Tendenze contrapposte tra Italia e Francia nella riforma delle pensioni

Da un lato, gli italiani aspettano intrepidi la riforma “Quota 103” del governo Meloni, dall’altro, i francesi ritrovano lo spirito rivoluzionario per fermare la riforma di Macron. Quali conseguenze sui giovani?

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  Ilde Mattei
  27 febbraio 2023
  5 minuti, 28 secondi

I sistemi pensionistici sono un elemento complesso ma pressoché insignificante nelle vite dei giovani. Tuttavia, considerati i recenti sviluppi, è fondamentale che tali sistemi diventino una nuova priorità.

In questo articolo ci si propone di illustrare brevemente il sistema pensionistico italiano e di paragonarlo a quello francese in quanto, anche se stanno entrambi subendo importanti modifiche, la gestione economica diverge profondamente, la reazione pubblica è agli antipodi e i risultati per noi giovani non cambieranno molto.

Italia

Nonostante l'ottimo sistema utilizzato dall'Italia per il calcolo delle pensioni, basato sui contributi pensionistici, sia già stato introdotto 25 anni fa, l’effettiva messa in funzione dello stesso non è ancora completa in quanto il calcolo è ancora largamente basato sul sistema retributivo, ossia il calcolo basato sull’ultima retribuzione percepita. Di conseguenza, i vantaggi che il sistema contributivo ha portato sono parziali, per non dire marginali. Invece, l’accumulo di debito pubblico che si è originato dall'utilizzo del calcolo misto, sia contributivo che retributivo, è tutt’altro che irrisorio. A questa inefficienza nazionale, bisogna aggiungere i debiti sorti dai fattori strutturali che hanno colpito tutti i Paesi sviluppati: diminuzione delle nascite, aumento della speranza di vita ed il recente aumento dell’inflazione.

Dopo anni di tentativi, la situazione è stata affrontata dalla legge Fornero, che, prevedendo l’aumento dei requisiti contributivi e di età, avrebbe teoricamente portato ad una maggiore equità intergenerazionale e ad un modello pensionistico più sostenibile economicamente, ma che nella pratica non ha totalmente raggiunto i propri obiettivi, favorendo così l’impopolarità della riforma.

Per tale ragione, Salvini ha reso “Quota 100” uno dei suoi cavalli di battaglia, riuscendo a realizzarla durante il governo Conte I. A grandi linee, il sistema di “Quota” corrisponde a sommare l’età pensionabile e gli anni di contributi da versare (per “Quota 100” erano 62 anni di età e 38 anni di contributi). Benché questa riforma fosse altamente insostenibile, come segnalato ripetutamente dall’OCSE, dall’UE e dallo IOPS (International Organization of Pension Supervisors), gli elettori, che sono perlopiù prossimi alla pensione, hanno espresso il loro supporto al partito di Giorgia Meloni, cui uno degli obiettivi era di mantenere la continuità con “Quota 100”. Il governo Meloni, effettivamente, non è venuto meno alle sue promesse e alla fine del 2022 ha introdotto “Quota 102” e “Quota 103”, quest'ultima solo in via sperimentale per il 2023. La prima prevede 64 anni di età e un minimo 38 di contributi; la seconda, cosiddetta “pensione anticipata flessibile”, 62 anni di età e 41 di contributi. Ma queste piccole modifiche, imposte dalla grigia situazione economica italiana, non bastano a invertire la tendenza del sistema Salvini: infatti, tutti i sistemi “quota” hanno un livello di sostenibilità talmente basso che sia la nuova generazione di nuovi lavoratori che quelle future rischiano di non ricevere l’assegno previdenziale. Ciò è dovuto al fatto che attualmente le “quote” sono finanziate con uno tra i debiti pubblici più alti in Europa, rendendo la spesa pensionistica italiana la seconda più gravosa tra i Paesi OCSE.

Francia

Il sistema pensionistico francese è considerato sostenibile, ma i requisiti per andare in pensione sono praticamente uguali a quelli di “Quota 103”, ossia avere un minimo di 62 anni e 41,5 anni di contributi. Com’è possibile?

In Francia, il sistema pensionistico è totalmente contributivo ed è obbligatorio avere un fondo pensionistico privato complementare nella maggior parte dei casi. Negli ultimi anni, però, anche la situazione economica francese ha cominciato a vacillare, con una spesa pensionistica e un rapporto del debito pubblico sul PIL elevati, anche se costantemente minori di quelli italiani.

Allo scopo di rinforzare questo equilibrio, fin dal suo primo mandato come Presidente della Repubblica, Macron ha fatto pressione per riformare il sistema pensionistico, scegliendo di innalzare l’età pensionabile di 3 anni, piuttosto che aumentare le tasse, il deficit o abbassare gli assegni pensionistici. E’ però doveroso sottolineare che altre alternative, come l'aumento della tassazione sulle pensioni più alte, non sono state prese in considerazione. Queste dinamiche hanno fatto sì che da gennaio 2023 in Francia ci siano scioperi e proteste a cadenza quasi settimanale.

Quali sono le conseguenze su noi giovani?

Lo snodo più interessante di queste riforme è l'insieme delle conseguenze che si ripercuotono su noi giovani, prossimi o appena entrati nel mondo del lavoro. Come è facile immaginare, le prospettive sono tutt’altro che rosee: per i ventenni di oggi, si stima che l’età pensionabile sarà intorno ai 66 anni in Francia e ai 71 in Italia; A ciò si aggiunge la previsione di un’aliquota contributiva sempre più alta, quindi un minore stipendio.

Vista la disarmante situazione, fin dall’inizio della propria carriera si possono intraprendere delle misure volte ad affrontare meglio il problema. La misura principale è avviare un fondo pensionistico privato così da assicurarsi una pensione adeguata e, se possibile, anche ridurre gli anni lavorativi. La cosa più importante è iniziare ad investire in questi fondi il prima possibile, infatti, anche solo una differenza di 2 anni può comportare una riduzione del 10% sui guadagni dei propri risparmi. Inoltre, in Italia, l’INPS permette di riscattare gli anni di laurea o di titoli equiparati, ovvero, attraverso il versamento all'INPS di una somma pari al 33% di quanto guadagnato nell'ultimo anno moltiplicato per gli anni di laurea, permette al contribuente di poter andare in pensione come se avesse iniziato a lavorare dal primo anno di università. Senza queste e altre misure di attutimento, l’aspettativa della pensione della nostra generazione è una somma che, in molti casi, sfiorerà a malapena il 50% dell’ultima retribuzione.

Come gli ultimi anni ci hanno mostrato, non possiamo fidarci del buon senso delle politiche attuali. A meno che non vogliamo che come unica possibilità ci rimanga il lamentarci e disperare, dobbiamo essere più consapevoli e più attori del nostro futuro agendo ora.

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Fonti usate per il presente articolo:

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L'Autore

Ilde Mattei

Laureata in Philosophy, International and Economic Studies all’Università Ca’Foscari di Venezia, sta collaborando con un’organizzazione no-profit francese a Strasburgo per creare ed implementare progetti volti alla sensibilizzazione dei giovani sull’importanza di essere cittadini europei.

Si interessa principalmente di migrazione e all’ambiente con l’intento di rendere accessibili a tutt* queste tematiche.

All’interno di Mondo Internazionale è autore per l’area tematica di Organizzazioni Internazionali.

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