Protocollo di intesa tra Italia e Albania: le criticità

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  Mariasole Caira
  23 novembre 2023
  4 minuti, 56 secondi

Il 6 novembre è stata annunciata la conclusione di un Protocollo di intesa tra Italia e Albania, in base al quale l’Italia potrà realizzare a sue spese due strutture in cui allestire centri per la gestione dei migranti irregolari, recuperati a seguito di operazioni di soccorso in mare, sul territorio albanese. Il Protocollo prevede che i centri ospitino fino a un massimo 3mila migranti irregolari, che saranno sotto la giurisdizione italiana e saranno gestiti da autorità italiane, per il tempo strettamente necessario all’esame della domanda di protezione internazionale. In base a quanto affermato dall’esecutivo, alle autorità albanesi sarà affidato il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, dunque, regolando i flussi di entrata ed uscita dei migranti usciti senza autorizzazione.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha celebrato l’accordo come un grande risultato di collaborazione tra Paesi dell’Unione Europea e Paesi terzi, volto a combattere il traffico illegale di esseri umani e ad accogliere in Italia solo chi ha diritto alla protezione internazionale. Tuttavia, quest'ultimo ha sollevato un acceso dibattito, scaturito soprattutto dagli interrogativi che pone dal punto di vista del rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, ma anche in merito alla sua attuabilità.

In realtà, l’accordo non è una novità nel contesto internazionale: un accordo di esternalizzazione, anch’esso molto dibattuto, era stato concluso tra l’Australia e la Papua Nuova Guinea già nel 2012; esistono, poi, testimonianze di migranti che nel 2014, dopo aver raggiunto Israele, erano stati trasferiti in Ruanda e in Uganda, anche se Israele ha sempre dichiarato che si trattava di atti volontari degli stessi richiedenti protezione internazionale. Nel continente europeo, il primo a concludere un accordo di tal genere è stato il governo britannico che aveva varato, ad aprile 2022, un piano per affidare la gestione dei migranti irregolari arrivati nel territorio con mezzi considerati illegali (quali, ad esempio, piccole imbarcazioni), al Ruanda, allo scopo di contrastare l’immigrazione irregolare, migliorare il controllo alle frontiere e ostacolare le organizzazioni di trafficanti. Quest’ultimo accordo, però, è stato bloccato da una sentenza emessa dalla Court of Appeal il 29 giugno 2023, nella quale i giudici hanno stabilito l’illegittimità del trasferimento di migranti in un Paese non sicuro, come il Ruanda. 

Contro l'accordo con il Ruanda si erano esposte anche diverse organizzazioni internazionali e in particolare l’UNHCR, che aveva sottolineato la sua contrarietà agli obblighi internazionali del Regno Unito e la sua incompatibilità con gli standard richiesti relativi alla legalità e all'adeguatezza dei trasferimenti dei richiedenti asilo. Il Governo, dal suo punto di vista, aveva contestato la decisione della Corte, in particolare sostenendo la sicurezza del Ruanda, e aveva dunque presentato un ricorso dinanzi alla Supreme Court. Quest’ultima si è pronunciata sulla questione proprio negli ultimi giorni, ribadendo l’impossibilità di considerare il Ruanda come un Paese terzo sicuro e di conseguenza l’illegittimità del trasferimento di richiedenti asilo giunti nel Regno Unito, per contrarietà ai principi del diritto internazionale dei diritti umani. Questa recente pronuncia ha riacceso i dibattiti e le numerose polemiche sull’accordo tra Italia e Albania. Tuttavia, tra quest’ultimo e quello tra Regno Unito e Ruanda vi sono alcune differenze. Innanzitutto, stando a quanto più volte affermato da entrambe le parti, l’Albania concede all’Italia le aree del suo territorio a titolo gratuito. Al contrario, l’accordo tra governo britannico e quello ruandese prevedeva il pagamento da parte del Regno Unito di una somma iniziale di 120 milioni di sterline per lo sviluppo economico e la crescita del Ruanda, oltre che ovviamente la presa in carico del costo operativo del programma e delle spese di alloggio e integrazione dei migranti. Inoltre, mentre il Ruanda non può considerarsi Paese sicuro, l’Albania è considerato tale, e, anzi, dal 2009 ha presentato la formale candidatura per aderire all’Unione Europea, oltre ad essere parte del Consiglio d’Europa. Proprio per questo, è stato più volte ribadita, anche negli ultimi giorni, l’impossibilità di accostare il Protocollo d’intesta all’accordo tra Regno Unito e Ruanda, dal momento che il protocollo non prevede un’esternalizzazione delle domande di asilo ad un Paese terzo.

Nonostante questo, l’accordo con l’Albania rimane oggetto di numerose critiche, soprattutto da parte dell’opposizione e di organizzazioni che tutelano i diritti umani, che hanno mostrato preoccupazione per la possibilità che si ponga in violazione del principio di non respingimento e che dia vita a situazioni di detenzione illegittima. Problemi sorgono non solo in relazione al trattenimento dei migranti in territorio estero ma anche in relazione al loro spostamento: è stato affermato che costringere i migranti, già reduci da viaggi estremamente pericolosi e traumatici, ad un ulteriore viaggio dalle coste del sud dell’Italia a quelle albanesi, distanti varie centinaia di chilometri, si pone in contrasto con il diritto internazionale, in base al quale le operazioni di ricerca e soccorso in mare dovrebbero essere concluse nel più breve tempo possibile e di tutti i principi internazionali in tema di diritti umani, dal momento che potrebbe integrare l’ipotesi di trattamento inumano e degradante; per non parlare dei rischi che questo comporta per la salute e la sicurezza dei migranti stessi.

Molti dubbi erano stati sollevati in merito alla compatibilità dell’accordo con il diritto dell’Unione Europea, ma la Commissione Europea, dopo averlo valutato preliminarmente, lo ha ritenuto estraneo al diritto dell’Unione e ha, dunque, affermato che non si pone in contrasto con quest’ultimo. Nonostante le numerose rassicurazioni provenienti dal Governo italiano, da ultima quella proveniente dal Ministro degli esteri che ha annunciato un ddl di ratifica da sottoporre al Parlamento, l’accordo presenta ancora molti punti controversi, che sarà necessario chiarire per verificare la sua effettiva attuabilità e compatibilità con i diritti dei richiedenti protezione, soprattutto per garantire loro gli stessi standard di protezione previsti in Italia.

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L'Autore

Mariasole Caira

Mariasole Caira ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Lateranense, a Roma, con una tesi in diritto internazionale dal titolo “Cambiamento climatico e flussi migratori: verso una tutela giuridica per i rifugiati ambientali”.

Durante il suo percorso di studi ha frequentato per un semestre l’Université Catholique de Louvain, dove ha avuto modo di approfondire il diritto internazionale.

È da sempre appassionata al tema dei diritti fondamentali, per questo oggi frequenta un Master di II livello presso l’Università La Sapienza sulla tutela internazionale dei diritti umani.

In Mondo Internazionale Post è autrice per l’area tematica di Diritti Umani.

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