Taxi Teheran - Arte e Ribellione su Quattro Ruote

Il cinema Clandestino di Jafar Panahi contro la censura iraniana

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  Jacopo Cantoni
  22 ottobre 2024
  4 minuti, 11 secondi

Teheran, una città brulicante di vita, diventa lo sfondo di una straordinaria pellicola che mescola finzione e realtà, portando alla luce la cruda verità su un paese stretto nella morsa di leggi oppressive e censure implacabili. Jafar Panahi con Taxi Teheran sfida le restrizioni imposte dal suo Governo, trasformando un taxi decadente in un palcoscenico mobile su cui si dipana la storia della sua nazione.

Panahi, tassista per un giorno, cattura i volti e le voci di un'umanità variegata che sale e scende dalla sua vettura. Dai fautori della pena capitale che invocano giustizia estrema ai dissidenti che, come lui, lottano per la libertà, ogni passeggero rappresenta un frammento di quella complessa società iraniana che vive divisa tra tradizione e modernità, repressione e desiderio di cambiamento. Con una telecamera “nascosta” sul cruscotto, il regista iraniano riesce a creare un'opera profondamente intima e universale allo stesso tempo, dove ogni parola e ogni gesto racchiudono il peso delle difficoltà che milioni di persone affrontano ogni giorno.

Il primo episodio è paradossale così come le tante realtà che verranno presentate nel fluire della pellicola, la prima figura che sale sul taxi, infatti, è un uomo che sostiene la necessità di punire severamente i ladri (tramite impiccagione, episodio fil rouge di tutto il documentario), salvo poi rivelarsi egli stesso un borseggiatore. Questo paradosso rappresenta l’ipocrisia e la contraddizione di un sistema sociale dove la legge sembra esistere solo per soffocare il dissenso e mantenere intatta l’apparenza di ordine morale.

Nel suo viaggio tra le strade della capitale iraniana, Panahi incontra personaggi come un venditore di DVD illegali che riconosce il regista e ne approfitta per vantarsi del suo "lavoro culturale", mentre due anziane signore, intrise di superstizioni, si affrettano verso il fiume per rispettare un voto religioso. Ogni incontro sembra un piccolo tassello di un puzzle più grande, che rivela una società intrappolata tra repressione politica e credenze popolari. Eppure, nonostante la durezza di molti dialoghi, Taxi Teheran riesce a bilanciare sapientemente il dramma e l'umorismo, mostrando la resilienza del popolo iraniano anche nelle situazioni più surreali.

Protagonista femminile del film è la giovane nipote del regista, Hana, una ragazzina curiosa e vivace che sta girando un cortometraggio per un concorso scolastico. I dialoghi con lo zio rimangono le scene più significative del film, poiché evidenziano le assurde restrizioni imposte al cinema in Iran: ogni film, per essere distribuito, deve rispettare rigide regole che impediscono qualsiasi critica sociale o politica.

L’innocenza di Hana si scontra con la realtà dura e complessa del paese in cui vive, e la sua incapacità di girare un cortometraggio senza violare queste norme diventa una metafora dell'impossibilità di raccontare la verità in un regime repressivo.

È un chiaro riferimento al divieto imposto a Panahi nel 2010, quando gli fu proibito di girare film, scrivere sceneggiature o rilasciare interviste per venti anni. Ma il film in questione è la dimostrazione che la creatività non può essere soffocata: con astuzia, il regista aggira le limitazioni e crea un'opera che grida libertà, senza urlare apertamente contro il potere.

Il film si conclude con un affresco di speranza e malinconia. La figura dell’avvocatessa Nasrin Sotoudeh, impegnata nella difesa dei diritti umani, incarna la lotta incessante di chi, nonostante le minacce e le persecuzioni, continua a battersi per una società più giusta. Il taxi, da veicolo di trasporto, diventa metafora della vita stessa: un viaggio pieno di incognite, in cui ogni fermata può portare sorprese, paure, ma anche la possibilità di scoprire nuove verità.

Girato clandestinamente, Taxi Teheran ha conquistato l'Orso d'Oro al Festival di Berlino nel 2015, un riconoscimento che va oltre la sua qualità cinematografica, uscendo nell’agosto dello stesso anno nei nostri cinema.

Questo film non è solo una lettera d’amore al cinema, ma anche un atto di resistenza. Panahi ci ricorda che, nonostante le più severe restrizioni, l’arte può sempre trovare un modo per parlare al mondo.

La sua telecamera nascosta diventa una finestra attraverso la quale il mondo intero può osservare la vita in Iran, e riflettere sulla condizione umana sotto il giogo della censura.

Taxi Teheran non cerca di convincere lo spettatore di una verità assoluta. Al contrario, pone domande, invita alla riflessione e lascia che ogni spettatore tragga le proprie conclusioni. Ciò che emerge da questa straordinaria pellicola è il ritratto di un Paese complesso, fatto di contraddizioni e speranze, dove la voglia di libertà lotta costantemente contro i vincoli di un potere oppressivo. Con il suo taxi, Panahi ci invita a salire a bordo per un viaggio attraverso la realtà di un popolo che non ha mai smesso di sognare la libertà, anche quando tutto sembra volerla negare.

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L'Autore

Jacopo Cantoni

Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.

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