Mes: ripercussioni non solo economiche, ma soprattutto politiche della scelta italiana

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  Tiziano Sini
  27 dicembre 2023
  3 minuti, 2 secondi

Per molti aspetti, l’esito della votazione dello scorso 21 dicembre nel Parlamento italianonon è stata una sorpresa, ma, nonostante ciò, oltre alle ripercussioni prettamente economiche, sembra evidente che gli impatti politici nel concerto europeo saranno piuttosto seri.

Per comprendere al meglio questa scelta è, però, doveroso fare un passo indietro: il Meccanismo europeo di Stabilità, più comunemente conosciuto come Mes o come Fondo Salva Stati, ormai da alcuni anni resta uno dei temi più dibattuti a livello europeo, sia nella prima fase della sua genesi come strumento di intervento durante la famosa “Crisi del debito sovrano”, che ha colpito l’Europa fra il 2010 e il 2011; sia successivamente con il tentativo di modificarlo, eliminando le storture e integrandolo con la struttura dell’Unione bancaria.

Che lo strumento abbia subito una genesi in questi ultimi anni è assolutamente inagibile, ma non per questo è riuscito a scollarsi di dosso una grande pecca: il cattivo impatto dal punto di vista comunicativo legato al modo di operare dello strumento durante la crisi del 2010. Per quanto, infatti, la dimensione operativa risulti profondamente cambiata e aggiornata rispetto alle sfide del presente, compresa l’assenza di intervento da parte della Troika, lo strumento continua a essere stigmatizzato dall’opinione pubblica di alcuni Paesi.

Queste dinamiche sono facilmente riscontrabili all’interno delle vicissitudini che hanno caratterizzato le scelte politiche italiane degli ultimi anni, a partire dalla decisione fortemente dibattuta di accettare le modifiche negoziate, da parte del precedente Governo Conte, fino alle votazioni degli scorsi giorni, che ha fatto venir meno qualsiasi tentativo da parte degli organi italiani di ratificare l’accordo.

Come anticipato, però, una decisione del genere porta con sé una serie di conseguenze, in primo luogo, di natura economica. Mancando, infatti, la ratifica da parte dell’Italia, ultimo Paese a doverlo fare, viene meno l’entrata in vigore di uno strumento emergenziale in caso di future crisi interne all’area Euro, in grado di mobilitare circa 500 miliardi per l’attivazione di particolari linee di intervento[1].

A questo aspetto se ne aggiunge anche un altro, altrettanto rilevante: il venir meno del tentativo di inserire all’interno dello strumento anche una rete di sicurezza finanziaria, meglio conosciuta come “backstop”, che garantisca anche l’istituzionalizzazione di un paracadute per far fronte a future crisi nel settore creditizio. Questo elemento era stato promosso per definire l’ultimo pilastro dell’Unione bancaria, il sistema di vigilanza e risoluzione del sistema bancario all’interno dell’area Euro, e cioè il Fondo di Risoluzione Comune[2].

A queste criticità se ne accompagnano, inoltre, alcune anche di natura prettamente politica: il diniego italiano, dopo un lungo iter, oltre che arrecare un danno agli altri partner europei, invece favorevoli all’introduzione dello strumento, pone numerosi interrogativi sulle dinamiche che da adesso governeranno i rapporti fra i Paesi.

Simbolico, in questo caso, anche il maldestro tentativo di legare l’approvazione del Mes al raggiungimento di un accordo favorevole sul nuovo Patto di Stabilità; situazione risolta dai negoziati fra Germania e Francia, che hanno di fatto tagliato fuori l’Italia[3].

Sembra, per questo, piuttosto chiaro quanto il Mes risulti solamente l’ultimo tema dell’agenda politica europea, che scoperchia problemi ancora più grossi, in particolare per il Paese guidato da Giorgia Meloni, dove a una situazione economica piuttosto grave, si potrebbe aggiungere ben presto anche un crescente isolamento politico.

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Tiziano Sini

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