L’Iran blocca i social media per fermare la protesta

In risposta alle proteste contro l'uccisione di Mahsa Amini, le autorità iraniane hanno interrotto la connessione internet, bloccando anche WhatsApp ed Instagram.

  Articoli (Articles)
  Wiam Kessab
  07 dicembre 2022
  4 minuti, 50 secondi

Il caso "MAHSA AMINI" in Iran

Il 13 settembre 2022, a Teheran, la 22enne Mahsa Amini è stata fermata e arrestata dalla polizia locale mentre era con la sua famiglia perché non indossava correttamente l’hijab. Poco dopo l’arresto, la ragazza è entrata in coma ed è deceduta all’ospedale di Teheran, dove era stata ricoverata. La sua tragica scomparsa ha sollevato diverse proteste in Iran, trasformatesi in manifestazioni a livello mondiale: la morte di Amini ha suscitato grande indignazione in tutto il mondo. L’ONU è così intervenuta sulla vicenda, condannando i fatti di Teheran: "La tragica morte di Mahsa Amini e le accuse di tortura e maltrattamenti devono essere indagate in modo rapido, imparziale ed efficace da un'autorità indipendente competente, assicurando, in particolare, che la sua famiglia abbia accesso alla giustizia e alla verità", si legge nel comunicato firmato da Al-Nashif, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.

LE PROTESTE

In Iran, le proteste non sono tardate ad arrivare e la reazione alla morte di Mahsa Amini è stata avvertita in tutto il mondo. In particolare, sono scoppiate violente proteste nella città di Shahrud, dove due donne, circondate da centinaia di manifestanti, sono salite su una piattaforma e hanno sventolato in segno di sfida il loro hijab sopra la testa. In almeno 50 città, le proteste sono state spesso guidate da gruppi di donne che hanno deciso di tagliarsi i capelli in pubblico e hanno dato fuoco ai propri hijab per manifestare il proprio dissenso contro le politiche sempre più repressive della repubblica islamica. Quindi, la polizia ricorre spesso alla violenza per contrastare i cittadini insorti, e fin da subito video e immagini della brutalità della repressione sono diventati virali sui social media, soprattutto su Instagram, che è molto diffuso in Iran. Il profilo instagram 1500tasvir ha pubblicato decine di video girati in diverse città dell'Iran: un membro del team di 1500tasvir, interpellato da Wired UK, sostiene che l'account instagram, gestito da un gruppo di circa dieci persone che si trovano sia dentro che fuori dall'Iran, pubblica video allo scopo di documentare le proteste. Le persone sul posto inviano i video all'account, il cui team li verifica prima della pubblicazione.

Inoltre, spiega che il blocco di internet può avere un impatto enorme sulle proteste poiché se le persone non hanno la possibilità di vedere che altri come loro stanno protestando, è probabile che si fermino a loro volta.

IL BLOCCO DEI SOCIAL MEDIA

Il 19 Settembre è il giorno in cui le autorità iraniane hanno iniziato a spegnere internet, ovvero quando le proteste per la morte di Amini hanno iniziato ad aumentare. La repressione contro Instagram e WhatsApp è invece iniziata il 21 settembre, con il blocco dei due social media. La denuncia del blocco della rete internet mobile arriva da Netblock, uno tra i più autorevoli osservatori della rete internet mondiale e capace di individuare blocchi e problemi sui network in tempo reale. Doug Madory, direttore dell'analisi internet della società di monitoraggio Kentik, che ha monitorato i blocchi nel Paese, spiega che l'interruzione dei servizi mobili di internet è ormai un'abitudine del governo iraniano qualora si verifichino disordini civili. Gli operatori di rete mobile, tra cui i maggiori fornitori del paese come Irancell, Rightel e Mci, sono stati oggetto di continui blackout. Felicia Anthonio, responsabile dell'impegno contro l'interruzione di internet della ONG Access Now, riporta che i partner del gruppo hanno riferito che i messaggi di testo contenenti il nome di Amini sono stati bloccati. Mahsa Alimardani, accademica dell’Oxford Internet Institute e ricercatrice senior presso il gruppo per i diritti digitali Article 19, afferma che queste piattaforme vengono prese di mira perché costituiscono l’ancora di salvezza per far sì che l’informazione e la comunicazione tengano in vita le proteste.

Tuttavia, la repressione digitale di questa ondata di proteste è più violenta del solito. Infatti, sembra che i blocchi contro WhatsApp abbiano riguardato anche soggetti che si trovano al di fuori dell’Iran: le persone che utilizzano i numeri di telefono iraniani con prefisso +98 si sono lamentate del fatto che WhatsApp abbia funzionato a rilento o non abbia funzionato affatto.

COME VENGONO AGGIRATE LE RESTRIZIONI?

A seguito del blocco di internet da parte del governo iraniano, molti attivisti hanno cercato metodi alternativi per tornare online, anche se con scarsi risultati. Infatti, ogni tentativo sembra presentare dei limiti nonostante l’aiuto fornito da persone e organizzazioni di diversi Paesi del mondo. Alcuni gruppi che operano per tutelare i diritti digitali degli utenti stanno cercando di aiutare la popolazione iraniana ad eludere le restrizioni poste dal governo, inviando agli abitanti strumenti e consigli tecnici.

Quindi, molte pressioni sono state esercitate dagli attivisti sulle aziende estere del settore tecnologico affinché queste si mobilitino in favore degli iraniani. Tra le manovre effettuate per accedere ad internet e stabilire una comunicazione alternativa verso l’esterno, vi è l’utilizzo delle VPN, le quali permettono di navigare online in maniera anonima e sicura. Per quanto riguarda le applicazioni di messaggistica WhatsApp e Signal, a seguito delle restrizioni imposte, queste si sono prontamente adoperate a garantire agli utenti la fruibilità attraverso soluzioni alternative. Ad esempio, Signal dà agli utenti la possibilità di impostare dei server proxy che indirizzano in modo sicuro il traffico dell’applicazione. Un’altra possibilità è quella di dar vita a connessioni alternative, nello specifico attraverso i servizi satellitari.

Però, secondo quanto affermato da Amir Rashidi, direttore della sicurezza internet e dei diritti digitali presso l’organizzazione per i diritti umani Miaan Group, questa volta le restrizioni governative risulterebbero essere molto più stringenti, in quanto tentano di colpire ogni possibile canale di comunicazione.

Condividi il post

L'Autore

Wiam Kessab

IT

Wiam Kessab, classe 2001, ha conseguito la laurea triennale presso la Fondazione UniverMantova in mediazione linguistica; lingue per le relazioni internazionali.

Attualmente sta frequentando il corso di laurea magistrale in relazioni internazionali e diplomazia, curriculum in diritto internazionale ed economia presso l’Università degli studi di Padova.

Durante i suoi studi ha sviluppato un forte interesse sia per le relazioni internazionali che per le lingue.

Attualmente è autrice di Mondo internazionale Post per "Società e Legge".

EN

Wiam Kessab, born in 2001, graduated from the Fondazione UniverMantova in language mediation; languages for international relations.

She is currently attending the Master's degree course in international relations and diplomacy, curriculum in international law and economy at the University of Padua.

During her studies, she developed a strong interest for the international relations and languages.

She is currently author of International World Post for 'Society and Law'.



Categorie

Società

Tag

Iran Social Media proteste Mahsaamini Blocco Internet Libertà d'espressione libertà di informazione instagram Whatsapp Signal