Popolo indigeno Masai

La Tanzania attua un programma di trasferimento forzato

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  Chiara Giovannoni
  07 agosto 2024
  4 minuti, 10 secondi

I Masai sono uno dei popoli indigeni più conosciuti al mondo. Letteralmente “il popolo che parla la lingua maa”, sono pastori seminomadi con un legame molto profondo con il bestiame, che arrivarono in Kenya e in Tanzania intorno al XVI secolo. Da generazioni plasmano e proteggono le terre in cui vivono, preservandone la fauna e la biodiversità. Nel corso della loro esistenza sono stati sistematicamente emarginati e sfrattati dalle loro terre ancestrali per far posto al turismo, a progetti di conservazione e a programmi di caccia. 

Il governo della Tanzania ha negato ai Masai il riconoscimento di popolo indigeno, impedendo loro l’accesso all’acqua potabile, ai servizi sanitari, comprese donne incinte e bambini, e ai servizi pubblici come la scuola. Nel 2009 le autorità hanno relegato le attività dei Masai all'interno di cosiddette “aree protette”, che hanno una portata di circa 1500 km2. Le limitazioni degli insediamenti hanno lasciato 70.000 membri della comunità con terre insufficienti per il bestiame, fattore che, insieme alla limitazione all’accesso all’istruzione, all’acqua, all’assistenza sanitaria e all’alimentazione, ha portato molti membri ad abbandonare il proprio territorio d’origine

Secondo il rapporto “E’ come uccidere la cultura” pubblicato da Human Rights Watch a luglio 2024, il governo della Tanzania porta avanti dal 2022 un trasferimento forzato degli indigeni dall’Area di Conservazione Ngorongoro verso Msomera, un villaggio a 600 km di distanza, in modo da poter utilizzare la loro terra a fini turistici e di conservazione. Dall’inizio del programma, per il quale non è stato chiesto il consenso alla comunità Masai, sono state trasferite 82.000 persone. Tra l’agosto 2022 e il dicembre 2023 la stessa organizzazione ha intervistato un centinaio di persone, sia residenti dell’area di conservazione che residenti ed ex di Msomera. Da queste interviste sono venute alla luce serie violazioni del loro diritto alla terra, all’istruzione e alla salute. Dal 2022 è diventato difficile anche entrare e uscire dall’area protetta in quanto le autorità hanno istituito nuove regole riguardanti la circolazione. I residenti devono, infatti, spostarsi sempre con vari tipi di documenti identificativi, senza i quali non possono accedere alle loro residenze. Negli ultimi anni sono state inoltre imposte tasse sempre più alte annuali per persone e veicoli in ingresso.

Il rapporto evidenzia come il programma di trasferimento e reinsediamento forzato abbia causato conseguenze nel breve e nel lungo termine. La relazione tra la comunità Masai e le autorità è infatti drasticamente peggiorata dall’inizio del trasferimento. I Masai si trovano spesso vittime di aggressioni, molestie e pestaggi, soprattutto coloro che non rispettano le regole imposte dal governo. In aggiunta, oltre a un aumento significativo della disuguaglianza di genere, il programma ha lasciato senza niente coloro che si sono rifiutati di essere trasferiti. Per scappare al trasferimento forzato molti membri della comunità si sono nascosti nelle foreste, dove sono rimasti per settimane, mentre altri sono fuggiti in Kenya. Un’altra importante conseguenza viene dalla mancata consultazione della comunità Masai e della loro cultura sul programma di trasferimento. Infatti, le famiglie sono state insediate in case singole, spesso con poche stanze, che limitano la loro regolare quotidianità, in quanto questo popolo è composto da famiglie solitamente molto numerose, spesso poligame e multigenerazionali. L’interruzione dell’istruzione dovuta agli spostamenti si rivela anch’essa una conseguenza di importanza cruciale per il futuro apprendimento delle nuove generazioni, che potrebbero trovarsi senza possibilità di frequentare la scuola per un lungo periodo.

Dal punto di vista internazionale, la questione dei Masai è stata seguita non solo da organizzazioni per la difesa dei diritti umani, ma anche dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite. Le autorità del posto hanno spesso negato l’ingresso a organizzazioni non governative internazionali o hanno monitorato i loro rappresentanti nel caso di lascia passare. Il Parlamento Europeo in una Risoluzione del 14 dicembre 2023 ha esortato il governo della Tanzania a cessare gli sgomberi forzati, oltre a invitarlo a riconoscere e a tutelare i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. All’interno della stessa risoluzione invita, inoltre, le autorità locali a collaborare con le comunità interessate al fine di trovare una soluzione accettabile e permanente per i Masai residenti nell’area di Ngorongoro. Secondo il diritto internazionale, il processo di trasferimento viola la Carta Africana dei Diritti Umani e dei Popoli, oltre al Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. A essere violati sono molti diritti, tra cui il diritto a un alloggio adeguato, al cibo, all’acqua, alla salute, all’istruzione, al lavoro, alla sicurezza della persona, alla libertà da trattamenti crudeli, disumani e degradanti e alla libertà di movimento.

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L'Autore

Chiara Giovannoni

Chiara Giovannoni, classe 2000, è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Strategie Culturali per la Cooperazione e lo sviluppo presso l’Università Roma3.

Interessata alle relazioni internazionali, in particolare alla dimensione dei diritti umani e alla cooperazione.

E’ volontaria presso un’organizzazione no profit che si occupa dei diritti dei minori in varie aree del mondo.

In Mondo Internazionale ricopre la carica di autrice per l’area tematica Diritti Umani.

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Diritti Umani

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Indigeni Masai Cultura Trasferimento forzato Reinsediamento tanzania