Le superpotenze globali guardano ancora all'Indo-Pacifico

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  Redazione
  18 maggio 2023
  7 minuti, 31 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale Post

L'indebolimento a livello economico, politico e militare della Russia conferma ulteriormente che il gioco si sta svolgendo nell'Indo-Pacifico. Più baricentrico che mai. Mentre l'invasione russa dell'Ucraina può suggerire il contrario, non vi è alcun ritorno del centro di gravità geopolitico nell'Atlantico. È ancora più di prima nell'Indo-Pacifico.

Le ragioni di questa posizione contro-intuitiva sono diverse, ma plausibili e obbedienti ad un criterio strategico e geopolitico.

In questo caso, per gli Stati Uniti, il principale avversario in relazione alle loro mire geostrategiche globali continua ad essere la Cina Popolare.

Nel frattempo, la Cina è concentrata nell’impegno internazionale di creare le migliori condizioni politiche e commerciali capaci di concorrere e alla fine sostituire gli Stati Uniti come superpotenza globale entro la metà di questo secolo. Pechino dice entro il 2050. La guerra d’aggressione della Russia contro l’Ucraina non ha cambiato questa realtà. Ed entrambe le parti stanno muovendo i loro pezzi in questo grande gioco, scrutandosi a vicenda in modo sempre più intraprendente, e talvolta pure cinico e aggressivo. Il rischio di cadere nella "trappola di Tucidide" rimane in auge.

In questa luce, è sufficiente valutare gli sviluppi di alcuni episodi recenti.

In primis, l’ultima visita di Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti, in Giappone e Corea del Sud ha voluto riaffermare la volontà americana di rispettare i propri impegni relativi alla sicurezza reciproca e di promuovere il loro riavvicinamento a scopo preventivo.

D'altra parte, un altro incontro si è svolto a Tokyo al più alto livello del QUAD – alleanza politico-militare internazionale che comprende Giappone, Australia, Stati Uniti e India – in un chiaro tentativo di controbattere le dichiarazioni provocatorie del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in senso anti americano.

La cooperazione sta crescendo sulle questioni di sicurezza, comprese le manovre aeronavali congiunte nella vasta area dell’indo-pacifico.

A livello internazionale è stato notevole lo sforzo di incorporare l'India in un'alleanza in crescita come il QUAD, il cui primario obiettivo implicito è il contenimento dell'espansionismo sempre più aggressivo della Cina.

Non è circostanziale che la Cina, approfittando dell'equidistante atteggiamento indiano nella guerra in Ucraina, stia cercando di avvicinarsi al suo tradizionale avversario storico (la Russia) sulle possibili soluzioni al confronto laico in merito agli enormi confini fra i due. Tra l’altro, in alcuni tratti, non sempre chiaramente e definitivamente delimitati.

Continua l’ambiguità diplomatica ?

Lentamente, gli Stati Uniti modulano la loro dottrina tradizionale nei rapporti di politica internazionale con Pechino secondo un’ "ambiguità con finalità strategica", stabilita dopo la storica visita di Nixon a Pechino ed i suoi accordi definiti con Mao Tse-Tung, nel 1972.

Tale dottrina USA sostiene la duplice tesi di "una sola Cina", da un lato riconoscendo alla Repubblica Popolare il pieno status nazionale unicamente sotto il profilo internazionale, mentre dall’altro si impegna a sostenere la Cina nazionalista di Taiwan di fronte a qualsiasi tentativo di integrazione non pacifica o che avvenga non di comune accordo.

Il dibattito negli Stati Uniti è aperto e i sostenitori dell'abbandono di tale ambiguità sono sempre più in maggioranza in entrambi i partiti. Essi sostengono che le circostanze politiche ed economiche sono decisamente cambiate e la Cina appare sempre più desiderosa di reintegrare Taiwan, anche usando la forza militare.

La dimostrazione più eclatante è rappresentata dalle continue e provocatorie intrusioni di velivoli di superiorità aerea cinesi nello spazio aereo di Taiwan, così come le centinaia di pattuglie militari travestite da barche "da pesca" presenti nelle acque territoriali contese tra i due nel Mar Cinese Meridionale. Ovvero quelle che circondano l'arcipelago di Spartly o le Paracels.

La posizione degli USA

La risposta americana all'aggressione russa deve essere letta in questo contesto. Gli Stati Uniti non permetteranno alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi egemonici e in questo hanno impegnato l'Alleanza Atlantica e, nonostante alcune (oggi già superate) difficoltà interne, anche l’Unione Europea e l'intero Occidente nel suo complesso.

Il messaggio è chiaro: il costo militare, materiale e in vite umane per la Federazione Russa sarà insopportabile – i segni già si vedono – e lo sarebbe certamente anche per la Cina Popolare se optasse per un'invasione territoriale di Taiwan.

Le dichiarazioni di Biden vanno anche oltre.

In Ucraina, il sostegno all’Ucraina e al suo governo legittimo è indiscutibile, ma non include il coinvolgimento militare sul terreno o la partecipazione a operazioni aeree in profondità, per evitare un confronto diretto della NATO con la Russia.

Nel caso di Taiwan, l'impegno USA include questo aspetto del proprio coinvolgimento militare, oltre alla protezione diretta di altri alleati nell'area, come l'Australia, e il sostegno ancora più esplicito del Giappone e della Corea del Sud.

Allo stesso tempo, Biden sta cercando di invertire ciò che nel tempo si è rivelato un grossolano errore strategico di Donald Trump non ratificando la “Trans-Pacific Partnership” (TPP) e spingendo il suo principale promotore, il Giappone, ad approvarlo senza gli Stati Uniti, presumibilmente in attesa di un cambio di posizione politica al vertice.

Le iniziative USA

Biden ha lanciato l' “Indo-Pacific Economic Framework” (IPEF), un "sostituto" del TPP, più flessibile e adattabile alle circostanze, al fine di superare le prevedibili difficoltà che un trattato di questa complessità potrebbe incontrare per essere approvato a Washington.

Non si tratta, quindi, di un accordo commerciale in senso formale, ma poggia seriamente su quattro pilastri: promuovere il commercio, in particolare quello digitale, investire nelle infrastrutture relative alle energie rinnovabili, contrastare la corruzione e affermare regole più corrette di bilancio.

Pertanto, si tratta di aprire un percorso virtuoso mirato a adottare questo schema operativo che riguardi, oltre al Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, anche i sette paesi dell'ASEAN (tranne Myanmar, Cambogia e Laos) e, significativamente, l'India.

A farne la somma, questo gruppo di nazioni rappresenterebbe circa il 40% del PIL globale e, sebbene soffra dell'assenza di alcuni paesi nelle Americhe, è compensato dal peso dell'India, non solo demograficamente ed economicamente, ma dal suo peso nel panorama politico internazionale.

Va anche notato la sua apertura ad altri Stati insulari del Pacifico. Le isole Figi hanno già mostrato il loro interesse.

Questa iniziativa si aggiunge all'implementazione, promossa dal QUAD, dell'Alleanza per la conoscenza del Dominio Marittimo in Indo-Pacifico, che includerebbe tutte le isole dell'oceano.

Infatti, non si deve dimenticare il ruolo strategico svolto dalle isole dell’oceano Pacifico nel corso della seconda guerra mondiale e l’aspro confronto tra Stati Uniti e Giappone per il dominio dell’area dell’indo-pacifico.

Le intenzioni cinesi

Va notato che tutte queste iniziative arrivano a contrastare la chiara volontà cinese di espandere la propria influenza in questo ampio teatro, a scapito non solo degli Stati Uniti, ma anche dell'Australia, tradizionale garante della sua sicurezza.

Ciò è ancora più rilevante, specie dopo l’entrata in vigore dell’ “AUKUS”, l'accordo politico-militare stipulato tra Usa, Regno Unito e Australia a scapito della Francia - a sua volta storicamente presente nella regione, con possedimenti in Polinesia – per la fornitura a Canberra di sottomarini a propulsione nucleare e della più alta e sofisticata tecnologia militare – fino ad ora non condivisa con nessuno – da parte di Washington. La risposta della Cina è chiara: rappresentata da un peggioramento delle proprie relazioni con l'Australia, pur essendo il suo principale partner commerciale.

È in corso un rapporto di collaborazione tra Cina ed isole del Pacifico che comprende la sicurezza, le regole di dogana e la pesca commerciale con le isole Salomone. Che prevedibilmente includono la possibilità di stabilire una base militare in esse, qualcosa che fino ad ora la Cina si è materializzata solo e non oltre a Gibuti, all'ingresso del Mar Rosso attraverso lo stretto di Bab-el Mandeb.

La Cina intende estendere tale accordo con un negoziato già avanzato con Kiribati e colloqui con le isole di Samoa, Tonga, Figi, Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Timor Est.

Ancora più preoccupante appare l’azione cinese a favore di altre autocrazie e democrazie illiberali sulla duplice base e intesa della non interferenza e nel rifiuto dell’importante ruolo statunitense nel mondo.

In sintesi, entrambe le parti (USA e Cina) stanno rapidamente muovendo i loro rapporti tra molteplici accordi economici e commerciali, strategici, di finanziamento delle infrastrutture e di lotta agli effetti dei cambiamenti climatici (enormemente sensibili nella regione, più che in Occidente), che però non nascondono sia la competizione strategico-militare che la tutela delle sfere di influenza di ognuna.

La posta in gioco è che la presenza americana (e australiana) nella regione scompaia e pertanto che gli Stati Uniti cessino di essere una superpotenza globale a scapito di una Cina il cui obiettivo principale è, appunto, sostituirla in quel ruolo.

Indubbiamente, sono parole grosse: l'indebolimento della Russia conferma ulteriormente che il gioco massimamente importante si sta svolgendo nella vasta area dell’Indo-Pacifico.

Nonostante le apparenze.

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Asia Orientale

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