Sei troppo donna per lavorare: le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro

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  Redazione
  02 luglio 2020
  6 minuti, 53 secondi

A cura di Simona Maria Destro Castaniti


Le discriminazioni nei luoghi di lavoro sono un fenomeno tristemente ancora assai diffuso nel nostro Paese, nonostante i significativi progressi avvenuti a livello legislativo e giurisprudenziale.

Uno dei risultati raggiunti in questa direzione nel nostro Paese è rappresentato dalla Legge n. 92 del 2012, che ha introdotto degli incentivi per le aziende che assumono donne disoccupate da almeno 2 anni, o 6 mesi nel caso di settori caratterizzati da disparità occupazionale di genere; grazie a tale riforma, sono state 6500 le donne assunte nel 2013.

Tuttavia, i dati riguardanti le discriminazioni di genere suscitano, ancora, non poche preoccupazioni.

L’Italia, infatti, si colloca al 14esimo posto nella classifica Europea (Gender Equality Index 2019) fornita dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere.

Stando ai dati forniti dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dall’Osservatorio Italiano sui Diritti, infatti, in Italia solo il 34% della popolazione femminile risulta svolgere attività lavorativa.

Dati più preoccupanti, poi, riguardano le donne che ricoprono incarichi dirigenziali (solo il 28%) e che hanno presentato dimissioni volontarie (il 73%).

Ancora, secondo le percentuali di Eurostat, il gender gap nel settore pubblico ammonta al 20%.

Infine, il dato più triste è la percentuale di donne che dichiara di aver subito violenze nei luoghi di lavoro: il 31,5%

Nella presente analisi, si andrà ad esaminare la normativa italiana in tema di discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro.

Secondo quanto previsto dal Codice delle Pari Opportunità tra Uomo e Donna (il D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198), è vietata ogni discriminazione per ragioni di sesso e in riferimento, in particolare, allo stato di gravidanza o maternità (anche adottiva) della lavoratrice.

Le discriminazioni vietate dal Codice delle Pari Opportunità, e cristallizzate negli articoli 27, 28, 29 e 30 del Decreto, si riferiscono tanto all’accesso al lavoro, sia esso in forma subordinata o autonoma, quanto ai criteri di selezione e assunzione, nonché alle opportunità di avanzamento di carriera e gli aspetti retributivi e previdenziali, con una particolare attenzione, poi, anche al tema delle qualifiche e delle mansioni, laddove si sente, purtroppo, ancora troppo spesso parlare di “lavori prettamente femminili/maschili”.

Pertanto, alla luce della disciplina sin qui esaminata, è fatto divieto al datore di indicare, quale criterio di selezione, l’appartenenza all’uno o all’altro sesso.

Il divieto di discriminazione di genere abbraccia tutti i settori del lavoro, ivi compresa la formazione, tutelando, pertanto, anche chi ricopre le posizioni di stagista, apprendista o tirocinante.

Un ambito purtroppo spesso teatro di profonde discriminazioni di genere è quello della "dequalificazione": le donne, infatti, spinte da motivi economici sono spesso costrette ad accettare lavori dequalificanti.

Tra le varie forme di discriminazione vi rientrano anche le c.d. molestie sessuali, ossia quel “comportamento indesiderato a connotazione sessuale nel contesto lavorativo che offende la dignità della persona cui è rivolto”, ai sensi dell’art. 4 delle Linee Guida contro le Molestie Sessuali sul Luogo di Lavoro nel Dipartimento Federale degli Affari Esteri.

Le molestie sessuali possono esprimersi in diverse forme, dagli apprezzamenti verbali fino ad arrivare ad aggressioni fisiche, che hanno come risultato quello di creare un clima intimidatorio all’interno del luogo di lavoro.

Altra forma di discriminazione può essere configurata dal c.d. mobbing, che si sostanzia nel comportamento ostile prolungato, posto in essere da parte di un superiore, finalizzato alla prevaricazione, mortificazione e/o emarginazione del lavoratore.

Le donne che, purtroppo, cadono vittima di tali comportamenti hanno la possibilità di adire il Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, sia direttamente, sia attraverso la figura del c.d. Consigliere di Parità, nominato a livello nazionale, regionale e provinciale, che ha la funzione di attivarsi al fine di garantire il rispetto del principio di non discriminazione nei luoghi di lavoro.

Nel caso in cui il Giudice adito riconosca l’avvenuto comportamento discriminatorio, provvederà a ordinare la cessazione dello stesso e contestualmente la rimozione degli effetti, nonché il risarcimento del danno sofferto dalla lavoratrice.

Tale rimedio a carattere individuale è, poi, affiancato dalle c.d. Azioni Collettive, nel caso in cui i comportamenti discriminatori vengano posti in essere nei confronti di più lavoratrici; in questi casi, il Giudice, oltre a emettere provvedimento analogo a quello delle azioni individuali, ordina all'autore delle condotte illecite di presentare un piano di rimozione delle discriminazioni.

Chiunque violi le disposizioni poc’anzi esaminate, verrà punito con la pena dell’ammenda da € 250,00 a € 1.500,00.

Al fine di monitorare costantemente le condizioni di lavoro in relazione al rispetto delle pari opportunità, ai sensi dell’art. 46 del Codice delle Pari Opportunità, è previsto che le aziende con più di 100 dipendenti siano tenute a redigere un rapporto biennale circa la situazione del personale impiegato (sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro è disponibile un programma dedicato alla compilazione di tali campi).

Come anticipato all’apertura della presente analisi, i progressi normativi, purtroppo, sembrano non essere sufficienti a contrastare la pratica fin troppo diffusa delle discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro; ciò è, probabilmente, dovuto ai profondi stereotipi e preconcetti culturali che tuttora pervadono la nostra società.

Nella vita di tutti i giorni, infatti, capita sovente di udire o assistere a mortificazioni mosse nei confronti di donne troppo belle o troppo brutte, troppo magre o troppo grasse, finanche troppo brave.

Tali infelici considerazioni sono da imputare ad una figura ideale della donna lavoratrice, che deve rispondere a dei precisi canoni di fisicità, intelligenza e attitudine personale; la donna, infatti, non può essere al contempo mamma e manager, e se lo è, probabilmente non sarà considerata una brava mamma (o una brava manager).

Così come una donna attraente non potrà, certamente, essere anche competente, esperta, intelligente e capace.

Tali dannosi preconcetti, purtroppo, sono maggiormente diffusi nelle Regioni del Sud Italia, dove la scolarizzazione delle donne è minore, essendo la figura femminile solitamente assimilata al concetto di “madre-casalinga”, spesso estranea agli affari di lavoro di cui si occupa prevalentemente l’uomo.

Il principio del rispetto delle pari opportunità, peraltro, è uno degli Obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.

Tra le proposte finalizzate al raggiungimento di tale obiettivo vi è, ad esempio, l’incentivare le donne a intraprendere studi e/o lavori di tipo tecnico, che sono sovente di competenza degli uomini nonché, ovviamente, promuovere iniziative volte alla “conciliazione vita-lavoro” e a fronteggiare il gender gap.

In merito a ciò, al fine di promuovere una completa parità retributiva tra uomini e donne, l’istruzione pare essere la chiave di volta per incentivare la domanda di lavoro proveniente dalle donne.

In conclusione, la parità di genere in campo lavorativo è ancora lontana dall’essere pienamente realizzata e la donna italiana viene quotidianamente umiliata e svilita nei luoghi di lavoro, spesso relegata a ruoli di minore importanza e posta “nell’ombra”.

Probabilmente questo accade perché una donna abile e preparata nel proprio settore lavorativo spaventa i più, che preferiscono, allora, screditarla per il suo aspetto fisico o per altri aspetti della sua vita privata.

Fino a quando, a lavoro, si guarderà sempre prima il taglio di capelli, la lunghezza della gonna o il colore dello smalto di una donna lavoratrice, senza ascoltare quello che ha da dire, la strada verso le pari opportunità sarà ancora lunga.



Fonti consultate per il presente articolo:

-Codice delle pari opportunità 2020 (https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2011/09/19/codice-delle-pari-opportunita-tra-uomo-e-donna);

-European institute for gender equality, Gender equality index 2019: still far from the finish line, 15 ottobre 2019.

-Linee guida contro le molestie sessuali sul luogo di lavoro nel Dipartimento federale degli affari esteri, 12 settembre 2012;

-Massaini M., Pari opportunità e discriminazione sul lavoro: quali tutele?” in "Altalex", 8 marzo 2019;

-Minello A., Come le donne in Italia sono ancora discriminate, 13 gennaio 2020

-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Donne e Lavoro, 25 marzo 2014;

-Organizzazione Internazionale del Lavoro;

-Specchio L., Il ruolo della donna nel mondo del lavoro: criticità e prospettive, in "LavoroDirittiEuropa", 12 dicembre 2019;

-Staiano R., Mobbing, definizione e art. 2087 c.c. (Cass. n, 22393/2012)”, in "Diritto.it", 18 dicembre 2012;

-Voltattorni C., Donne e lavoro, in Italia resta gap su retribuzione (e non solo), in “L’Economia", 28 febbraio 2020;

-Vox Osservatorio Italiano sui diritti.

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