L'importanza del vaccino di richiamo per contrastare il Long Covid

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  Redazione
  27 dicembre 2022
  3 minuti, 50 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, Specialista in Otorinolaringoiatria e membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Il caso clinico tipico è quello di un Paziente adulto che ha passato un episodio di COVID-19 e ancora dopo alcuni mesi non si sente più lo stesso, è fortemente astenico, presenta una diminuzione della capacità di pensare con chiarezza d’ intelletto e/o del senso sia del gusto che dell'olfatto.

Lo stesso Paziente ha praticato due dosi di vaccino più due richiami. Ogni volta, ha avuto quelle che clinicamente sono definite come “reazioni lievi”, con sintomi come un braccio dolorante, leggera febbre, nausea e dolori muscolari.

Sotto questa descrizione sintomatologica ricadono le forme del cosiddetto “Long Covid”, ovvero che accadono allorquando la guarigione non è completa e definitiva ma bensì residuano alcuni sintomi che si ripetono anche nel lungo periodo, fino a sei mesi secondo gli studi attuali.

Il richiamo

Eppure, sotto l’egida della autorevole Food And Drug Administration (FDA) americana, sono emerse alcune ricerche le quali hanno dimostrato alcune evidenze scientifiche secondo cui un nuovo richiamo vaccinale, oltre a proteggersi da alcune nuove varianti virali, potrebbe curare un numero sensibile Pazienti, identici al caso clinico sopra esposto.

Ci sono anche ulteriori vantaggi: gli attuali vaccini con i loro richiami programmati riducono grandemente il rischio di progressione del Covid verso lo stato di “Malattia Grave” accompagnata da Insufficienza Respiratoria Acuta.

Ogni volta che le persone vengono infettate da SARS-CoV-2 - il nome scientifico del virus che causa COVID-19 - hanno il rischio non solo di ammalarsi gravemente o morire, ma di sviluppare un COVID lungo.

Un ampio studio eseguito su circa 28.000 persone, pubblicato su British Medical Journal, ha trovato ulteriori prove che una vaccinazione di richiamo può aiutare ad alleviare sensibilmente i sintomi.

E la maggior parte degli studi ha rivelato che la vaccinazione ha ridotto il rischio di contrarre il “COVID lungo”.

L’importanza della vaccinazione

I vaccini inducono l’organismo a produrre gli anticorpi specifici in quantità sufficiente da impedire a un microbo o un virus di infettare l’organismo.

Essi stimolano anche la produzione di cellule immunitarie chiamate “linfociti T” che continuano ad attaccare con altri sofisticati mezzi il medesimo agente patogeno anche dopo l'infezione.

Una dose di richiamo aiuta nella gran parte dei casi a ravvivare notevolmente la risposta immunitaria di un paziente con COVID lungo.

La causa

Si ritiene che la sindrome da “COVID lungo” sia causata dalla persistenza del virus in regioni anatomiche dell’organismo in cui il sistema immunitario non è stato particolarmente attivo ed efficiente.

Sebbene non sia ancora compreso appieno il funzionamento dei numerosi e vari sintomi lunghi di COVID, si comincia ora a comprendere la dinamica biologica che avviene nelle persone con COVID lungo e che migliorano la propria salute dopo aver ricevuto il vaccino specifico oppure una sua dose di richiamo.

E’ raccomandabile ai pazienti di apprendere le più corrette informazioni sul richiamo “bivalente” presso i siti scientifici e quindi più affidabili, come quelli pubblicati dalla FDA e dal Centers of Disease Control and Prevention (CDC).

Queste fonti autorevoli affermano che i pazienti con COVID lungo dovrebbero praticare le dosi di richiamo perché sono le uniche che evocano una risposta anticorpale adeguatamente potenziata.

L'attendismo aumenta solo il rischio di continuare ad essere infettati aumentando così la possibilità di sviluppo di una sindrome prolungata da COVID.

Gli studi scientifici dimostrano che i richiami in formato bivalente, ovvero che proteggono sia dalle varianti virali più vecchie che da quelle più recenti, possono avere successo clinico anche sui nuovi ceppi predominanti di COVID-19, come l’Omicron.

Il problema atavico rimane quello di convincere a vaccinarsi le numerose persone nel campo dei no-vax nonostante ogni evidenza clinica e scientifica dimostra, senza alcun equivoco, che le vaccinazioni impediscono alla stragrande maggioranza dei vaccinati di ammalarsi gravemente.

Certo, l'aspettativa che i vaccini impediscano al 100% di ammalarsi di Covid è pura utopia: nessun vaccino al mondo ha e ha dato ai vaccinati una copertura valida nel 100% dei casi.

Un punto – critico ma comune a tutti i vaccini - è che l'immunità vaccinale diminuisce nel tempo.

Le evidenze sperimentali unitamente a quelle cliniche dimostrano oltre ogni dubbio che la maggioranza dei pazienti long-Covid vedono un sensibile miglioramento della loro sintomatologia dopo aver praticato i richiami vaccinali.

Anche nel Covid lungo è dimostrato clinicamente che la pratica della vaccinazione da il migliore beneficio rispetto ai non vaccinati.

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Salute e Benessere

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