Quando e come è nata la cittadinanza europea?

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  Melissa Cortese
  15 dicembre 2022
  4 minuti, 23 secondi

L’idea di cittadinanza europea comincia a svilupparsi già sin dai primi anni Settanta. In particolare, durante il vertice di Parigi del 1974, viene redatto il rapporto Tindemans, contenente un capitolo dedicato all’Europa dei cittadini e all’attribuzione di diritti a questi ultimi. Il concetto viene ripreso dal Comitato Adonnino, il Comitato sull’Europa dei cittadini del 1985, il cui rapporto contiene un elenco di diritti speciali dei cittadini europei. L’espressione “cittadinanza dell’Unione europea” compare integralmente solo nel Progetto Spinelli, ovvero, il Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea, presentato al parlamento europeo nel 1984. L’articolo 3 afferma: “I cittadini degli Stati membri sono per ciò stesso cittadini dell’Unione. La cittadinanza dell’Unione è legata alla qualità di cittadino di uno Stato membro; essa non può essere acquistata o perduta separatamente. I cittadini dell’Unione partecipano alla vita politica nelle forme previste dal presente Trattato, godono dei diritti che sono loro riconosciuti dall’ordinamento giuridico dell’Unione e si conformano alle norme di quest’ultimo”.

Le disposizioni sulla cittadinanza europea fanno il loro ingresso nel diritto primario nel 1992, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht. Le norme sfumano il carattere politico della cittadinanza, come, per esempio, l’elemento della partecipazione dei cittadini alla vita politica. Il risultato è un pacchetto di diritti speciali attribuiti al cittadino, e non uno status che generi un’aperta varietà di diritti e doveri. In origine, il tema della cittadinanza europea veniva affrontato con grande cautela sia da parte delle istituzioni che dai giuristi. La recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha dimostrato il crescente ruolo dell’istituto, che sembra destinato a conquistare il primo piano dell’ordinamento giuridico comunitario. Quindi, se le norme europee si applicano a tutti i cittadini europei in egual modo, ne consegue che non è necessaria alcuna azione per avere diritto ad un trattamento uguale a quello altrui.

L’istituto della cittadinanza dell’Unione subisce delle significative modifiche con i trattati di Amsterdam, Nizza e Lisbona. I mutamenti si sviluppano principalmente sotto due aspetti: l’alleggerimento della concezione di cittadinanza come insieme di singoli diritti speciali, introdotta dal Trattato di Maastricht, e il rapporto tra cittadinanza dell’Unione e cittadinanza nazionale. Quanto alla prima manovra, diversamente dal Trattato di Maastricht, che esponeva una serie puntuale di diritti spettanti ai cittadini europei, dall’attuale art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) emerge un elenco esemplificativo, dunque non esaustivo, dei diritti che possono discendere dalla cittadinanza europea: ci si avvicina così alla nozione di cittadinanza come status aperto ed esteso. Il rapporto tra cittadinanza europea e cittadinanza nazionale è invece decifrato diversamente dal Trattato di Amsterdam e dal Trattato di Lisbona. Il primo sottolineava il ruolo centrale della cittadinanza nazionale, affermando che: “la cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima”. Il successivo Trattato di Lisbona, differentemente, attesta che “la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”, conferendo alla cittadinanza europea progressiva crescita e autonomia. Il carattere derivato è una delle principali disuguaglianze tra cittadinanza dell’Unione e cittadinanza nazionale: l’Unione europea non definisce autonomamente i requisiti necessari per l’acquisizione della propria cittadinanza, ma rimette tale valutazione agli ordinamenti degli Stati membri. Tale aspetto deriva dalla natura non statuale dell’Unione europea e, quindi, dalla conservazione della sovranità in capo agli Stati membri.

Nell’elenco dei diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione europea, presente agli artt. 18- 25 del TFUE, compaiono diritti civili e diritti politici, ma non diritti sociali. Questa assenza è dovuta alla suddivisione delle competenze tra Unione europea e Stati membri: dall’art. 135 del TFUE risulta, infatti, che l’Unione abbia meramente un ruolo di sostegno dell’azione degli Stati membri nel settore della politica sociale. Nonostante l’intero Capo IV della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione sia interamente dedicato alla solidarietà e ai diritti sociali, la materia delle prestazioni sociali resta nazionale. La gestione della politica sociale e delle prestazioni presuppone che l’ente erogatore abbia risorse sufficienti e, quindi, che abbia capacità fiscale. L’Unione europea ha un bilancio limitato e finanziato quasi totalmente dai contributi degli Stati membri - perciò, non possiede le risorse necessarie a ricoprire tale ruolo.

Sostenere lo sviluppo della cittadinanza europea per avvicinarsi sempre più alla cultura dell’appartenenza ed eliminare forme ancora esistenti di discriminazione saranno argomenti rilevanti nei prossimi decenni per l’Unione europea nel suo insieme e per ogni singolo Stato membro. L’alimentazione di tutti i processi evolutivi volti all’intensificazione del legame e dell’integrazione dell’Unione europea non va sospesa, soprattutto in epoche critiche come quella attuale.


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Melissa Cortese

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