L'impatto dell'attacco di Hamas sull'unità del fronte arabo

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  Redazione
  20 ottobre 2023
  7 minuti, 28 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Con il suo recente attacco ad Israele, Hamas ha leso profondamente il già precario senso di unità vigente nel mondo arabo. L’America per conto suo deve contribuire a prevenire un conflitto più ampio, in Cisgiordania e in tutta l’area mediorientale.

Il fatto

Il 7 ottobre scorso Hamas ha scatenato un feroce attacco terroristico contro Israele e da quando Israele ha iniziato la sua massiccia risposta nella Striscia di Gaza, i governi arabi si sono trovati in una situazione oltremodo difficile da gestire. Infatti, diversi di loro avevano stipulato, oppure erano in procinto di redigere, accordi di valenza storica e innovativa intesi alla normalizzazione politica e relazionale con Israele, in specie con i vicini immediati di Israele oltre a quelli partner di pace da lunga data, come Giordania ed Egitto. Questi ultimi hanno goduto finora – anche economicamente - di relazioni diplomatiche e di sicurezza reciprocamente vantaggiose che hanno contribuito alla sicurezza sull’ampia area regionale.

Allo stesso tempo, il sostegno alla causa palestinese è elevato tra le popolazioni arabe, e nel mezzo di una guerra che sembra destinata a causare massicce distruzioni a Gaza, i leader arabi devono in qualche modo seguire una linea di politica internazionale molto attenta e prudente per evitare di innescare una più grave reazione sia interna che diplomatica.

Nel frattempo, la traballante Autorità Palestinese, da tempo al potere in Cisgiordania, si trova ad affrontare sfide crescenti. Con un crollo della sicurezza durato mesi, l’Autorità Palestinese ora si trova di fronte alla reale possibilità che la Cisgiordania possa essere malauguratamente coinvolta militarmente nella guerra di Hamas con Israele, mentre i combattimenti diventano più sanguinosi a Gaza.

Le divisioni arabe

Con l’evolversi di questa situazione dal carattere esplosivo, nel mondo arabo hanno cominciato ad emergere nette divisioni. Il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti, che hanno sottoscritto gli Accordi di Abramo con Israele, hanno rilasciato dichiarazioni in cui condannano chiaramente Hamas, con il governo degli Emirati che ha definito le azioni del gruppo una “seria e grave escalation” e ha dichiarato di essere “sconvolto” dagli attacchi contro i civili. Gli accordi di Abramo sono una congiunta dichiarazione formale stipulata tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, firmata il 13 agosto 2020. Successivamente a tale data, la stessa denominazione è stata utilizzata per riferirsi collettivamente agli accordi stipulati tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (l'accordo di normalizzazione Israele-Emirati Arabi Uniti) e Bahrein, rispettivamente (l'accordo di normalizzazione Bahrein-Israele).

A sua volta, il Qatar, il principale sostenitore, soprattutto economico, arabo di Hamas, si è scagliato contro Israele e ha adottato un linguaggio molto simile a quello di Hamas. Inoltre, il canale in lingua araba di Al Jazeera, un canale di notizie finanziato dal Qatar che raggiunge decine di milioni di persone in tutto il mondo arabo, è effettivamente servito in questi giorni da portavoce di Hamas.

Poi c’è l’Arabia Saudita, alleato degli Stati Uniti e forse l’attore regionale più importante oggi. L’Arabia Saudita stava facendo progressi diplomatici negli storici colloqui mediati dagli Stati Uniti con Israele al momento dell’attacco, ma cerca anche di mantenere o forse addirittura rafforzare il suo ruolo di paese leadership nel mondo arabo e per il sostegno ai palestinesi.

Di fronte a questo panorama regionale altamente delicato, fragile e complesso, gli Stati Uniti devono ora cercare di bilanciare obiettivi potenzialmente eterogenei e politicamente contrastanti, compreso il sostegno a Israele nella sua risposta all’attacco senza precedenti di Hamas, la prevenzione di una guerra più ampia, la stabilizzazione della Cisgiordania e la gestione delle migliori relazioni con i partner arabi. Nel corso di questi tentativi, gli Stati Uniti sono stati chiari nel loro fermo sostegno a Israele politicamente, militarmente e diplomaticamente, sollecitando ripetutamente lo stesso Israele a rispettare le leggi di guerra.

La guerra è nelle sue fasi iniziali. Le pressioni concorrenti nella regione peggioreranno man mano che il conflitto a Gaza si intensificherà e le vittime palestinesi aumenteranno rapidamente.

Cosa pensano i paesi vicini ?

Come il resto del mondo, i governi arabi sono stati colti di sorpresa dalla portata e dalla brutalità senza precedenti dell'attacco di Hamas. Condividevano l'ipotesi israeliana secondo cui Hamas al momento non era interessata a una grande escalation, ma era invece impegnata con le richieste del governo di Gaza e scoraggiata dal bastone e dalla carota provenienti dagli israeliani. Prima del 7 ottobre, sembrava che la strategia di Hamas fosse focalizzata sulla destabilizzazione della Cisgiordania pur mantenendo una certa calma a Gaza.

Consideriamo i vicini di Israele, Egitto e Giordania, che hanno entrambi reagito con cautela subito dopo l'attacco. I funzionari egiziani si sono astenuti dal condannare Hamas, hanno chiesto una riduzione della tensione e hanno criticato le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi. La Giordania ha reagito in modo simile, esprimendo sostegno alla causa palestinese. In effetti, sia la Giordania che l’Egitto hanno popolazioni che sostengono fortemente i palestinesi e hanno preoccupazioni immediate di sicurezza nazionale a cui pensare.

Infatti, entrambi i governi sono sfidati politicamente a livello nazionale dai gruppi di opposizione islamici i quali sono accesamente solidali con Hamas. In realtà, l’offensiva israeliana contro Gaza ha già provocato manifestazioni e disordini di piazza in entrambi i paesi. Di conseguenza, entrambi i paesi sono in allerta. L’Egitto ha dichiarato esplicitamente che non permetterà grandi flussi di rifugiati da Gaza verso il suo territorio. E la Giordania ha vietato le manifestazioni vicino al confine con Israele.

Altre complessità

I politici stanno osservando l’Arabia Saudita con particolare attenzione. Al momento dell’attacco di Hamas, l’amministrazione Biden sembrava stesse facendo progressi verso la mediazione di un accordo storico tra Arabia Saudita e Israele per normalizzare le relazioni. Oltre ad ancorare saldamente l’Arabia Saudita all’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti in un momento in cui Washington è stata percepita come un punto di svolta lontano dal Medio Oriente, questi negoziati miravano anche a garantire significativi impegni israeliani riguardo alla questione palestinese.

Il ruolo di Riyad

L’Arabia Saudita gioca un ruolo di primo piano nel mondo islamico in quanto custode dei luoghi più sacri dell’Islam. Inoltre, la causa palestinese è abbastanza popolare tra i cittadini sauditi. Ancora, i discorsi sulla normalizzazione con Israele hanno esposto il regno saudita all’accusa di abbandonare la questione palestinese. Con lo scoppio della guerra tra Hamas e Israele, questi colloqui si sono per il momento interrotti.

Attualmente, non sembra che il governo saudita stia coltivando legami formali con Israele in un frangente così acuto come questo nel quale questo paese è in conflitto frontale con i palestinesi. In effetti, il forte sospetto che si sta affermando è anche quello che l’attacco di Hamas avesse l’obiettivo, almeno in parte, di far fallire questo riavvicinamento israelo-saudita, giunto ad un buon punto della trattativa bilaterale.

Non a caso, dopo l'attacco, Riyadh ha rilasciato un'attenta dichiarazione a sostegno dei palestinesi ma senza esprimere chiare parole di approvazione né di condanna delle sanguinarie azioni di Hamas. Peraltro, l’Arabia Saudita è rimasta in stretto contatto con gli Stati Uniti e i principali paesi arabi. E’ chiaro che il governo saudita sta cercando di raggiungere due obiettivi diversi ma fondamentali:

  • Da un lato vuole mantenere e possibilmente rafforzare il suo ruolo di leader nell’ambito della diplomazia di tutta l’area mediorientale. Sebbene tradizionalmente cauto, il Paese ha adottato un approccio molto più proattivo alle relazioni estere sotto la guida del principe ereditario Mohammed bin Salman, il suo leader de facto.
  • Dall’altro, l’Arabia Saudita resta fedele a quello che rimane il suo obiettivo primitivo e di lunga data di creare uno Stato palestinese, anche se è del tutto consapevole che ciò non potrà avvenire se non in tempi lunghi. Paucis verbis, l’Arabia Saudita sente fortemente il bisogno di lucidare per bene anche le sue credenziali filo-palestinesi.

Nel breve termine, per la durata dei combattimenti a Gaza e nel periodo immediatamente successivo, un accordo con Israele è realisticamente da ritenere fuori questione. Secondo una valutazione a lungo termine, tuttavia, non è chiaro come un conflitto tra Hamas e Israele potrà cambiare gli interessi fondamentali, nella considerazione dei rapporti di forza vigenti nel Medio Oriente, che hanno spinto l’Arabia Saudita a favorire cordiali e proficue relazioni politico-economiche con Israele. Entrambi i paesi condividono maggiori preoccupazioni in materia di sicurezza nella regione, tra cui ai primi posti figurano il contenimento dell’Iran e la limitazione dell’estremismo islamico. Entrambi i paesi cercano di trarre vantaggio da legami economici più saldi e stabili, soprattutto mentre l’Arabia Saudita procede con il suo piano “Vision 2030” per diversificare ed innovare la propria economia verso l’applicazione pratica e industriale delle alte ed altissime tecnologie. Settore nel quale Israele è tra i leader mondiali

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