Quale sarà il prossimo ordine energetico globale?

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  Redazione
  08 settembre 2023
  10 minuti, 10 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Sulla scia dell'invasione russa dell'Ucraina, il mondo sembra essere a un punto di inflessione o comunque sia ad un bivio. I leader aziendali hanno dichiarato l'accelerazione del processo di deglobalizzazione e lanciato l'allarme sull’avvento di un nuovo periodo di stagflazione.

Per quest’ultima s’intende una condizione economica patologica nella quale sussistono contemporaneamente nello stesso mercato sia un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita dell'economia in termini reali (stagnazione economica).

A tale proposito, gli analisti di geopolitica hanno già salutato e auspicato una forte reazione occidentale basata sul rinnovamento in toto dei legami transatlantici tra gli alleati.

Nel frattempo, i paesi occidentali stanno riesaminando molti aspetti delle loro politiche internazionali, tra cui le modalità e la dimensione da attribuire al proprio commercio con l’estero, l’entità della spesa stanziata per la difesa e non in ultimo la qualità e consistenza delle alleanze militari.

Fino a tempi recenti, questi radicali cambiamenti hanno oscurato un'altra profonda trasformazione e stato di crisi che stanno avvenendo nell’ambito del sistema energetico globale.

Negli ultimi due decenni, l'urgente necessità di ridurre le emissioni di carbonio ha gradualmente rimodellato l'ordine energetico globale.

Ora, come risultato della guerra in Ucraina, la sicurezza energetica è tornata decisamente alla ribalta, unendosi al cambiamento climatico come principale problema e preoccupazione per i responsabili politici di tutto il mondo, specie di quelli occidentali e industrialmente più avanzati.

Da tempo entrate in sinergia, queste due priorità stanno agendo rimodellando sia la pianificazione energetica nazionale di numerosi stati che i flussi commerciali internazionali di energia in un ambito globale.

La reazione generale è che i paesi guardano sempre più verso il proprio interno, dando priorità alla propria produzione di energia e alla cooperazione interregionale, persino nel caso in cui l’obiettivo è quello di passare a emissioni nette di anidride carbonica pari a zero.

Tuttavia, in questo modo, qualora gli stati si ritirassero costituendo blocchi energetici di valenza strategica, la dichiarata tendenza multi decennale verso una maggiore interconnessione energetica rischia di lasciare il posto a una pericolosa era di multi frammentazione energetica.

Un’altra delle ipotesi più critiche è rappresentata dalla possibilità che, oltre al nazionalismo economico e alla deglobalizzazione (superamento della globalizzazione attraverso l'incentivazione dei mercati locali), il prossimo ordine energetico potrebbe essere definito da qualcosa che pochi analisti hanno pienamente valutato: l'intervento dei governi nel settore energetico ma su un livello del tutto nuovo rispetto alla memoria recente.

Dopo gli ultimi quattro decenni durante i quali hanno cercato di moderare la loro attività nei mercati dell'energia, i governi occidentali stanno ora ammettendo la necessità di dover svolgere un ruolo molto più attivo in questo settore strategico, dalla costruzione (e ritiro) delle infrastrutture per i combustibili fossili al processo decisionale su quali mercati possono diventare oggetto per l’ acquisto e la vendita di energia. Con il risultato di limitare le emissioni di CO2 attraverso la strumentalizzazione (talvolta speculativa) del prezzo dei prodotti carboniosi, sussidi e altre misure già appartenenti ai valori storicamente già noti.

Gli anni ‘70

Questo cambiamento è destinato a evitare paragoni con gli anni 1970, quando l'eccessivo intervento dei governi nei mercati dell'energia ha stimolato ed esacerbato le ripetute crisi energetiche avvenute fino ad oggi.

L'era nascente degli interventi governativi così prospettati non sarà un avvenimento da interpretarsi negativamente: opportunamente limitato e gestito su misura per affrontare specifici fallimenti del mercato, essa può prevenire i peggiori effetti dovuti ai cambiamenti climatici, mitigare molti rischi legati alla sicurezza energetica e non in ultimo contribuire alla gestione delle maggiori sfide geopolitiche che si svilupperanno nel corso della prossima transizione energetica.

L'attuale crisi energetica ha rifocalizzato l'attenzione del mondo sui rischi energetici di natura geopolitica, forzando una sorta di confronto tra le ambizioni climatiche protese al domani e il fabbisogno energetico di oggi. Essa offre anche un'anteprima dell'era tumultuosa che aspetta tutti quanti.

Il modo nel quale i governi risponderanno a queste sfide, messe tra l’altro in forte e precario rilievo dall'invasione russa dell'Ucraina, modellerà in buona misura il nuovo ordine energetico per qualche decennio a venire.

Le premesse storiche

La storia delle crisi energetiche del 1970 è in parte qualificabile storicamente nell'ambito di un eccesso delle attività di governo.

Le premesse risalgono ad un tempo precedente, prima che i sei membri principali del Golfo dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) tagliassero la produzione e istituissero un embargo petrolifero a danno degli Stati Uniti e altri paesi che sostenevano Israele durante la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur del 1973.

In quel frangente, Washington aveva attivamente cercato di gestire autonomamente le esigenze petrolifere statunitensi.

Nel 1959, ad esempio, il presidente Dwight Eisenhower fissò quote sulle importazioni di petrolio al fine di proteggere i produttori americani. Queste quote hanno avuto il loro effetto desiderato, consentendo ai produttori statunitensi di prosperare e aumentare l'offerta per tutto il 1960.

Ma, nel frattempo, non hanno protetto i consumatori dall'aumento dei costi. Il risultato fu che, mentre gli americani si recavano nelle periferie urbane, investendo in case e automobili sempre più costose, il consumo di petrolio arrivò a superare l'offerta e i prezzi iniziarono fatalmente ad aumentare.

Per tenere sotto controllo i prezzi, il presidente Richard Nixon provò una serie di politiche. Nel 1971, nello stesso momento in cui la sua amministrazione pose fine al gold standard, impose una serie di controlli sui salari e sui prezzi, anche su petrolio e gas.

Ma queste misure hanno solo aumentato la domanda di petrolio mentre hanno spinto verso il basso l'offerta interna.

La crisi peggiore

L’ultima crisi energetica innescata dall'invasione russa dell'Ucraina potrebbe diventare la peggiore di questo mezzo secolo. Molti analisti hanno già fatto paragoni con le crisi petrolifere del 1970, ma si individuano importanti differenze.

In primis, oggi l'economia globale è meno intensa dal punto di vista energetico. Sotto un certo profilo, la crescita economica reale ha superato l’incremento del consumo di energia: quindi il mondo attualmente consuma molta meno energia per unità di Prodotto Interno Lordo (PIL).

Inoltre, ora un numero maggiore di compagnie commercializzano petrolio a livello globale rispetto ai primi anni 1970, quando solo una manciata di aziende controllava la maggior parte del commercio mondiale di questo prodotto. Dunque, le catene di approvvigionamento energetico sono ora più durevoli.

Va da sé che l'attuale crisi energetica va ben oltre il petrolio e potrebbe influenzare una fetta più ampia dell'economia. Le fonti di energia di ogni tipo rischiano di essere sconvolte anche dalle turbolenze occasionali.

La Russia non è solo il più grande esportatore mondiale di petrolio e prodotti petroliferi raffinati, ma anche il fornitore dominante di gas naturale in Europa e un importante esportatore di carbone e uranio a basso arricchimento utilizzato per alimentare le centrali nucleari, per non parlare di molte altre materie prime.

Con i prezzi del carbone, della benzina, del diesel, del gas naturale e di altre materie prime, tutti vicini a livelli record, un'ulteriore interruzione delle forniture energetiche russe, avviata dalla Russia o dall'Europa, non farebbe altro che accelerare l'inflazione, innescando i principali processi economici verso la recessione.

Prima com’era?

Il sistema energetico globale era sotto stress anche prima che il presidente russo Vladimir Putin decidesse di invadere militarmente l'Ucraina.

L'Europa e altre parti del mondo hanno affrontato sfide di produzione di energia poiché sempre più elettricità proveniva da fonti intermittenti come il solare e l'eolico.

Allo stesso tempo, anni di scarsi rendimenti e maggiori pressioni climatiche avevano ridotto gli investimenti in petrolio e gas, con conseguenti forniture limitate.

I problemi della catena di approvvigionamento legati al COVID-19 hanno aggravato la scarsità della materia prima e aumentato le pressioni internazionali sui prezzi.

Nel 2021 e all'inizio del 2022, l'impennata dei prezzi del gas naturale ha spinto alcune utility europee verso gravi deficit di bilancio e ha costretto i governi a sovvenzionare le bollette energetiche con denaro pubblico.

Le cose avrebbero potuto andare anche peggio, ma il clima più caldo del previsto in Europa e in Asia ha allentato non poco la domanda di energia.

Dallo scoppio della guerra in Ucraina, i mercati dell'energia da carburanti fossili sono stati ancora più fragili e quindi più volatili nei prezzi.

I mercati del credito si sono ristretti, lasciando poca liquidità per sostenere l'acquisto e la vendita di petrolio. E sia l'offerta che la domanda hanno subito grandi traumi

Molti acquirenti si sono tenuti alla larga dal petrolio russo, preoccupati per le sanzioni bancarie e finanziarie sancite dall’intero Occidente e per il potenziale quanto controproducente stigma di fare affari con la Russia.

La vendita di petrolio da parte della Russia è fortemente diminuita per una quantità valutata dall'Agenzia internazionale per l'energia intorno ad un milione di barili al giorno, un numero che potrebbe salire se l'Unione europea seguisse il suo piano di vietare l’importazione di tutto il petrolio greggio, la benzina e il diesel russi entro la fine dell'anno 2023.

La speculazione, basata anche su fattori emotivi, che potrebbero esserci ulteriori sanzioni disposte all'orizzonte finanziario, in unione alla riluttanza (più di facciata, secondo alcuni) dell'OPEC a colmare l'offerta di petrolio russo persa, ha spinto i prezzi ancora più in alto.

Alla fine di maggio scorso, il petrolio era scambiato a ben oltre $ 100 al barile. Hanno seguito i prezzi della benzina e i prezzi del diesel, i quali a loro volta hanno aumentato i costi di produzione e di trasporto dei prodotti alimentari.

I consumatori in Europa e altrove hanno affrontato un'emergenza ancora più acuta a causa dei prezzi record raggiunti dal gas naturale.

La contro tendenza

Tali prezzi sarebbero ancora più alti se non fosse per due potenti fattori che stanno almeno temporaneamente muovendo il mercato nella direzione opposta.

I lockdown indotti dal COVID-19 in Cina hanno notevolmente ridotto la domanda globale di energia mentre gli Stati Uniti e i loro partner internazionali hanno rilasciato quantità senza precedenti di petrolio tratto dalle loro riserve strategiche.

Per il momento, il volume che fluisce dalle scorte strategiche (e l’integrazione da parte di fornitori alternativi) ha compensato totalmente la perdita delle forniture provenienti dalla Russia.

Ma il peggio potrebbe ancora venire ?

Quando le limitazioni cinesi alla produzione dovute ai lockdown epidemici da Covid si allenteranno del tutto, la domanda di petrolio aumenterà, spingendo i prezzi al rialzo. Lo stesso varrà per i prezzi del gas naturale, che a loro volta influenzano i prezzi dell'elettricità e del riscaldamento domestico.

Eventuali sanzioni aggiuntive verso la Russia avrebbero effetti di secondo e terzo ordine sul sistema energetico globale.

Le turbolenze nei mercati del gas naturale liquefatto, che sono già fluite sempre più verso l'Europa a causa dei prezzi più alti, hanno lasciato l'Asia alla ricerca di fonti energetiche alternative. Il carbone, un sostituto abbondante e relativamente economico del gas naturale, ha prevalso come fonte alternativa di energia.

Il tutto con buona pace degli ecologisti per l’enorme e ulteriore rilascio di CO2 nell’atmosfera che ne è conseguito.

Non a caso la Cina Popolare e altri paesi hanno aumentato la produzione di carbone fossile tra i crescenti timori di carenze energetiche globali, togliendo parte della pressione sui prezzi dei mercati globali del gas. Senza l'aumento della produzione asiatica di carbone, l'Europa sarebbe meno in grado di far fronte alla perdita di gas russo.

Ma anche la maggiore dipendenza dal carbone ha spinto il suo prezzo a livelli record, lasciando i paesi a basso reddito come l'India e il Pakistan a lottare per soddisfare il loro crescente fabbisogno energetico nel mezzo delle recenti ondate di calore climatico.

I prezzi elevati del gas naturale, utilizzato anche per produrre fertilizzanti, stanno facendo salire i prezzi dei prodotti alimentari (che stavano già aumentando) a causa delle continue interruzioni delle esportazioni agricole russe e ucraine.

Numerosi fattori hanno reso costantemente fluido e incerto tutto il settore energetico mondiale e non se ne vede ancora la fine.

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