Quanto sarebbe bello giocare a fare Dio?

"Dall'alto di una fredda torre" di Francesco Frangipane tenta di darci una prospettiva

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  Jacopo Cantoni
  18 giugno 2024
  5 minuti, 10 secondi

Cosa significa giocare a fare Dio? Avere il potere di scegliere chi far morire o far vivere? E sì, lasciate che ve lo dica, le due cose sono diametralmente opposte.

Dall’alto di una fredda torre è il nuovo film prodotto e distribuito da Lucky Red, opera prima di Francesco Frangipane con protagonisti nomi competenti e illustri del presente cinematografico italiano. Ci sono, però, un po’ di ma.

Per contestualizzare, la pellicola racconta la storia di due gemelli a cui viene data la possibilità, davvero, di giocare a essere degli dei, ma non come in “Una settimana da Dio”, divertendosi alla Jim Carrey e scoprendo i lati negativi dell’avere quel potere. Ciò a cui vengono messi di fronte è la loro capacità di salvare uno solo dei due genitori da una malattia genetica.

La domanda iniziale qui riecheggia tuonante. Chi salviamo? Ma se decidiamo di salvare uno, decidiamo anche di uccidere l’altro. Quindi, chi uccidiamo?

Domande che con una buona capacità narrativa vengono intensificate grazie alla buona armonia tra i due attori protagonisti, Edoardo Pesce, nei panni di Antonioe Vanessa Scalera, la gemella Elena, i cui tratti facciali e la sua capacità di modellarli, durante tutto il film, aumentano ancora di più l’angoscia che i due fratelli provano nel fare questa scelta.

La storia lineare permette una comprensione completa della vicenda così come degli stati d’animo della maggior parte dei protagonisti che sono soli sempre; niente parenti, poiché i genitori sono figli unici; niente relazioni, i rispettivi fidanzata e fidanzato li hanno lasciati; vivono da soli: Antonio, per esempio, vive in una cascina a mezz’ora da Gubbio, città ambiente del film.

Questa solitudine è schiacciante, un grido al voler trovare qualcuno che insieme a loro porti il peso di una scelta che nessuno mai dovrebbe trovarsi a fare. La dottoressa Anna, interpretata da Elena Radonicich, alla domanda del collega Marco, Massimiliano Benvenuto, sul "e se fossi nei loro panni chi salveresti?" risponde con un secco e di pancia "saranno anche cazzi loro". Un modo ancora più forte per far capire quanto la scelta ricada solo sui gemelli che, e qui viene la cosa interessante, decidono per tutta la durata del film di non dire assolutamente nulla a chi davvero sta per morire, i genitori.

Anna Bonaiuto, la madre Michela e Giorgio Colangeli, il padre Giovanni, sono la tipica coppia di pensionati che attendono il weekend per vedere i figli e con loro un po’ di rottura con la normalità, un distacco dalla routine che li sta deteriorando. Rimangono ignari di tutto per l’intera durata del film, ma comunque si fanno delle domande, interessanti, taglienti, a cui si danno risposte cliché per sdrammatizzare un’ansia che si intensifica anche dentro di loro, a causa del cambio di comportamento dei figli.

Figli che sono la loro perfetta fotocopia negli atteggiamenti, nei movimenti, nelle azioni cicliche che le due "coppie" compiono identiche, si pensi alla scena della sigaretta alla finestra: le posizioni sono le stesse, così come l’intensità delle parole, il passaggio della sigaretta e il fine di quegli scambi, la scelta.

Non sono ancora arrivato davvero ai ma, quindi, parto con una mezza lista della spesa, che dovrebbe essere però esplicativa di ciò che non mi ha convinto in questo film, da sala - e non da televisione -, riuscito ma leggermente zoppo (sono consapevole della carriera di Frangipane).

Come già ho lamentato in altri articoli sul fatto che la scelta del cast molto spesso non è del tutto corretta, qui non è il cast a non essere stato scelto con accuratezza, ma la regia acerba, che in alcune scene, tra cui, a malincuore, una delle scene centrali, il litigio tra Elena e Michela, non è del tutto riuscita. La tensione c’è, è alta, riesce a tenerci incollati a scoprire le reazioni e le emozioni, ma la composizione dei personaggi e le loro reazioni non mi hanno convinto, anzi mi hanno quasi deluso.

Nella prima scena di incontro con i dottori, la costruzione rende palese la finzione cinematografica. Per i primi quaranta secondi di quella scena i dottori mi sono sembrati degli attori, palesando la finzione, cosa che nel cinema del reale non voglio assolutamente vedere.

Discutendo con amici, ancora una volta mi trovo a lamentare il problema della presunzione del regista e degli sceneggiatori. Capisco che per loro e per la macchina che ci sta dietro la necessità è quella di far arrivare al pubblico tutto il film e ogni suo aspetto, la narrativa, l’estetica, i messaggi eccetera. È anche vero però che gli spiegoni “alla Don Matteo” sono una presunzione sul pubblico che viene spesso considerato non in grado di comprendere le dinamiche in gioco durante il film.

Mi spiego meglio: la sequenza iniziale dei genitori nella nebbia e sul cocuzzolo della montagna che si dicono per la prima volta ti amo e che da lì danno il via a tutta la storia viene ripresa quando Elena e Giovanni sono in macchina da soli, momento tra l’altro focale che porterà il padre a fidarsi della figlia e scegliere di non andare a indagare in ospedale la sua malattia. È anche il momento dove ci viene detto che i personaggi dell’inizio del film sono proprio loro, Giovanni e Michela. Mi chiedo con quale bisogno una tale minuzia di particolari e dialogo devono riportarci lì. Una conversazione più nebulosa e meno puntuale avrebbe portato i pochi a un “wow” e i tanti a non comprendere fino alla scena successiva che riporta questa citazione, scena in cui per la prima volta i genitori si rendono conto che moriranno, rimanendo comunque ignari della loro condizione genetica.

Sulle note di questa polemica, che spero essere costruttiva, vi invito lo stesso a vedere un film ben riuscito e una prima regia con pochissime pecche.

Dall’alto di una fredda torre di Francesco Frangipane è al cinema, tutto da scoprire!


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L'Autore

Jacopo Cantoni

Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.

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