L'obsolescenza programmata, un danno per l'ambiente

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  Valeria Fraquelli
  07 maggio 2025
  4 minuti, 21 secondi

Avete notato che certi oggetti, soprattutto se si parla di alta tecnologia, durano sempre meno?

Avete osservato come il vostro smartphone, dopo poco tempo, comincia ad essere più lento e come, successivamente, certi aggiornamenti non si possano più installare e certe app smettano di funzionare?

Vi è già capitato che un elettrodomestico si rompa e, quando chiamate un tecnico, vi dica che la riparazione costa molto o è impossibile e che, quindi, è meglio ricomprarne uno nuovo?

Questa si chiama obsolescenza programmata, vuol dire che la vita dei nostri elettrodomestici è già decisa, e molto spesso viene pensata apposta per farci comprare, e quindi consumare, di più.

Ma in realtà l’obsolescenza programmata non è nuova, è nata con l’avvento della società industriale nel 1924. Infatti, risale alla nascita delle prime lampadine, che potevano durare moltissimo senza fulminarsi. A quei tempi tutti i produttori di lampadine a incandescenza mondiali, preoccupati per le vendite, decisero di stabilire una data di gran lunga più prossima per la vita delle lampadine e diedero così vita al “cartello Phoebus” (fondato a Ginevra – Svizzera), proprio per limitarne arbitrariamente la durata a 1.000 ore, rispetto alle 2.500 “originali”.

E, successivamente, questa pratica commerciale scorretta fu adottata anche per il “nylon, tessuto usato per produrre calze da donna prodotto in laboratorio e in origine quasi indistruttibile: il settore stava fallendo e, per ridare slancio al mercato e non fallire, i produttori decisero di renderlo meno resistente”.

In pratica, l’obsolescenza programmata è “una strategia commerciale adottata dalle aziende per accorciare artificialmente il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, mantenendo così alta la domanda e, di conseguenza, gli acquisti di nuovi modelli. Una pratica scorretta e datata, tornata in auge con la pervasività di dispositivi come smartphone, computer, software, elettrodomestici e altri beni concepiti seguendo la logica usa e getta”. Alla fine, si tratta come sempre di soldi, si entra nel circolo vizioso per cui più le cose si rompono, più se ne comprano di nuove e, alla fine, diventa solo una corsa al consumismo.

Una corsa a comprare sempre cose nuove che ha “un impatto a dir poco negativo sull’ambiente: dall’inquinamento derivante dalla produzione a quello dovuto allo scorretto smaltimento dell’80% dei rifiuti generati dal fenomeno”, che crea nuovi rifiuti difficili da smaltire, i quali non si possono neanche riciclare. L'ambiente viene sfruttato, viene usato solo per prendere le risorse della Terra senza pensare a quali conseguenze ne derivino.

Accumuliamo sempre più cose, ci sono sempre più scarti e rifiuti, siamo come stretti in una morsa tra cumuli di oggetti che per pigrizia ricompriamo, o semplicemente non aggiustiamo perché costa molto la riparazione, e il nostro pianeta soffre per le nostre emissioni e per l'uso sconsiderato delle risorse naturali, un uso che non ha nessun rispetto né dell’ambiente né delle generazioni future, che con il nostro pianeta malato dovranno per forza avere a che fare.

In nome del guadagno, abbiamo accettato di cambiare i nostri smartphone, i computer, i nostri vestiti sempre più frequentemente, e di farci trascinare dalle mode, dagli ultimi modelli, dalla voglia di uno shopping compulsivo che fa male, e tanto, al nostro portafoglio e all’ambiente.

Quando gli oggetti si rompono, proprio a causa dell’obsolescenza programmata, ripararli costa più di comprare un prodotto nuovo. A questo punto si cade nel circolo vizioso del consumismo, da cui è difficilissimo uscire. Anche la pubblicità che vediamo in televisione, mentre guardiamo un film o una serie tv, e tutti i banner che troviamo sui siti Internet che visitiamo non ci aiutano, anzi ci invitano a comprare sempre di più oggetti che, alla fine, ci accorgiamo essere pressoché inutili.

Fortunatamente, negli ultimi anni sempre più consumatori comprano prodotti ricondizionati, second hand, che costano meno e possono funzionare bene per molti anni, soprattutto se si parla di tecnologia. I ricondizionati stanno prendendo sempre più piede e si cominciano a vedere anche pubblicità in televisione o su Internet che cercano di spingere i consumatori verso queste soluzioni, perché obsolescenza programmata vuole dire un maggior numero di rifiuti e questo fa male, e non poco, al nostro pianeta.

In conclusione, si può dire che negli ultimi anni è aumentata la sensibilità dei consumatori ai temi ambientali e ai problemi della natura e tante persone hanno capito che i prodotti ricondizionati possono essere un primo passo in favore di un maggiore rispetto dell’ambiente. E rispetto per l'ambiente significa anche più equità e migliori condizioni di lavoro per tutti, con meno emissioni pericolose. 

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L'Autore

Valeria Fraquelli

Mi chiamo Valeria Fraquelli e sono nata ad Asti il 19 luglio 1986. Ho conseguito la Laurea triennale in Studi Internazionali e la Laurea Magistrale in Scienze del governo e dell’amministrazione presso l’Università degli Studi di Torino. Ho anche conseguito il Preliminary English Test e un Master sull’imprenditoria giovanile; inoltre ho frequentato con successo vari corsi post laurea.

Mi piace molto ascoltare musica in particolare jazz anni '20, leggere e viaggiare per conoscere posti nuovi ed entrare in contatto con persone di culture diverse; proprio per questo ho visitato Vienna, Berlino, Lisbona, Londra, Malta, Copenhagen, Helsinki, New York e Parigi.

La mia passione più grande è la scrittura; infatti, ho scritto e scrivo tuttora per varie testate online tra cui Mondo Internazionale. Ho anche un mio blog personale che tratta di arte e cultura, viaggi e natura.

La frase che più mi rappresenta è “Volere è potere”.

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obsolescenza programmata cambiamenti climatici produzione sostenibile consumismo innovazione prodotti ricondizionati equità