Tensioni in Iran dopo l'attacco su Israele

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  Flora Stanziola
  21 aprile 2024
  4 minuti, 29 secondi

I recenti avvenimenti nella regione araba alimentati dal conflitto israelo-palestinese hanno fatto uscire allo scoperto le storiche tensioni tra Iran e Israele, fino ad ora fatte di scontri tra Israele e le milizie sciite finanziate dall’Iran in Siria, attentati e sabotaggi israeliani in Iran e scambi di cyberattacchi contro infrastrutture strategiche.

L'Iran non ha mai cercato di contribuire alle ripercussioni del conflitto nella regione, né ha mai cercato di aggravare o diffondere la tensione nell'intera regione ma le cose sembrano aver preso una piega diversa quando nella notte tra il 13 e il 14 aprile la Repubblica islamica dell’Iran ha deciso di attaccare Israele lanciando più di 300 missili contro obiettivi militari. La risposta di Teheran all’attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco il 1 aprile che ha coinvolto il generale Mohamed Reza Zahedi, figura di spicco delle Guardie rivoluzionarie iraniane vuole dimostrare alla comunità internazionale che Israele non è inviolabile.

Tuttavia, c’è da considerare che l’obiettivo della Repubblica Islamica dell’Iran di dimostrare la propria affermazione e al contempo dare un segnale al mondo della mezzaluna sciita non è stato accolto come sperato dai cittadini iraniani. La popolazione iraniana è ben consapevole che il loro paese è oppresso dai mullah, e dai pasdaran, questi ultimi da sempre coinvolti nelle attività terroristiche in Siria, Libano, Iraq e Yemen, e che i fondamentalisti fanno pressione sul regime affinché venga fatta valere l’ideologia islamica, ma venendo meno a quella che per decenni è stata la dottrina iraniana della cosiddetta pazienza strategica, di non rispondere alle provocazione e cadere nelle trappole tese dai nemici, l’Iran ha sorpreso anche il suo popolo.

La risposta all’attacco di Damasco è vista come un danno per l’intera nazione, la domanda ora quindi è se le tensioni sono destinate ad aumentare da qui in poi.

Gli iraniani hanno già detto e continuano a ripetere: le guerra – nascosta o palese – della Repubblica islamica non è la nostra guerra, non fate confusione tra le autorità, di cui la maggioranza di noi è vittima e non complice, e il popolo. Il regime degli ayatollah per oltre 45 anni ha indottrinato il popolo iraniano in un’ottica anti-americana, anti-israeliana e anti-occidentale. Gli studenti delle scuole primarie e secondarie tutti i giorni all’ingresso sono obbligati a gridare: “Morte a Israele, Morte agli USA”. Questo è quanto previsto dall’ideologia fondamentale della conquista della comunità sunnita per dominare il mondo e permettere il ritorno dell’ultimo califfo ben guidato per la corrente musulmana sciita, ma le nuove generazioni si stanno ribellando a tutto ciò paragonando il regime della Repubblica islamica a quello terrorista dell’ISIS, o ancora peggio ad Hamas.

Il regime vorrebbe che la popolazione iraniana partecipasse alla mobilitazione nei confronti di Gaza ma la realtà è che nel territorio palestinese, l’Iran ha più facce. Se i missili sulla cupola d’oro sono stati visti come un segnale di sostegno dall'altro, Teheran ha un legame stretto, fatto di sovvenzioni, addestramento e forniture con l’ala militare di Hamas.

Gli attivisti iraniani hanno fatto appello alla comunità internazionale affinché la loro protesta contro il regime venga ascoltata. Già dal 2009 con il Movimento verde la popolazione accusava l’élite al potere di fornire risorse ai gruppi islamisti che opprimono la Palestina. Ad appesantire il carico è la condizione economica e infrastrutturale, aggravata dalle sanzioni, che ha portato a numerose manifestazioni dagli slogan “Nè Gaza, né Libano: darò la vita per l’Iran”, “Abbandona la Palestina, pensate ad una soluzione per noi”. Così come gli oppositori del regime, gli attivisti per i diritti umani, hanno rimarcato che il popolo iraniano prende le distanze dagli attacchi ad Israele, naturale continuazione del terrorismo che la Repubblica islamica ha seminato dentro e fuori dal paese. Nei giorni seguenti all’attacco sono stati infatti divulgati video in cui verrebbero mostrati i festeggiamenti da parte di manifestanti che si sono invece rivelati una messa in scena di propaganda del regime, facendo credere che la popolazione fosse contro lo stato ebraico.

In particolare, la classe imprenditoriale ritiene che i militanti terroristi di Teheran e di Gaza non stiano facendo altro che consumare la ricchezza iraniana contribuendo così all’isolamento internazionale. Questa cerchia di contribuenti, tra cui studiosi, ricercatori e personalità accademiche desidera una convivenza con lo Stato ebraico e lo ha dimostrato durante le elezioni dello scorso marzo dove l’astensione è arrivata a livelli record con solo il 41% di presenze.

Ciò che spinge il popolo iraniano a non seguire il regime nella sua guerra è quindi la comune situazione di oppressione. Il giorno stesso dell’attacco a Israele la polizia morale ha introdotto una nuova iniziativa per l'applicazione dell'hijab, chiamata Nour (Light) Plan con l'obiettivo di far rispettare le leggi sull'hijab a livello nazionale. La nuova iniziativa è frutto delle proteste dei fondamentalisti che vedono minacciata la religione islamica nel paese, pressioni ideologiche che stanno portando il regime degli Ayatollah a mostrare sempre più la sua repressione nei confronti di chi non condivide l’ideologia, andando però a scontrarsi con un popolo che non ha più paura.

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L'Autore

Flora Stanziola

Autrice da giugno 2022 per Mondo Internazionale Post. Originaria dell'Isola d'Ischia e appassionata di lingue e culture straniere ha conseguito nel 2018 il titolo di Dott.ssa in Discipline per la Mediazione linguistica e culturale. Dopo alcune esperienze all'estero e nel settore turistico, nel 2020 ha intrapreso la strada delle relazioni internazionali iscrivendosi al corso di laurea magistrale in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, appassionandosi alle tematiche relative alla tutela dei diritti umani. Recentemente ha concluso il suo percorso di studi con la tesi dal titolo: "L'Uganda contemporaneo: dalle violenze ai processi di sviluppo".

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