Le microplastiche

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  Chiara Andreoli
  27 aprile 2023
  6 minuti, 5 secondi

Le microplastiche sono minuscole particelle di materiale plastico con un diametro compreso tra i 330 micrometri e i 5 millimetri. Diversi studi scientifici dimostrano la loro pericolosità per la salute dell’uomo e per l’ambiente ed i danni maggiori si registrano negli habitat marini ed acquatici. Questo perché, essenzialmente, quando la plastica finisce in acqua, si scioglie in frammenti più piccoli per diverse ragioni: l’effetto dei raggi ultravioletti, il vento, le onde, i microbi e anche le alte temperature. Sono molti gli elementi che concorrono al deterioramento delle plastiche in mare, quindi è molto difficile stabilire con assoluta certezza quanto un singolo polimero impieghi a diventare microplastica.

L’inquinamento da plastica è un problema a cui da anni si cercano soluzioni e si tratta, inoltre, di uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile - Sustainable Development Goals, Sdg -, ma non solo; diversi Paesi ed organizzazioni si impegnano per fornire guide ed alternative per ridurre il consumo di plastica e cercare di limitare, e se possibile risolvere, questa problematica che ha gravi conseguenze sia sull’ambiente sia sulla salute umana.

Produzione e smaltimento della plastica

La produzione di plastica è aumentata esponenzialmente tra gli anni trenta e gli anni duemila. Si stima una crescita del 38 percento solo negli ultimi dieci anni e, secondo Greenpeace, più plastica viene utilizzata, più ne viene buttata, direttamente o indirettamente nei mari (almeno otto milioni di tonnellate l’anno).

A livello mondiale, secondo una ricerca pubblicata su Science Advances, è stato calcolato che la produzione di plastica globale nel 2016 è stata di 422 milioni di tonnellate. Nello stesso anno la produzione globale di rifiuti di plastica è stata di 242 milioni di tonnellate.

Una recente ricerca pubblicata dalla Pew Charitable Trusts (organizzazione non governativa statunitense) ha calcolato che, grazie agli strumenti e alla tecnologia che oggi esistono potremmo riuscire a diminuire la quantità di plastica che finisce negli oceani dell’80%; lo studio evidenzia anche che al momento le attività umane riversano in mare ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di plastica che, se non si effettuerà nessun intervento in questo senso, saranno 29 tonnellate entro il 2040.

La ricerca, però, sottolinea anche un’altra questione di fondamentale importanza: non esiste una soluzione unica per risolvere il problema. Ciò che potrebbe portare a risultati importanti è la convergenza di più soluzioni, di cooperazione su più fronti per diminuire la produzione di materiali plastici, innalzarne la qualità laddove sono indispensabili e migliorare ulteriormente le fasi di raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti.

Le conseguenze delle microplastiche sull’ambiente marino: una stretta correlazione con la salute

Nell’ambiente marino, la plastica è presente in diverse forme: sacchetti, piccole sfere, materiale da imballaggio, rivestimenti da costruzione, recipienti, polistirolo, nastri e attrezzi per la pesca. Come ha spiegato Rosalba Giugni, presidente dell’associazione Marevivo, “gli impianti di trattamento delle acque sono in grado di intrappolare plastiche e frammenti di varie dimensioni mediante vasche di ossidazione o fanghi di depurazione; tuttavia, una larga porzione di microplastiche riesce a superare questo sistema di filtraggio, giungendo in mare”. Questo dopo essere stati gettati nei fiumi che poi sfociano nei mari e negli oceani.

Quando si trovano in mare, queste sostanze vengono ingerite dalla fauna - in particolare da plancton, invertebrati, gabbiani, pesci ma anche da balene e squali - e, secondo l’Ispra, circa il 15-20 percento delle delle specie marine che finiscono nei nostri piatti contengono microplastiche. Secondo un altro studio, condotto dai ricercatori dell’Università nazionale d’Irlanda che hanno pescato nel mare del Nord i pesci mesopelagici che vivono tra i 200 e i 1.000 metri di profondità, la percentuale di microplastiche presenti in queste specie salirebbe addirittura al 73 per cento.

La plastica ingerita da pesci, molluschi e crostacei finisce nei piatti dei consumatori ed il rischio è lampante anche per gli esseri umani: gli inquinanti rilasciati dalle microplastiche vengono ingeriti e poi assorbiti dall’organismo umano.

In particolare, ciò che desta preoccupazione, sono le elevate concentrazioni di agenti come gli inquinanti organici persistenti (Pop), tra i quali ci sono i policlorobifenili (Pcb) e il diclorodifeniltricloroetano (ddt) – chiamati così perché tossici e resistenti alla decomposizione.

Quanto è grande il problema?

L’inquinamento da microplastiche ha raggiunto volumi davvero allarmanti. Essendo molto stretto il legame che c’è tra lo smaltimento non corretto di materiale plastico e la filiera che porta cibo e acqua nelle nostre case, molti ricercatori hanno iniziato a studiare il fenomeno per indagarne i volumi ed eventuali conseguenze. Si è cercato di misurare quante microplastiche l’uomo possa “mangiare” e quali siano i possibili danni alla salute. Uno studio ha calcolato che, in media, vengono ingeriti 5 grammi di plastica a settimana. Per quanto riguarda il ciclo dell’acqua, più studi hanno ritrovato tracce di plastica sui fondali degli oceani, nei mari, nei laghi, ma anche sulle nevi delle montagne più alte (Everest compreso) e tra i ghiacci dell’Artico. Questo significa che l’acqua che beviamo è potenzialmente inquinata da microplastiche.

Sicuramente, il problema non è circoscritto all’ambiente marino ed il consumo di pesce o molluschi non è l’unico modo in cui si entra in contatto o si ingeriscono microplastiche. Queste ultime sono presenti, oltre che nell’acqua ed in determinati alimenti, anche nei prodotti di cosmesi e make-up, nei tessuti sintetici o negli pneumatici.

Quali sono le soluzioni a cui sta lavorando l’Ue?

A settembre 2018 gli eurodeputati hanno approvato una strategia contro le plastiche che mira ad aumentare i tassi di riciclaggio dei rifiuti di plastica nell’UE. Inoltre, è stato richiesto alla Commissione di introdurre in tutta Europa il divieto di aggiungere intenzionalmente microplastiche nei prodotti cosmetici e nei detergenti entro il 2020 e di muoversi a favore di misure che minimizzino il rilascio delle microplastiche dai tessuti, dagli pneumatici, dalle pitture e dai mozziconi di sigaretta.

A ottobre, il Parlamento ha approvato il divieto in tutta Europa per prodotti di plastica usa e getta, trovati in abbondanza nei mari e per cui sono già disponibili delle alternative non di plastica. Gli eurodeputati hanno aggiunto anche le plastiche ossi-degradabili - plastiche comuni che si rompono facilmente in piccolissimi pezzi a causa degli additivi contenuti e contribuiscono così all’inquinamento delle microplastiche negli oceani - alla lista dei materiali da proibire. Nel 2015, il Parlamento ha votato a favore di una restrizione dei sacchetti di plastica in Europa.

Come dichiarato anche dall’ONU, l’inquinamento da rifiuti plastici è un problema globale, “una delle più grandi minacce in assoluto per il nostro Pianeta”. Soprattutto oggi, che il mercato mette a disposizione diverse possibilità e materiali che si possono utilizzare in sostituzione alla plastica, è fondamentale cercare delle alternative eco-friendly e sostenibili, sia per il bene dell’ambiente, sia per il benessere umano. 

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Fonti utilizzate per il seguente articolo:

Microplastiche: origini, effetti e soluzioni | Attualità | Parlamento europeo (europa.eu)

Cosa sono le microplastiche e perché fanno male alla salute umana e del Pianeta - LifeGate

Microplastiche acqua rubinetto: quante ne ingeriamo ogni giorno (laica.it)

Cosa sono le microplastiche? Guida a tutti i dettagli (laica.it)

https://www.lifegate.it/microplastiche-cosa-sapere#produzione

Multicoloured Plastic Beads Toy - Free photo on Pixabay

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L'Autore

Chiara Andreoli

Tag

ambiente e sviluppo