte integrante dell’identità collettiva, le misure estreme dell’amministrazione Trump rappresentano non solo un attacco ai diritti civili, ma un tradimento del sogno americano stesso.
La risposta della popolazione — multietnica, unita, determinata — dimostra che non tutti sono disposti a cedere alla paura e alla violenza istituzionale. Los Angeles si ribella non solo per sé stessa, ma per difendere un'idea di Paese in cui la dignità umana non sia merce di scambio politico. E forse, proprio in questa resistenza corale, si nasconde l’unica vera speranza di riscatto.
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