A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS
Una informazione è già certa: i presunti autori dell'attacco al teatro di Crocus City erano tagiki, il che ha causato una reazione contro i lavoratori migranti in Russia.
Tuttavia, appare del tutto improbabile che le relazioni tra Tagikistan e Russia vengano influenzate negativamente.
Di chi la colpa?
La responsabilità dell'attacco terroristico del 22 marzo presso la sala concerti di Crocus City vicino a Mosca è stata ore rotundo rivendicata dallo Stato islamico Khorasan (ISIS-K) con sede principale in Afghanistan, mentre la maggior parte dei sospettati dell'attacco provengono dal Tagikistan.
La radicalizzazione tra alcuni musulmani in Asia centrale è in corso da alcuni decenni e organizzazioni terroristiche come l’ISIS-K – che era stata in gran parte dimenticata in Russia fino all’attacco mortale del 22-03-2024 – hanno presto imparato a trarne pieno vantaggio. Questo processo nefasto si è affermato sino a diventare particolarmente acuto nel paese più povero di tutta questa vasta regione centro-asiatica, il Tagikistan.
All'inizio del mese di marzo, il presidente tagiko, Emomali Rahmon, ha affermato che negli ultimi tre anni ben ventiquattro suoi concittadini hanno commesso o pianificato attacchi terroristici in dieci paesi. L'intera popolazione dei tagiki è di soli 10 milioni di cittadini.
Il parere degli analisti
Le ragioni di questa radicalizzazione non sono mai state un segreto, anzi.
Il Tagikistan è l’unico paese dell’Asia centrale ad aver vissuto una asperrima e sanguinosa guerra civile in tempi relativamente recenti (1992-1997).
Alcune stime sufficientemente affidabili valutano che il bilancio delle vittime della brutale guerra sia arrivato a 100.000.
La situazione sociale e ancor più economica del Tagikistan è una delle peggiori dell’Asia centrale, con il paese disposto al 162º posto nella classifica mondiale per il PIL pro capite, alla pari di un altro Paese poverissimo come Haiti.
Circa il 70% dei tagiki vive in aree rurali, dove regnano indisturbati fenomeni turpi di degrado sociale come le spose bambine, la poligamia e la quasi universale disoccupazione femminile.
Nell’era della digitalizzazione e della trasparenza universale, povertà e disuguaglianza esacerbano acutamente il profondo senso di ingiustizia tra la popolazione. Tali riscontri sono sofferti dalla popolazione tagika, governata per altro da un regime corrotto e autoritario in cui il presidente Rahmon e la sua famiglia possiedono quasi tutto ciò che ha un qualche valore e non manifestano alcun timore di ostentare la propria ricchezza.
Per oltre tre decenni al potere, è stata distrutta - con mezzi per lo più illegali - tutta l’opposizione. Ciò sta a significare che in Tagikistan non esistono più strumenti legali per fronteggiare le ingiustizie. In pratica non rimane che una sola strada da percorrere per coloro che si oppongono al regime: la radicalizzazione operativa delle proprie convinzioni.
La storia locale
I gruppi terroristici internazionali conoscono molto bene questa situazione. Per questo considerano da tanto tempo il Tagikistan come un fertile pabulum di reclutamento dei propri seguaci. Non a caso i social media affiliati all'ISIS-K producono i propri contenuti da diffondere in lingua tagica.
Inoltre, pubblicano materiale religioso e trattati politici che criticano aspramente Rahmon e la sua famiglia per essere troppo vicino e succubi del governo russo, per il suo autoritarismo e per non essere abbastanza religioso. ISIS-K gestisce anche canali come Telegram in lingua tagica e account cinesi come TikTok .
Tutta questa attività propagandistica ha prodotto non pochi risultati nel reclutamento a livello locale e l’ISIS ha potuto organizzare diversi attacchi terroristici nello stesso Tagikistan.
Nel 2019, dozzine di combattenti hanno attraversato il Tagikistan provenienti dall’Afghanistan e hanno attaccato un posto di frontiera al confine con l’Uzbekistan.
L’anno prima l’Isis aveva rivendicato l’uccisione di un gruppo di ciclisti occidentali in turismo sulle montagne tagike.
L’Isis è anche responsabile di due sanguinose rivolte carcerarie in Tagikistan che hanno provocato la morte di dozzine di prigionieri e guardie carcerarie.
Cresce anche il numero degli attentati terroristici compiuti all'estero da tagiki.
All’inizio del 2024, due attentatori suicidi tagiki hanno ucciso quasi 100 persone in Iran facendosi esplodere durante una cerimonia funebre in un cimitero.
Attacchi terroristici da parte dei tagiki hanno avuto luogo anche in Afghanistan, e ci sono stati tentativi falliti in Germania e Turchia.
Persino alcuni agenti di sicurezza tagiki si sono uniti all’organizzazione dell’Isis.
Clamorosa è stata la notizia che persino il comandante della polizia antisommossa tagika, Gulmurod Khalimov, ha giurato fedeltà all'ISIS entrando nei suoi ranghi nel 2015.
Khalimov non solo conosceva l'apparato di sicurezza tagiko, ma era stato anche addestrato negli Stati Uniti e in Russia. Lo stesso probabilmente è stato ucciso nelle operazioni terroristiche in Siria nel 2020.
Cosa fa il governo tagiko?
Le autorità tagike sono ben consapevoli di non poter affrontare questo problema da sole, quindi collaborano con una serie di altri paesi quando si tratta di questioni che riguardano la sicurezza del Paese.
La cooperazione con la Russia è forte, sia bilaterale (il Tagikistan ospita la più grande base militare straniera della Russia) sia attraverso l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata monoliticamente da Mosca.
La Cina sta aiutando il Tagikistan a costruire basi di polizia al confine con l’Afghanistan; L'India affitta un aeroporto; e l’Iran sta aprendo una catena di montaggio di droni.
Tuttavia, queste misure fanno ben poco per fermare la radicalizzazione della società tagika. Dushanbe (capitale del Tagikistan) non è riuscita a trovare altro che una dura repressione, che non fa altro che nascondere il problema e spesso aggravarlo.
Nonostante l’elevato numero di vittime, è improbabile che l’attacco alla sala concerti Crocus City cambi il modo in cui Mosca o Dushanbe affrontano gruppi armati e fanatici come l’Isis.
È molto più facile per Mosca simulare un’intensa attività prendendo di mira i migranti miserabili dell’Asia centrale, che già affrontano discriminazione civile estrema, corruzione radicata e umiliazione nei diritti umani.
La Russia non fa nulla per aiutare i suoi giovani migranti maschi di prima generazione, il che significa che hanno finito per vivere in comunità chiuse, sostanzialmente ghettizzate e sono fragili e vulnerabili alla radicalizzazione ideologica.
Le conseguenze
L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia non ha fatto altro che peggiorare la situazione.
La xenofobia è diventata la norma tra i “patrioti” russi, i blogger di guerra e altri che sono venuti alla ribalta da quando la Russia ha invaso l’Ucraina due anni fa.
L’establishment della sicurezza russo è particolarmente contrario ai migranti e negli ultimi due anni ha premuto per inasprire la legislazione sull’immigrazione interna.
In generale, la società russa è propensa ad approvare misure più severe. Secondo alcune analisi, la percentuale di russi che sostengono le restrizioni all’immigrazione è aumentata dal 57% nel 2017 al 68% nel 2021.
Il 26% non ammetterebbe affatto i migranti dall’Asia centrale in Russia.
La situazione è aggravata dalle agenzie di sicurezza, complici nel dare una pubblicità sproporzionata ai crimini commessi dai migranti.
I lavoratori migranti dell'Asia centrale in Russia hanno già subito una reazione negativa dopo le notizie sul coinvolgimento dei tagiki nell'attacco alla sala da concerto.
Nei giorni successivi agli omicidi, i lavoratori migranti hanno dovuto affrontare lunghi ed estenuanti controlli alla frontiera, e ci sono stati casi di russi che si sono rifiutati di salire su taxi guidati da tagiki, così come di proprietari di centri commerciali che hanno chiesto gli elenchi di tutti i dipendenti provenienti dall’Asia centrale.
I video trapelati di agenti di sicurezza russi che torturano i tagiki arrestati in relazione all’attacco – e l’entità delle ferite subite dagli uomini quando sono stati portati in tribunale – legittimeranno una crudeltà più generalizzata nei confronti dei cittadini dell’Asia centrale.
L’ambasciata tagika in Russia ha deciso di dire ai suoi cittadini di rimanere a casa, mentre l’ambasciata kirghisa attualmente sconsiglia ai suoi cittadini di recarsi in Russia.
Allo stesso tempo, è improbabile che l’attacco terroristico possa alterare gli stretti rapporti tra Mosca e Dushanbe.
La Russia sta già affrontando una grave carenza di manodopera e difficilmente può permettersi di mettere a repentaglio una rimanente fonte di manodopera, per altro a basso costo.
Nel suo discorso dopo l’attacco, il presidente russo Vladimir Putin ha risposto alle notizie secondo le quali i sospettati erano tagiki affermando falsamente che i terroristi “non hanno una nazionalità”.
Finora è stato più propenso a concentrarsi su questa sua affermazione infondata del pieno coinvolgimento ucraino nell’attacco.
Rahmon ha parlato con Putin rinnegando tassativamente i cittadini tagiki presumibilmente responsabili.
I due presidenti si sono anche impegnati ad approfondire i legami reciproci in materia di sicurezza interna ed esterna, anche se è difficile immaginare come potrebbero diventarlo in misura maggiore di adesso.
L’efficacia di questi legami, però, si presta a considerazioni di differente natura, che pongono diversi interrogativi.
Entrambi questi regimi autoritari, ormai invecchiati, sono davvero in grado di prevenire ulteriori attacchi terroristici?
Oppure sono maggiormente interessati ad elaborare minacce immaginarie e nel contempo consolidare con i propri gruppi di potere la personale presa sul potere?
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