Lungo la rotta dei bombardamenti

Secondo anniversario dell'invasione russa: in viaggio attraverso l'Ucraina che continua a (r)esistere e combattere. Tra speranza e rassegnazione, in attesa della svolta decisiva

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  Giuliana Băruș
  27 marzo 2024
  7 minuti, 23 secondi

"Don't worry, we'll save you". Tutto è cambiato nel 2014

Donbass, 2014. Tutto è iniziato qui. Il “primo atto” di un'invasione che da due anni è su larga scala. In questa terra contesa, dove da dieci anni la divisione socio-economica tra chi guarda alla Russia e chi all'Europa è diventata insanabile. Terra dove tutti – ma proprio tutti – tanto russi, quanto ucraini, si esprimono nella lingua di Mosca.

Per giustificare la sua invasione del 2022, il governo di Mosca adduce la necessità di essere stato costretto a intervenire per salvare le popolazionirussofone o russofile” dell’Ucraina (in particolare del Donbass e della Crimea, ma in generale di tutto il sud-est del Paese): la propaganda moscovita parla di “genocidio del Donbass”, o comunque di una sanguinosa guerra civile iniziata da Kyiv contro i “separatisti” fin dal 2014. Un conflitto ancora oggi non chiuso, ma anzi amplificato dalla guerra in corso; conflitto che era forse risolvibile già dieci anni fa, con una più decisa reazione di Kyiv all'annessione russa della Crimea.
Don't worry, We'll save you”, la rassicurazione dei russi agli ucraini russofoni del Donbass.


Il tempo sospeso: bombe su Kherson, la città al fronte dove il fiume Dnipro separa i due schieramenti contrapposti

Kherson. 300mila abitanti prima del 24 febbraio 2022. Oggi meno di 100mila: si stima ne siano rimasti tra i settanta e i centomila, ma non esistono dati ufficiali. La città dell’Ucraina meridionale –sull'estuario del fiume Dnipro – è stata occupata dalle truppe russe il 3 marzo 2022, una settimana dopo l'inizio dell'invasione, e liberata dalla controffensiva ucraina nell’autunno dello stesso anno.

La guerra è attesa. Attendere che succeda qualcosa. O che qualcosa finisca e fili tutto liscio. Ci si fa l'abitudine. Ci si addormenta con i colpi di mortaio in sottofondo e non ci si fa più nemmeno caso: è la normalità. The new normal. Nessuna sconfitta o vittoria è però definitiva. Tutto è passeggero. E come l'ago di una bussola impazzita, il disastro colpisce casualmente: un museo, un teatro, un edificio residenziale a sette piani. Nelle tenebre della notte o nell'alba ancora oscura. Nessuna stima ufficiale dei morti, né russi né ucraini: numeri troppo scomodi da rendicontare per entrambi i fronti. Forse 300mila. O forse un milione.


Giorni fatti di niente, nel tempo rarefatto scandito da un orologio senza lancette.

Nel frattempo, quasi tutte le organizzazioni non governative hanno abbandonato Kherson: troppo pericoloso restare in questa città sul fronte. Inoltre, si registra anche la pressoché totale assenza della stampa internazionale, confermando così la stanchezza e il disinteresse del mondo per questo conflitto lacerante, già al suo secondo anniversario: una terra da due anni sotto continuo attacco aereo, terrestre, navale e anche informatico. Luoghi dove la Storia è inabitabile; il futuro inimmaginabile.

Solo qualche fotoreporter freelance di passaggio (tra i quali c'è Paul Conroy – veterano del mestiere e collega di Marie Colvin, la giornalista del “Sunday Times” uccisa dal regime di Assad nel 2012 a Homs, mentre tentavano di raccontare al mondo le atrocità della guerra civile in Siria) documenta la vita di chi qui ha scelto di restare o non ha avuto modo di andarsene.

A ticket to War

Odessa, la città sul Mar Nero, crocevia di culture e commerci, colpita fin dal primo giorno. Dopo ogni attacco, però, ritorna un'apparente normalità.

E poi la capitale Kyiv – lontana dal fronte – dove la vita continua. Lo spettro della guerra irrompe, però, nella quotidianità dei residenti ogni volta che un attacco viene sferrato sulla città, monito sinistro che là fuori, da qualche parte, si combatte ancora, si soffre, e si muore.

Aleggia anche lo spettro dell'arruolamento forzato per tutti gli uomini tra i 27 e i 59 anni (l'età di ingaggio sarà probabilmente abbassata a 25 anni; sono previsti anche tre mesi di addestramento per i ragazzi dai 18 ai 25 anni). Con il disgelo della primavera, si tornerà a combattere più intensamente e si teme una nuova mobilitazione di massa, infatti il sistema di reclutamento è ritenuto corrotto e inefficiente. Il fronte fa sempre più paura.

Terra contesa  

E c'è chi sogna e prega semplicemente per un'Ucraina libera e indipendente. Prega di poter tornare a fare il bagno nel Dnipro e nel Mar Nero, ancora infestato da mine o cecchini sull'altra sponda. Sogna di gustare ancora le angurie che fino al 2022 crescevano solo sulla riva orientale del fiume: ora si sta cercando di produrle anche a ovest del Dnipro. Clima ed ecosistema unici, che garantiscono la straordinaria fertilità di questa terra contesa.

Si aspetta e si prega – prigionieri di una geografia insensata – sperando che il fronte non ceda. Perché se cade il fronte, sarà la rottura di una diga: senza gli aiuti occidentali, l'esercito ucraino non ha più munizioni e carri armati per contenere l'avanzata russa. In una precaria situazione di stallo – temporanea attesa per la svolta decisiva che da troppo tempo non arriva – che ha trasformato quella che avrebbe dovuto essere un'operazione lampo (Blitzkrieg) in una logorante guerra d'attrito.

L'Europa e l'Occidente: tra aiuti promessi e ritardi decisivi

Su proposta dell'Alto rappresentante UE per la Politica estera, la Commissione europea valuta l'impiego dei beni russi congelati per finanziare aiuti a Kyiv, da utilizzare per le esigenze di difesa dell'Ucraina, ma anche per la ricostruzione dopo la guerra

Da febbraio 2022, nei Paesi UE sono infatti immobilizzati asset e riserve della Banca centrale russa per un valore di circa 210 miliardi di euro: a seconda dei tassi di interesse, i ricavi generati dai beni congelati dovrebbero fruttare circa 2,5-3 miliardi di euro nel 2024. La cifra si aggiungerebbe all'accordo UE sugli aiuti militari da 5 miliardi di euro.

Dall'inizio del conflitto, l'Europa ha stanziato oltre 143 miliardi (tra assistenza finanziaria e umanitaria, aiuti militari e sostegno ai rifugiati), mentre gli Stati Uniti sono invece riusciti ad approvare un pacchetto militare di soli 300 milioni di dollari, rispetto ai quasi 70 miliardi di armamenti bloccati dall'opposizione dei Repubblicani.

Nel frattempo, prosegue il percorso di avvicinamento tra Ucraina e Unione Europea: il 20 marzo 2024, si è tenuto a Bruxelles il nono incontro del Consiglio di Associazione, dove si è discusso della situazione sul campo – militare, economica e umanitaria – conseguente all'aggressione russa. 


Polveriera Moldova

Non esiste modo comodo per arrivare in Ucraina. È necessario prendere un volo per Chișinău – nella confinante Moldova – e poi arrivare a Odessa all'alba, dopo una notte intera in pullman (o, in alternativa, scegliere l'accesso di Leopoli a nord dalla Polonia): l'Ucraina è no-fly zone”.

Nel frattempo, la vicina Transnistria, enclave filorussa in territorio moldavo, è tornata ad agitare i sonni della diplomazia euro-atlantica. Ora si teme che il Cremlino possa usare la questione di Tiraspol come “casus belli” per invadere la Moldovaper poter così attaccare l'Ucraina anche da Occidente e bloccarne, forse, il vitale accesso al mare.

La Russia avrebbe già circa 1500 soldati nel territorio appartenente de iure alla Repubblica di Moldova, ma de facto uno Stato indipendente dal settembre 1990 – con il nome di Repubblica moldava di Pridnestrovie. La Moldova diventava invece autonoma l'anno successivo, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, il 27 agosto 1991.

La regione separatista, politicamente allineata con Mosca, non fa che inasprire la polarizzazione della società moldava, attraversata da una frattura socio-politica tra i cittadini moldavi di lingua rumena, orientati verso la Romania e l'Europa e quelli di lingua russa, vicini invece a Mosca.

La Russia è pronta alla guerra nucleare”, minaccia Putin. Ma il Cremlino non ha intenzione di ricorrere all'armamentario atomico. Per il momento. Solo un avvertimento affinché la NATO capisca.

L'America non è più il “gigante” della scacchiera geopolitica mondiale. E l'Europa non è ancora l'attore (geo)politico di cui ci sarebbe forse bisogno: la guerra russa all’Ucraina ne ha infatti messo in evidenza limiti e contraddizioni. Indecisione che Mosca interpreta come la debolezza dell'Occidente. La debolezza della democrazia. Ma qui, in Ucraina, la difesa della libertà (e di una seppur imperfetta democrazia) è doverosa, necessaria, e riguarda tutti.



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L'Autore

Giuliana Băruș

Studi in Giurisprudenza e Diritto Internazionale a Trieste.
Oltre che di Diritto (e di diritti), appassionata di geopolitica, giornalismo – quello lento, narrativo, che racconta storie ed esplora mondi fotoreportage, musica underground e cinema indipendente.

Da sempre “permanently dislocated un voyageur sur la terreabita i confini, fisici e metaforici, quelle patrie elettive di chi si sente a casa solo nell'intersezionalità di sovrapposizioni identitarie: la realtà in divenire si vede meglio agli estremi che dal centro. Viaggiare per scrivere soprattutto di migrazioni, conflitti e diritti e scrivere per viaggiare, alla ricerca di geografie interiori per esplorarne l’ambiguità e i punti d’ombra creati dalla luce.

Nel 2023, ha viaggiato e vissuto in quattro paesi diversi: Romania, sua terra d'origine, Albania, Georgia e Turchia.
Affascinata, quindi, dallo spazio post-sovietico dell'Europa centro-orientale; dalla cultura millenaria del Mediterraneo; e dalle sfaccettate complessità del Medio Oriente.

In Mondo Internazionale Post è autrice per la sezione Organizzazioni Internazionali”.

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