Tassonomia europea e conflitto in Ucraina: molte evidenze testimoniano le problematicità in cui versa l'Unione europea

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  Tiziano Sini
  06 febbraio 2022
  3 minuti, 48 secondi

Mai come in questo momento storico, il grande domino internazionale sembra suscettibile a profonde crisi e fratture, sottolineando, in maniera sempre più evidente, la strettissima correlazione che corre fra eventi internazionali e sistema economico, in una simbiosi quanto mai fragile, soprattutto di fronte ai disequilibri attuali.

Le profonde tensioni che attraversano il sistema sono facilmente rintracciabili negli elementi di vulnerabilità che caratterizzano la stessa Unione Europea, dove dinamiche di carattere interno, combinate con dinamiche esterne, stanno determinando le politiche odierne e quelle del futuro.

Come è infatti noto fin dall'insediamento della Commissione, uno dei pilastri per il futuro dell'UE è proprio il Green Deal Europeo, su cui - fra alti e bassi - si sono strutturate le politiche europee, anche a seguito dell’avvento della pandemia.

Come spesso accade però, le difficoltà della messa a terra delle iniziative diventano il vero scoglio per i buoni propositi che le autorità si propongono di attuare. Un esempio estremamente vivido di questo meccanismo è fornito dal dibattito intorno alla Tassonomia europea, ovvero l’importante bussola che dovrà guidare gli investimenti cosiddetti “sostenibili” , funzionali alla transizione energetica.

La questione dirimente in seno a questa iniziativa - dilagando trasversalmente all’interno delle istituzioni europee - è stata proprio la decisione di inserire in questa “guida” il nucleare ed il gas naturale[1] (anche se con alcuni distinguo), consumando in maniera piuttosto acuta una rottura tutta interna, come è piuttosto chiaro dalla contrapposizione accorsa anche nella votazione della Commissione pochi giorni fa[2].

Di fronte ad una scelta così impopolare agli occhi di molti, diventa però necessario fornire ulteriori chiavi di lettura, non solo interne all’Unione - dove è molto chiara la situazione ed i principi che hanno condotto a questa scelta, spinta da alcuni Paesi fortemente legati alla produzione energetica attraverso queste fonti - ma soprattutto esterne, dove le vicissitudini internazionali stanno delineando un quadro piuttosto chiaro delle fragilità interne all’UE, con l’esempio del conflitto in Ucraina.

Se, infatti, già nell’ultimo periodo la riduzione delle forniture di gas da parte della Russia (-40%)[3] aveva causato un aumento generalizzato dei prezzi, la situazione ha portato ad una crescente preoccupazione per le conseguenze che un potenziale scontro potrebbe generare. Estremamente interessante in merito è stata anche l’analisi condotta dal Think tank Brugel, che, attraverso un’attenta analisi, ha sottolineato il potenziale impatto di uno stop totale del flusso di gas, le cui conseguenze sarebbero senza mezzi termini disastrose, soprattutto per le difficoltà a ricorrere a soluzioni alternative[4].

Dal delinearsi dei rapporti diplomatici sta emergendo un quadro piuttosto chiaro: da una parte ci sono infatti i Paesi dell’ex blocco sovietico - che di recente stanno trovando una nuova guida nella leadership energica della Gran Bretagna[5]- e gli stessi USA, impegnati nella programmazione in Senato della “madre di tutte e sanzioni[6], come è stata definita. Mentre dall’altra troviamo i Paesi europei come Germania, Francia ed Italia, che con quelle sanzioni ci dovrebbero faticosamente convivere, viste le strettissime relazioni economiche con i paesi da esse colpiti.

In questa frattura nella frattura, inesorabile è la questione energetica così necessaria per scongiurare un arresto nel percorso di ripresa europeo, con il rischio di vedere schizzare ulteriormente in alto l’inflazione (secondo le stime di JP Morgan potrebbe raggiungere il 7% in caso di invasione russa)[7].

Di fronte a questo scenario, molte perplessità vengono risolte ed i cambiamenti in corso sulla tassonomia europea assumono non solo una diversa prospettiva, ma una vera risposta sistemica ad una sfida troppo facilmente pavoneggiata, ma intrinsecamente difficile, quale la Transizione energetica.

Dati alla mano, infatti, circa il 24% del mix energetico europeo è composto da gas naturale[8], di cui quasi il 40% importato dalla Russia[9]. Questo mostra in maniera ancora più nitida la dipendenza energetica a questa risorsa, ancora più accennata se presi a campione alcuni Paesi in particolare, fra cui Italia e Germania - attore principale nella grande diaspora sulla costruzione del Nord Stream 2 - nonché la stessa Ungheria, che non a caso, non ha perso tempo negli scorsi giorni ad intensificare i rapporti con la Russia[10].

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Tiziano Sini

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