L'importanza di una solida governance per governare i cambiamenti economici e ambientali

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  Redazione
  27 febbraio 2023
  9 minuti, 6 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Il problema dei combustibili “sporchi”, che sostituiscono progressivamente quelli più puliti in tempi di sconvolgimenti climatici, evidenzia una sfida ancora più grande ed impegnativa: quella di fornire energia a basse emissioni di anidride carbonica ai numerosi paesi poveri ed in via di sviluppo, il cui fabbisogno energetico sta crescendo di conseguenza.

I paesi più ricchi e sviluppati dovranno contribuire a rendere meno rischiosi gli investimenti privati nella produzione di energia a basse emissioni di CO2.

La comunità economica internazionale ha già espresso il proposito di raggiungere le emissioni nette di CO2 verso la quota zero entro il 2050; oltre il 70% degli investimenti in energia pulita nei mercati in via di sviluppo ed emergenti dovrà per lungo tempo provenire dai grandi e piccoli gruppi privati, anche a carattere locale, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia.

I governi devono fare di più per aiutare a mobilitare quei capitali.

Istituzioni di assoluta rilevanza come la Banca Mondiale e la U.S. Development Finance Corporation potrebbero prestare finanziamenti a tassi accessibili alle banche locali, finanziare progetti in valuta locale ed espandere la disponibilità di garanzie finanziarie agevoli sui prestiti. Queste istituzioni potrebbero anche prestare fondi direttamente agli sviluppatori di progetti finalizzati. Sensibilizzare Il capitale delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo può fare molto per stimolare gli investimenti privati.

La buona notizia è che a lungo termine, molte delle azioni governative necessarie per ridurre le emissioni carboniose, in particolare riducendo la domanda di petrolio e gas, aumenteranno anche la sicurezza energetica.

Ciò è in parte dovuto al fatto che la sicurezza energetica non deriva solo dalla produzione di più petrolio ma anche da un minore utilizzo dello stesso. Quindici anni fa, gli Stati Uniti importavano due terzi del petrolio che consumavano; nel 2021 l’export-import USA del petrolio è radicalmente cambiato con gli Stati Uniti che hanno esportato più petrolio di quanto ne abbiano importato.

Va da sé che gli americani rimangono ugualmente vulnerabili alle variazioni del prezzo della benzina allorquando le forniture globali di petrolio vengono interrotte. Allo stesso modo, le famiglie in Europa sarebbero più sicure se consumassero meno gas naturale, utilizzando i suoi sostituti oppure innovando e rendendo più efficienti i propri sistemi energetici.

Anche qui il governo dovrà esercitare il suo ruolo: le campagne di informazione pubblica e gli incentivi per gli investimenti legati all'efficienza possono aiutare, spesso radicalmente, a guidare proficuamente i cambiamenti tecnologici e comportamentali necessari per risparmiare energia durante le crisi.

Il 9/11 dell’EUROPA

Un ruolo più espansivo per i governi sarà probabilmente una caratteristica distintiva del nuovo ordine energetico globale che sta rapidamente emergendo dall’inizio del conflitto russo-ucraina.

E proprio come una maggiore intrusione del governo nei mercati dell'energia ha avuto profonde ramificazioni economiche, politiche e geopolitiche nel 1970, tale attività sarà capace di catalizzare grandi trasformazioni anche in futuro.

Inoltre, strutturato e gestito correttamente, un maggiore impegno dei governi nel campo dell'energia e del clima può aiutare ad attenuare la volatilità dei mercati, mitigare i rischi che inevitabilmente deriveranno dalla transizione energetica e abbreviare il percorso verso emissioni nette a punto zero di CO2.

Nella misura in cui migliorano la sicurezza energetica, ad esempio, politiche governative ben combinate possono ridurre il rischio di reazioni populiste, come le proteste dei "gilet gialli" francesi e altri come loro in Europa, contro le iniziative climatiche.

Allo stesso modo, più opzioni per l'approvvigionamento di energia diminuiranno la leva geopolitica a senso ricattatorio che potrebbe maturare da parte dei tradizionali produttori di petrolio e gas a breve termine, prima che la transizione energetica sia completa.

Come è facilmente intuibile, qualora i leaders occidentali lasciassero queste decisioni da assumere liberamente al solo mercato, i fornitori a basso costo come la Russia e i paesi del Golfo Arabo finirebbero per produrre una quota mondiale maggiore di petrolio e di gas.

Questa dinamica potrebbe risultare particolarmente problematica se le pressioni per frenare gli investimenti nei combustibili fossili portassero a un calo della produzione da parte delle imprese energetiche occidentali, anche se la domanda dovesse aumentare o si stabilizzasse.

Gli sforzi del governo per garantire finanziamenti per progetti di energia pulita nei mercati emergenti possono anche ridurre un'altra serie ancora più grave di rischi derivanti dalla crescente spaccatura del benessere statale vigente tra paesi sviluppati e quelli in difficoltosa via di sviluppo.

In assenza di tali misure, il risentimento dei paesi poveri e a medio reddito nei confronti di quelli ricchi che si rifiutano di finanziare progetti di combustibili fossili nei paesi in via di sviluppo – anche se si affannano per assicurarsi più petrolio e gas per compensare le proprie perdite dall'attuale crisi – continuerà a crescere, compromettendo tutti i molteplici progetti di cooperazione relativi non solo ai cambiamenti climatici ma anche su altre questioni altrettanto critiche come la preparazione logistica ed applicativa alla pandemia in corso, la risoluzione dei conflitti tra gruppi etnici e nazioni e le attività di antiterrorismo a livello mondiale.

Il fatto che l'onere di un clima più caldo ricada in modo sproporzionato proprio sui paesi che hanno la minore responsabilità per le eccessive emissioni globali non fa che esacerbare il loro sentimento rancoroso.

La competizione sull’oceano Artico

L'intervento del governo per accelerare la riduzione delle emissioni di carbonio può prevenire alcuni dei risultati dei cambiamenti climatici che hanno le peggiori implicazioni geopolitiche e di sicurezza.

Come ha concluso l'anno scorso il National Intelligence Council degli Stati Uniti, il cambiamento climatico amplificherà la competizione strategica anche sull'Artico, alimenterà il conflitto sia sulle risorse idriche che sulla pressione migratoria e scatenerà nuovi tipi di controversie geopolitiche, mentre i paesi testano e implementano unilateralmente iniziative di geoingegneria su larga scala.

Le riduzioni delle emissioni necessarie per prevenire questi risultati di valenza strategica non possono essere raggiunte senza l'azione convinta e finanziata dai governi.

Un maggiore intervento del governo nei mercati dell'energia non è sempre auspicabile.

Come ha dimostrato l'esperienza degli Stati Uniti nella crisi energetica del 1970, i governi che si spingono troppo lontano verso la pianificazione nazionale o una politica industriale non vincolata rischiano di sprecare i numerosi benefici insiti nel libero mercato.

In materia di produzione industriale, la libera impresa dovrebbe essere lasciata libera nella maggior parte dei casi; non vincolata da un’eccessiva regolamentazione. Ma essa stessa può essere stimolata positivamente da aiuti sapienti e incoraggiamenti consulenziali da parte degli enti governativi.

Nell'assumere un ruolo più attivo nei mercati dell'energia, i governi devono resistere alla tentazione di dirigere i loro settori energetici nel modo in cui lo fanno quelli con società di proprietà nazionale.

Ad esempio, nella politica industriale degli Stati Uniti, le autorità di governo assegnano permessi alle aziende che desiderano esportare gas naturale, ma non entrano nel merito della direzione verso la quale va quel gas. Invece, le forze di mercato lo fanno costantemente.

Un ruolo più attivo per il governo che favorisce alcuni paesi rispetto ad altri rischia di politicizzare il commercio di energia e ridurre la capacità dei mercati globali di allocare le risorse in modo efficiente.

Senza l'intervento governativo, il mondo potrà subire un brusco calo della sicurezza energetica o conseguire i peggiori effetti del cambiamento climatico, o entrambi.

I governi devono dare il giusto peso alla diplomazia energetica senza farne eccessivo affidamento, in particolare su quella che in vario modo cerca di influenzare le scelte e decisioni inerenti al mercato dell’acquisto e della vendita delle risorse energetiche.

I recenti sforzi americani per liberare le forniture di gas naturale liquefatto destinato all’Europa scoraggiando gli acquisti asiatici sono stati giustificati in una crisi, ma in futuro la cautela dovrà essere obbligatoria in ogni caso.

Talvolta, appaiono rischiosi anche gli sforzi del governo per raggiungere la sicurezza energetica disconnettendosi dall'economia energetica globale.

Tali azioni potrebbero ritorcersi contro, minando la sicurezza energetica e il libero scambio. Al contrario, la diversificazione dell'offerta passando per lo stimolo della produzione interna di materie prime chiave può portare ad una maggiore integrazione in un mercato dell'energia ben fornito e storicamente più flessibile.

L'autosufficienza energetica può sembrare una via per una maggiore sicurezza, come purtroppo si è visto quando tra i fornitori di energia figurano dittatori privi di scrupoli, ma sarebbe altamente inefficiente e imporrebbe comunque costi inutili. Inoltre, lascerebbe gli Stati Uniti e ancor più l’Europa senza i necessari ed estesi collegamenti energetici globali per soddisfare la notevole domanda interna in caso di crisi futura o eventuale calo della produzione interna.

Infine, i governi sono gli unici a poter evitare, più di altri soggetti, anche istituzionali, di alimentare le divisioni interne specie quelle più partigiane sempre presenti e attive in tutto il mondo occidentale.

Negli anni a venire serviranno un gran numero di proficue proposte legislative a favore della sicurezza delle forniture energetiche, della transizione verso le emissioni nette di CO2 pari a zero e far fronte, politicamente e tecnicamente, ai cambiamenti climatici.

I leader occidentali devono quindi concertare una prassi condivisa a sostegno di tutte queste misure, che riescano sperabilmente ad includere tutti, dagli ambientalisti all’industria estrattiva del petrolio o del gas e dei suoi numerosi derivati.

In questi ultimi lustri, ognuno di questi motivato da argomenti ed impulsi differenti, sta premendo su tutto il mondo occidentale, ancor di più sugli Stati Uniti, al fine di iniziare questo processo consumando meno petrolio.

Attualmente, una coalizione simile potrebbe essere rapidamente costruita attorno alla necessità di una strategia integrata che garantisca però sia la sicurezza climatica che la sicurezza energetica.

L'Europa ha chiamato la guerra russa in Ucraina come l’equivalente del 9/11 americano. Infatti, gli attacchi terroristici di quel giorno hanno portato a un nuovo ordine di sicurezza che ha trasformato e poi dominato il panorama internazionale per 20 anni e che ancora oggi costituisce una caratteristica dominante degli affari mondiali.

Per analogia, l'eredità della guerra in Ucraina sarà la fonte di un nuovo ordine energetico che da un lato origina in Europa e che da qui intende irradiarsi all’intera economia globale.

Esso sarà definito dal duplice e dettagliato imperativo della sicurezza energetica e dell'azione efficace per il clima. Perseguirli allo stesso tempo, senza che l'uno comprometta i risultati dell'altro, comporterà una sapiente e abile gestione del potere che sottintende i mercati.

Va da sé che i governi dovranno esercitare un ruolo più espansivo per poter sfruttare, modellare e guidare quei mercati così complessi, correggendo i fallimenti messi in forte rilievo dalla crisi di oggi.

Senza l'intervento di ogni governo, fatto su misura e limitato ma comunque aumentato, il mondo subirà un pericoloso crollo della sicurezza energetica o i peggiori effetti del cambiamento climatico. Oppure entrambi.

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