L'attacco di Hamas: davvero un 11 settembre per Israele?

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  Redazione
  13 novembre 2023
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo sviluppo di Mondo Internazionale APS

Prima ancora che l'esercito israeliano abbia iniziato la preannunciata quanto massiva operazione di terra a Gaza per spazzare via Hamas sulla scia degli atroci attacchi del gruppo militante, nella percezione comune l'intero Medio Oriente appare quasi sull'orlo di una catastrofe. Se gli scenari di una guerra regionale totale si realizzeranno materialmente dipenderà molto anche dai prossimi passi che Israele compirà: è qui che risiede l'analogia molto utilizzata in questi giorni che definisce gli attacchi come “ l'11 settembre di Israele”.

Il parallelo va subito al patetico fallimento dell’intelligence di Gerusalemme che ha permesso a un gruppo – per altro numeroso - di terroristi di colpire potentemente al cuore la democrazia israeliana. L’unica esistente in tutto il teatro mediorientale. Le autorità di Gerusalemme si sono dimostrate a dir poco impreparate, il che ha provocato il più elevato numero di vittime dall’epoca della fondazione dello Stato, avvenuta nel 1948. Questo tragico avvenimento assunto isolatamente distingue e separa questi recenti attacchi dai consueti “tumulti in Medio Oriente” che spesso affollano le prime pagine dei maggiori quotidiani. Il momento della resa dei conti politica arriverà subito dopo, una volta che la guerra iniziata da Hamas si concluderà con una prevedibile vittoria di Israele.

L’obiettivo finale

Ma questo porta ai quesiti più cruciali sollevati dal concetto e dall’antico avvenimento storico del “11 settembre di Israele”:

Qual è lo scopo di questo grande gioco nell’area? Come intende agire Israele nei confronti di Gaza dopo la resa e/o l'annientamento di Hamas? E, più in generale, come Israele vede se stesso e i suoi vicini tra, diciamo, 25 anni, quando celebrerà il centenario della sua nascita ?

Ripensandoci adesso, nella propaganda di alcune parti del mondo, l’11 settembre rappresenta, secondo alcuni protagonisti antioccidentali, l’arroganza americana e la eccessiva sovraestensione della politica cosiddetta di potere USA.

Ma non è sempre stato così.

Che gli Stati Uniti si sarebbero difesi dagli attacchi terroristici di Al-Qaeda era un dato scontato fin dal 2001. Così facendo ha potuto contare sul sostegno simbolico e concreto di molti paesi in tutto il mondo. Basta pensare che a quei tempi persino l’Iran – che oggi finanzia e rifornisce il gruppo terroristico di Hamas - contribuì concretamente alla lotta contro i talebani in Afghanistan. Tuttavia, con il (fallito) progetto USA di “poter esportare la democrazia” e con l’invasione dell’Iraq del 2003, la stella americana ha cominciato a decadere.

Due decenni dopo, alcune centinaia di migliaia di morti, per lo più civili, e alcuni trilioni di dollari spesi in una interminabile campagna militare, gli Stati Uniti sono ora un attore comunque potente e rispettato – anche se talvolta obtorto collo - anche in quella regione.

La lotta strategica di Israele inizia al suo interno

Per Israele, la sfida odierna è quella di mantenere il senso delle proporzioni politiche e geostrategiche nella sua risposta immediata e lavorare prudentemente verso l’ottenimento di fatto di obiettivi di valenza magari intermedia ma efficaci e strategici per quanto attiene alla propria sicurezza e stabilità statuale. E’ un’opera che inizia sul fronte interno, dove la sospensione del tentativo del primo ministro Benjamin Netanyahu di abolire il controllo giudiziario su di sé, così come l’ingresso dell’esperto generale Benny Gantz nel gabinetto di guerra, hanno rappresentato sviluppi importanti.

Alimentato dai membri più estremisti di una coalizione di estrema destra – così come dalle mire personali di Netanyahu di sfuggire al processo giudiziario che lo riguarda direttamente – la spaccatura che questo progetto ha causato nella società israeliana è troppo grande per poter essere mediata completamente. Se Israele vuole vincere su Hamas ed emergere più forte di prima come società e popolo, dovrà andare oltre al solito raduno attorno alla propria bandiera sulla scia degli attacchi dell’ultimo 7 ottobre.

Nel settembre del 2001, gli americani si erano uniti in modo simile, appoggiando un presidente che non era nemmeno stato eletto dalla maggioranza della popolazione e aveva prestato giuramento dopo un lungo braccio di ferro legale. Oggi, tuttavia, il Paese è più diviso che mai, e una delle ragioni di ciò sono le “ guerre eterne ” iniziate in risposta all’11 settembre, compreso il loro enorme costo gravato sui contribuenti statunitensi. Ora, gli appelli a uno “splendido isolamento” sono di nuovo in voga, soprattutto tra il partito democratico che aveva fatto della democratizzazione del Medio Oriente la sua missione più esaltante poco più di 20 anni fa. Ciò porta ad un’altra lezione da imparare da quell’11 settembre poiché, a differenza degli Stati Uniti, Israele non è circondato da due vicini pacifici (Messico e Canada) e da due oceani.

L’equilibrio fra i vicini

Il superamento della più formidabile recinzione attorno a Gaza da parte di Hamas ha già dimostrato che Israele non sarà in grado di ritirarsi da solo e che alla fine sarà costretto a trovare un equilibrio con i paesi della sua regione. Negli ultimi anni, il governo israeliano si è infatti concentrato su un riavvicinamento con alcuni influenti stati arabi – anche se sostanzialmente di natura economico – mentre le richieste e aspirazioni palestinesi sono state deliberatamente lasciate da parte in questo processo storico. Un accordo con l'Arabia Saudita, mediato da Washington , avrebbe dovuto completare con successo questa strategia, legando Israele al Paese che ospita i luoghi più sacri dell'Islam e che è tradizionalmente visto come il protettore dei palestinesi.

Tuttavia, l’accordo avrebbe limitato in modo permanente i diritti dei palestinesi, la maggior parte dei quali soffre sotto l’occupazione israeliana, così come l’incompetenza e la natura autoritaria della loro leadership, sia in Cisgiordania che a Gaza. Se non altro, gli orribili attacchi di Hamas sottolineano che, senza un’intesa diretta tra Israele e palestinesi, una pace duratura è e sarà impossibile da attuarsi.

Qualunque siano gli incentivi economici e tecnici che Israele possa offrire o la protezione di alta sicurezza che sta costruendo autonomamente, il paese potrà solo guadagnare tempo prima che un eventuale accordo possa garantire ai palestinesi il proprio Stato e che questo sia riconosciuto dall’assise degli altri stati e dalle Nazioni Unite. Vale pure l’eventuale consenso proveniente da altre componenti palestinesi, dissidenti dalle attuali classi dirigenti in Cisgiordania.

“ Terra per la pace” sembra essere ancora l’unica formula sulla quale tutti possono concordare un’intesa. Oggi il mondo sta ad osservare Israele e come risponderà militarmente, oltre che politicamente, agli atroci attacchi di Hamas. Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente – che ha lottato con tenacia al suo interno nell’ultimo anno ed ora è pericolosamente ferita. Essa può, sfortunatamente, confidare su meno simpatia di quanto potevano contare gli Stati Uniti nel 2001, ma in un futuro di pace duratura anche Israele dovrà sforzarsi di fare del suo meglio.

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