Tasse ambientali in Italia: cosa sono e come - non - vengono usate

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  Alessia Marchesini
  10 febbraio 2023
  3 minuti, 39 secondi

Le tasse e le imposte ambientali sono uno strumento economico spesso utilizzato dagli stati, e regolamentato dall’Unione Europea, per mettere in pratica la logica per cui ‘chi inquina, paga’.

L’idea alla base è quella di aumentare il costo finale di un bene o un servizio, il quale genera esternalità negative per l’ambiente e, di conseguenza, per l’intera società.

A livello europeo, secondo quanto indicato dal regolamento 691/2011, queste tasse vengono apposte principalmente su quattro tipi di ambiti: in primis sul settore energetico, che comprende carburanti, come benzina e diesel, e combustibili, come oli, gas naturali e carbone, così come le loro relative emissioni di Co2; sui trasporti, ovvero accise sul possesso e l’uso di veicoli a motore; sull’inquinamento, in termini di rilascio di sostanze inquinanti nell’aria o nell’acqua, così come di rifiuti solidi e inquinamento acustico; infine, sull’estrazione di risorse, che può portare ad inquinamento ed erosione del suolo.

Efficacia e potenziali utilizzi

Numerosi studi, tra cui uno condotto nel 2020 dall’Agenzia europea dell’ambiente, riportano vari dati circa l’efficacia di queste imposte nei paesi europei in cui sono state implementate. Innanzitutto, perché permettono di internalizzare i costi esterni, ovvero di includere nel prezzo finale del bene o del servizio erogato il costo che questo ha sull’ambiente esterno, e di riparare potenzialmente i danni prodotti.

Secondariamente, l’esistenza di queste tasse fa sì che il bene o il servizio con un elevato tasso di esternalità negative sull’ambiente abbia un costo più elevato, disincentivando così sia i produttori sia i potenziali consumatori, i quali tenderanno a produrre o acquistare in modo più sostenibile e meno impattante.

Queste imposte rappresentano, inoltre, un valido strumento di politica economica in mano agli stati, i quali devono confrontarsi quotidianamente con la necessità di velocizzare la transizione ecologica e la riduzione dell’impatto ambientale. Sfide spesso rallentate dal fatto che beni e servizi sostenibili – o con un impatto ridotto – sono più costosi rispetto a quelli profondamente dannosi per l’ecosistema. Dunque, grazie a queste tasse, i prodotti più sostenibili diventano competitivi rispetto ai loro omologhi più inquinanti.

Infine, le tasse ambientali fanno aumentare il gettito fiscale degli stati, i quali possono potenzialmente investire queste risorse aggiuntive in politiche a favore dell’ambiente, dell’innovazione, dell’occupazione e della competitività. Oppure, come sperimentato con successo in alcuni paesi europei come la Danimarca, l’ingresso di questo guadagno nelle casse dello stato potrebbe permettere la riduzione di altri tipi di tasse, specie per quelle fasce di popolazione meno responsabili dei danni climatici.

Caso italiano: quanto guadagna lo Stato da queste tasse e in cosa le reinveste

A livello comunitario, nel 2019 gli introiti derivanti dalle imposte ambientali ammontavano a 330 miliardi, mentre in Italia si contavano 58,7 miliardi di euro aggiunti alle casse dello Stato grazie a questa tassa, una delle più alte in Europa. Nonostante nel 2020 si sia registrato calo degli introiti da tassazione ambientale, queste imposte rappresentavano comunque il 7% del gettito fiscale totale italiano.

Ma come vengono reinvestite queste risorse? In Italia soltanto i soldi derivanti dalle tasse sull’inquinamento e sull’estrazione di risorse vengono investite nella tutela dell’ambiente. Tuttavia, queste rappresentano solamente lo 0,9% dei guadagni totali da tassazione ambientale, dal momento che la maggior parte degli introiti deriva dalle tasse sull’energia e sui trasporti.

Concretamente parlando, stiamo dicendo che di quei 58,7 miliardi di gettito fiscale, soltanto 549 milioni vengono investiti per l’ambiente e l’ecosistema, e soprattutto per riparare ai danni generati dalle attività tassate.

Dovremmo quindi eliminare queste tasse, dal momento che non producono i risultati auspicati? Decisamente no. La validità di questo strumento economico non è certo da mettere in discussione, bensì lo è l’utilizzo che ne viene fatto in alcuni paesi come l’Italia in cui, invece di usare quel reddito per implementare politiche a favore dell’ambiente, lo si sperpera altrove, magari anche per finanziare quei 9 miliardi di euro di sussidi che ogni anno finiscono in mano all’industria delle fonti fossili.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento/files/000/028/683/Valutazione_6_-_Chi_inquina_paga.pdf

https://ec.europa.eu/eurostat/documents/3859598/5854253/KS-39-01-077-EN.PDF.pdf/5c97b328-6539-4290-9bca-97dea7b882bd?t=1414780347000

https://www.openpolis.it/come-vengono-gestite-e-impiegate-le-tasse-ambientali/

https://www.openpolis.it/parole/che-cosa-sono-le-tasse-e-le-imposte-ambientali/

https://www.eea.europa.eu/it/publications/92-9167-000-6-sum/page001.html

https://www.themapreport.com/2021/12/15/tasse-ambientali-in-italia-solo-l1-e-utilizzato-effettivamente-per-lambiente/

https://www2.mst.dk/udgiv/publications/2000/87-7909-568-2/html/kap04_eng.htm

https://www.italiaclima.org/oltre-9-miliardi-allanno-di-sussidi-alle-fossili-finanziamenti-pubblici-a-carbone-petrolio-e-gas/

Immagine: https://www.pexels.com/it-it/foto/bollette-contanti-moneta-tasse-4386367/

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L'Autore

Alessia Marchesini

Classe '99, si laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna. Attualmente frequenta un Master in Politiche, Progettazione e Fondi Europei presso l'Università di Padova. I suoi interessi più grandi sono la storia e la geopolitica, ma anche la natura e la tutela dell'ambiente. Da convinta europeista, ha deciso di cimentarsi nello studio e nell'approfondimento degli strumenti che l'Unione Europea mette a disposizione di stati e cittadini per rispondere alle esigenze del nuovo secolo, in particolare quelle focalizzate su lavoro, transizione energetica ed ecologica.

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