La situazione dei Rohingya, il "popolo senza stato"

Rohingya: la situazione a cinque anni dalla crisi

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  Arianna Amodio
  30 settembre 2022
  4 minuti, 38 secondi

Rakhine, Arakan, Rohang. Tre nomi diversi, un unico stato, che tanto unico ed unito non si sente. Lo stato del Rakhine, nella parte settentrionale della Birmania, al confine con il Bangladesh, è infatti da anni teatro di scontri ed azioni persecutorie perpetrate dal governo birmano nei confronti del gruppo Rohingya. I discorsi nazionalisti, che tentano di giustificare queste violenze, alludono ad una inesistente pericolosità, data dalla differente religione; motivazione che sembra lasciar trapelare un velo, se non di più, di puro razzismo e discriminazione.

L’etnia dei Rohingya è infatti una minoranza islamica, a fronte della maggioranza buddista, ed è considerata da sempre un rifugiato illegale, proveniente dal Bangladesh e stanziatosi in Birmania in modo illecito.

Questa condizione e’ peggiorata ulteriormente dal 1982, anno della promulgazione della legge sulla cittadinanza che escluse i Rohingya dalla lista delle 135 minoranze aventi diritto di cittadinanza e di conseguenza possessori a pieno titolo dei diritti più basilari, quali il libero movimento, l’accesso alla sanità e all’educazione.

Da quel momento i Rohingya sono diventati un popolo senza stato, quindi apolide: un popolo non riconosciuto, ma soprattutto non voluto.

L’esistenza dei Rohingya è diventata sempre più precaria e vulnerabile: attacchi, violenze, stupri e persecuzioni si sono susseguite in un costante crescendo, portando alla fuga di migliaia di persone e famiglie.

L’agosto del 2017 ha rappresentato l’apice di questa “pulizia etnica”, cosi come definita dall’Alto Commissario dei diritti umani; la cosiddetta “crisi dei Rohingya” ha determinato l’esodo di oltre 740.000 persone, i cui tentativi di fuga, via terra o via mare, sono stati in molti casi interrotti brutalmente, ad un passo dalla salvezza. L’azione di sgombero iniziata il 25 agosto dall’esercito birmano, fu la reazione alle altrettanto violente azioni dell’ARSA, l’Arakan Rohingya salvation army, il gruppo di ribelli Rohingya, considerati organizzazione terroristica dal governo del paese. L’ARSA, creata con l’obiettivo di salvaguardare la minoranza e ottenere quei diritti da sempre a loro preclusi, e’ poi degenerata nell’incubo non solo dei birmani induisti, spesso oggetto dei loro attacchi, ma anche degli stessi Rohingya, ulteriormente perseguitati perché accusati, anche illecitamente, di essere militi e membri dell'organizzazione.

Il 25 agosto del 2017, migliaia di uomini, donne e bambini sono stati attaccati indiscriminatamente nelle moschee o nelle loro case, spesso uccisi sul colpo; case ed interi villaggi rohingya sono stati bruciati e rasi al suolo, e sui loro terreni sono stati poi ricostruiti altri edifici e strade. Ogni traccia della loro esistenza e del loro passaggio e’ stata eliminata, cosi come la possibilità, per coloro che sono fuggiti, di poter tornare a vivere nelle loro case e terreni in un futuro piu sicuro.

I numerosi report pubblicati negli anni, hanno denunciato le diverse brutalità perpetrate, con le conseguenti violazioni di numerosi diritti umani tra cui deportazione, stupro, tortura, deprivazione della libertà fisica, assassini, uso di mine… Purtroppo a livello internazionale ancora poco o niente é stato fatto. 

Appare difficile non parlare di genocidio, e nonostante all’opposto non si possano completamente giustificare le azioni rivendicative dell’ARSA, in quanto anch’esse spesso a danno di innocenti civili, la situazione dei Rohingya non può continuare a rimanere inosservata e irrisolta.

A cinque anni da quel terribile agosto la popolazione Rohingya si trova ancora rifugiata nei campi profughi di un paese, il Bangladesh, che fa fatica a sostenere anche solo i propri concittadini. Un recente accordo tra Bangladesh e Myanmar sembra aver previsto il rimpatrio dei profughi, rimpatrio che risulta chiaramente impossibile, sia per l’inesistenza delle loro vecchie case, sia per il rifiuto da parte della stessa minoranza. A distanza di cinque anni infatti, non si sentono ancora tranquilli e sicuri a tornare in quello che una volta era il loro paese e la loro casa, a distanza di cinque anni nessuno di loro è riuscito a dimenticare e ad andare avanti: chiedono che sia fatta giustizia e che siano accusati e finalmente incriminati coloro che lo meritano.

Il ricordo della fuga, delle tremende perdite, delle esplosioni delle mine, poste lungo il confine tra Bangladesh e Birmania, lungo quella striscia di terra che ogni profugo è obbligato a percorrere per raggiungere la salvezza, è ancora vivido nella memoria; i racconti dei rifugiati, raccolti e pubblicati nei vari report, non fanno altro che descrivere l’ennesima ingiusta realtà.

In particolare il report di agosto 2022 di Amnesty International suggerisce nelle raccomandazioni finali forse l’unica soluzione alla situazione della minoranza e cioè attività da un lato e passività dall’altro, un piano di azioni e inazioni combinate che prevedano la partecipazione di diversi soggetti; l’organizzazione infatti chiede maggior intervento e presenza alla comunità internazionale e all’assemblea delle Nazioni Unite, cosi come la fine delle attività dell’esercito birmano da una parte e dell’ARSA dall’altra.

Una compartecipazione che vada nell’interesse soprattutto dei Rohingya e che porti al tanto sperato e immaginato ritorno dei profughi; una compartecipazione che rappresenti la conquista della cittadinanza, dei conseguenti diritti e il recupero della dignità umana.

Le fonti impiegate per la stesura della presente pubblicazione sono liberamente consultabili: 

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2021-2022/

https://mapping-crimes-against-rohingya.amnesty.org/#01_geo_02 

https://www.savethechildren.it/blog-notizie/ancora-sofferenze-il-popolo-rohingya-5-anni-dalla-fuga-dal-myanmar

https://www.savethechildren.it/blog-notizie/chi-sono-i-rohingya-e-cosa-sta-succedendo-al-confine-fra-myanmar-e-bangladesh

https://www.osservatoriodiritti.it/2019/04/17/rohingya-chi-sono-genocidio-crisi-birmania-myanmar-bangladesh/

https://it.insideover.com/migrazioni/i-rohingya-un-popolo-alla-ricerca-di-una-terra-da-abitare.html

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L'Autore

Arianna Amodio

Arianna Amodio, classe 2001, iscritta al terzo anno della Triennale di Scienze delle Relazioni Internazionali dell'Università Statale di Milano, é autrice per la sezione di Diritti Umani del MIPost. Interessata a questioni inerenti in particolare alla tutela dei diritti umani e a progetti di peace building, aspira ad una carriera giornalistica.

Categorie

Diritti Umani

Tag

Migrazioni myanmar discriminazione razzismo