Microplastiche e nanoplastiche: quali sono gli effetti sulla salute?

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  Redazione
  17 dicembre 2024
  8 minuti, 27 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, Specialista in Otorinolaringoiatria e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

I negoziatori del recente incontro internazionale di Busan (Corea del Sud) non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla stipula di un trattato vincolante per tutti, inteso a limitare l’inquinamento ambientale da plastica. Ovviamente non si tratta di notizie positive in quanto gli scienziati stessi documentano ogni giorno l’entità e la gravità della contaminazione ambientale e si accumulano prove degli effetti deleteri della plastica sulla salute degli esseri viventi.

È noto che la plastica è economica, versatile, leggera e simbolo della stessa modernità. Nella seconda metà del XX secolo, questo materiale che certuni definiscono come “miracoloso”, suscitò l'entusiasmo di produttori, designer e consumatori. Si tratta per lo più di formica, polipropilene, polistirolo e altri polietileni che hanno invaso la nostra vita quotidiana, prima di invadere l’ambiente di tutte le specie viventi.

Tuttavia, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, la consapevolezza dell’entità raggiunta dall’inquinamento da plastica ha cambiato il modo con il quale vedevamo questo materiale. Attualmente, una domanda cruciale sorge con insistenza: quale sarà il costo reale della nostra vicinanza e dipendenza dalla plastica, non solo per la salute del nostro pianeta, ma anche per la nostra salute e quella dei nostri discendenti?

All’origine del problema sta la frammentazione della plastica

Da tempo si ritiene che la plastica non si degradi e quindi non possa avere alcun impatto sull’ambiente e sulla salute umana. In altre parole, l’inquinamento da plastica è stato soprattutto visivo. Ma, dall’inizio degli anni 2000, la nostra visione di questi materiali è cambiata radicalmente.

Oggi sappiamo in quanto è stato compiutamente dimostrato che tutte le plastiche, comprese quelle più resistenti, si degradano lentamente e irrimediabilmente.

La plastica si frammenta gradualmente in microplastiche, ovvero particelle di dimensioni inferiori a 5 mm, che a loro volta si degradano in nanoplastiche, di dimensioni inferiori addirittura ad 1 µm (meno di un millesimo di millimetro).

Nel tempo, gli scienziati hanno scoperto frammenti di plastica sempre più piccoli in molti luoghi: nell’ambiente, nel cibo, nell’acqua e persino all’interno del corpo degli esseri viventi…! Ora che si sa come rilevare la presenza di frammenti piccoli come nanoplastiche, se ne troveranno sicuramente molti di più, un po’ ovunque.

Si apre una nuova casella di ricerca. Grazie a questi progressi tecnologici, ora sappiamo, ad esempio, che l'acqua che beviamo potrebbe contenere, oltre a microplastiche pure nanoplastiche ...

Due principali fonti di contaminazione

La maggior parte delle volte, quando si parla di microplastiche negli alimenti, si parla solo della fonte diretta di contaminazione, ovvero l’imballaggio. Ma sappiamo che le microplastiche possono contaminare il cibo non solo quando viene confezionato, ma anche durante la sua preparazione ed utilizzo.

Particolarmente incriminati sono gli imballaggi monouso. Un caffè caldo o una bevanda fredda con ghiaccio si caricheranno rapidamente di microplastiche rilasciate dal bicchiere di plastica monouso in cui sono stati versati, proprio come il nostro pasto caldo si caricherà di microplastiche nel momento in cui viene riposto nel suo contenitore di plastica e quello con il quale il corriere lo porta a casa nostra.

Ma esiste una seconda via di contaminazione, della quale si parla meno anche se è altrettanto importante: la fonte ambientale.

Abbiamo scaricato collettivamente nell’ambiente quantità fenomenali di plastica e continuiamo a farlo. Con il tempo, queste si degradano nel suolo, nell'acqua, negli oceani, nell'atmosfera … Risultato: oggi, in Europa come in Asia, verdura e frutta contengono microplastiche ancor prima di essere confezionate. Un’altra conseguenza degna di nota è che tutta l’acqua è stata contaminata, sia quella del rubinetto che quella in bottiglia.

Che cosa succede dopo l'ingestione o l'inalazione?

Gli esseri viventi e gli esseri umani vengono contaminati dalla plastica sia attraverso il cibo che per inalazione, in quanto si riscontrano particelle di plastica anche nell'aria ambiente. Dopo l'ingestione, le particelle si diffondono in tutto il corpo. Più piccole sono le loro dimensioni, più si diffondono nei tessuti.

Inizialmente, i risultati della contaminazione umana riguardavano lo studio delle feci. Le prime reazioni sono state quindi quelle di postulare che forse l’ingestione non fosse così problematica, giacché la plastica sembrava venisse espulsa attraverso percorsi naturali.

Questa visione è ben presto cambiata allorquando gli scienziati con successivi studi hanno iniziato a riscontrare la presenza di particelle di plastica in molti tessuti del corpo umano: prima nel tessuto intestinale, poi nel fegato, nel sangue, nei reni, nei polmoni, nel cervello, nei genitali (sia degli uomini che delle donne)… e persino nella placenta ed il liquido amniotico, il che significa che anche il feto è soggetto a questo genere di inquinamento.

Innumerevoli tipi di microplastiche ed effetti poco conosciuti

Determinare la quantità di plastica che ingeriamo ogni giorno non è facile. Conoscere gli effetti di questi materiali sulla nostra salute a medio o lungo termine lo è ancora meno. Lo studio degli effetti delle micro e nanoplastiche sulla salute è infatti estremamente complesso, per diversi motivi.

Innanzitutto, è difficile determinare le quantità di microplastiche che contaminano i tessuti umani su larga scala. Ciò può essere fatto solo su piccola scala, su campioni di poche decine di individui, per ragioni metodologiche. In effetti, non esiste ancora un metodo analitico automatizzato e condiviso per il conteggio e l’analisi delle microplastiche. Uno dei motivi è che non esiste un solo tipo di microplastica, ma innumerevoli tipi diversi, i cui frammenti variano non solo nella composizione polimerica (polistirolo, polietilene, polipropilene, ecc.) o nelle dimensioni, ma anche nella superficie chimica e biologica o nella composizione, tutti fattori capaci di influenzare il modo con il quale le cellule del corpo li riconoscono e li catturano al loro interno.

Ancora…

Le innumerevoli varietà di microplastiche non sono mai composte da polimeri puri. A detti polimeri sono infatti associati anche numerosi additivi (generalmente si parla di circa 15.000). Nel complesso, le microplastiche costituiscono miscele di contaminanti i cui effetti sono ancora molto complessi da studiare. Inoltre, allo stato attuale, non sappiamo quasi tutto su come questi additivi si comportano una volta le particelle di plastica sono state ingerite. Questa immensa varietà rende impossibile studiare la tossicità di ogni tipo di microplastica.

Infine, queste particelle pongono anche un altro problema: quando trascorrono del tempo nell'ambiente, tendono a comportarsi come aggregatori di sostanze inquinanti, fissandole alla loro superficie.

Inoltre non si sa ancora con certezza che cosa succede a questi inquinanti supplementari dopo aver ingerito le particelle di plastica che li trasportano all’interno dell’organismo.

Infiammazione e stress ossidativo

Ciò che accomuna le patologie da plastica è che iniziano con una reazione patologica di tipo infiammatorio accompagnata da uno stress biologico di tipo ossidativo, indipendentemente dall’organo interessato. Questi due meccanismi sono in realtà reazioni di difesa da parte dell’organismo. Essi si formano quando un composto estraneo alla composizione dell’organismo penetra nel corpo, sia esso un virus, un batterio o una particella di plastica.

Dato che ingeriamo cronicamente microplastiche nel corso della nostra vita, si teme che la cronicità di questa esposizione possa portare a infiammazioni croniche e stress ossidativo di natura persistente, che potrebbero portare allo sviluppo di patologie più gravi come si è osservato anche negli animali da esperimento.

Ma la cosa più preoccupante è sapere che l’infiammazione cronica e lo stress ossidativo sono fattori favorevoli allo sviluppo delle neoplasie. Anche se non è stato ancora stabilito alcun legame forte tra l’esposizione alla plastica e un determinato tipo di neoplasia maligna, ciò rappresenta una significativa fonte di preoccupazione.

Un’altra incertezza riguarda come potrebbero risultare gli effetti cocktail risultanti dall’esposizione simultanea a più tipi di particelle di plastiche differenti. Si può sperare che i loro effetti tossici non si sommino necessariamente.

Limitare l’esposizione?

Purtroppo non è più realmente possibile sperare di sfuggire del tutto all’esposizione alle microplastiche. D’altro canto possiamo cercare di preservarci un po’.

E’ prioritario limitare l’utilizzo di imballaggi in plastica, soprattutto quelli monouso. È meglio evitare i contenitori di plastica, soprattutto quando si tratta di conservare gli alimenti a lungo termine, e utilizzare quotidianamente, ad esempio, una tazza di ceramica, una bottiglia d'acqua in acciaio inossidabile o un contenitore di vetro.

Secondo consiglio: evitare assolutamente di riscaldare nel microonde o di congelare gli alimenti in contenitori di plastica. Gli sbalzi di temperatura, infatti, favoriscono il rilascio di microplastiche.

A questo proposito sfatiamo un pre concetto errato che circola sui social network: è sconsigliato buttare via le bottiglie di plastica che hanno trascorso una giornata in frigorifero. Questo tipo di informazioni non solo sono infondate, ma si rivelano anche controproducenti per ridurre l’inquinamento da plastica...

Terzo consiglio: è meglio sostituire gli utensili da cucina in plastica con altri materiali (taglieri in bambù, spatole in legno o acciaio inox, ecc.).

In cucina è meglio scegliere l’acciaio inox o il legno piuttosto che la plastica.

Infine, evitate i liquidi contenuti nelle bottiglie di plastica.

Per quanto riguarda l’acqua, in particolare, privilegiate quella del rubinetto (contiene meno particelle microplastiche rispetto all’acqua in bottiglia). Certo, può contenere anche altri contaminanti, ma dal punto di vista delle microplastiche, consumarla presenta un altro vantaggio: meno acqua in bottiglia potrebbe in definitiva significare meno produzione di plastica. Questo sarà sempre meno da gestire per le generazioni future…

Adeguare le normative

C’è ancora una quantità fenomenale di lavoro da fare se vogliamo sperare di comprendere le conseguenze sulla salute dell’inquinamento da microplastiche.

Di fronte all’abbondanza di molecole, e dato che sarà impossibile stabilire tutti i potenziali effetti tossici per ciascuna di esse, una sfida cruciale sarà convincere le autorità di regolamentazione ad affrontare radicalmente il problema.

In effetti, accumulare risultati è importante, ma è soprattutto cruciale che questi dati vengano utilizzati per sviluppare standard. Questo passaggio può richiedere anni.

Sappiamo anche che spesso si scontra con un’intensa lobby da parte dei produttori, soprattutto quando la posta economica è così alta: in Europa, gli ultimi dati pubblicati mostrano che l’industria della plastica rappresenta 1,5 milioni di posti di lavoro, 52.000 aziende e più di 400 miliardi di euro nel fatturato mondiale.

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