Il nuovo isolazionismo di Trump colpisce gli aiuti internazionali

La lotta tra l'amministrazione americana e lo USAID

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  Lorenzo Graziani
  11 febbraio 2025
  4 minuti, 41 secondi

Tra la pila di ordini esecutivi che con gran teatralità sono stati firmati da Trump il 20 gennaio 2025, il primo giorno del suo secondo mandato, ce n’era uno intitolato “Reevaluating and Realigning United States Foreign Aid”. A qualche settimana da quella firma, ora il mandato sugli aiuti internazionali si è ritrovato al centro dell’opinione pubblica americana. E non solo.

Il suo testo dichiara che il settore degli aiuti internazionali americani non è in linea con gli interessi della nazione, in molti casi addirittura antitetico. Questo perché servirebbero in realtà a “destabilizzare la pace mondiale”, promovendo idee contrarie alle relazioni armoniose e stabili tra Paesi. Per questo motivo, l’ordine esecutivo pone l’obiettivo di bloccare tutti quegli aiuti internazionali che in qualche modo possano essere disallineati con la politica estera del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Nel concreto, l’ordine ha fin da subito posto un momentaneo congelamento di tutti gli aiuti internazionali per 90 giorni, in attesa di un’attenta revisione dei programmi principali, dando al Segretario di Stato la facoltà di scongelare quelli che ritiene essenziali.

Nei giorni seguenti, quindi, sono stati chiusi migliaia di programmi di aiuti americani in tutto il mondo, mentre il nuovo Segretario di Stato Marco Rubio ha preso il comando di alcuni dei più importanti, come da ordine esecutivo. Tuttavia, la vicenda che ha destato più scalpore, non solo nell’opinione pubblica americana ma anche a livello internazionale, è stata la politica rivolta allo “US Agency for International Development”, anche conosciuto come USAID.

Lo USAID è un’agenzia creata dal Presidente Kennedy durante la guerra fredda con lo scopo di contrastare l’influenza sovietica nel mondo attraverso un’assistenza internazionale che potesse risultare più snella rispetto a quella lenta e appesantita dalla burocrazia del Dipartimento di Stato. Così, nel 1961 il Congresso passa il Foreign Assistance Act e crea l’agenzia indipendente dello USAID, che oggigiorno mantiene il suo ruolo di contrasto al soft power russo e soprattutto a quello cinese. Nonostante tutto, però, nel corso degli anni si sono accese sempre più critiche attorno all'operato dell'agenzia e sui programmi che organizza, in un costante scontro tra i repubblicani che ne additano gli sprechi e l'inutilità e i democratici che ne difendono l’autonomia dal Dipartimento di Stato.

Capostipite del movimento repubblicano ostile allo USAID è il multimiliardario Elon Musk, che a capo del suo DOGE, il “Department of Government Efficiency”, ha ricevuto da Trump il ruolo di licenziare dipendenti pubblici e di tagliare miliardi in spese governative. Il suo target principale è presto diventato proprio lo USAID, da lui definita un'“organizzazione criminale”. Anche Trump l'ha attaccata pesantemente, dichiarando che è guidata da “radicali lunatici” e pubblicando sul sito della Casa Bianca la lista di “sprechi e abusi” che per decadi sono stati perpetrati dallo USAID. Il nuovo Presidente ha però tranquillizzato i suoi sostenitori: “sotto il Presidente Trump, sprechi, frodi e abusi FINIRANNO SUBITO” recita il documento in chiusura.

Per rispettare la sua promessa, l’idea dell’amministrazione Trump era inizialmente quella di accogliere sotto l’ala del Dipartimento di Stato la gestione dell’agenzia. Tuttavia, le cose sembrano essere andate diversamente, perché agli inizi di febbraio Musk ha annunciato l’imminente chiusura dello USAID. Questi sviluppi sembrano essere sorti da uno scontro tra il DOGE e l'agenzia stessa: il direttore dello USAID è stato infatti allontanato dopo aver negato al dipartimento di Musk l'accesso al sistema di sicurezza dove sono custoditi i dati personali dei lavoratori.

Così, già da lunedì 3 febbraio gli uffici di Washington dello USAID sono stati chiusi. Sul sito ufficiale giganteggia un messaggio destinato ai più di 10mila lavoratori, due terzi dei quali stanziati all’estero, dove si dice che il personale sarà messo in congedo amministrativo, con l’eccezione dei responsabili dei progetti più importanti, e che tutti i contratti considerati non essenziali verranno terminati. Il messaggio di addio dello USAID si conclude con un ringraziamento per i più di 60 anni di lavoro e aiuti rivolti alle popolazioni più in difficoltà: “grazie per il vostro servizio”.

L'agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, infatti, ha sempre aiutato i Paesi più bisognosi, dove la popolazione rischia adesso di ricadere vittima di una spirale di malattie e malnutrizione che ne metterebbe a serio rischio la sopravvivenza: si parla principalmente degli stati dell’Africa Sub-Sahariana, dove solo l’anno scorso gli Stati Uniti hanno stanziato più di 6.5 miliardi di dollari in aiuti umanitari.

Ma in definitiva quanto spendono i cittadini americani per sostenere questi programmi di aiuti internazionali? La sospensione dello USAID sarà veramente così impattante ai fini dei tagli netti che Trump ha promesso durante la campagna elettorale del 2024? Nell’anno fiscale 2023 gli Stati Uniti hanno speso in totale circa 40miliardi di dollari in aiuti internazionali, ma pur rappresentando il più grande contribuente mondiale in tal senso, sul budget federale la quota non raggiunge nemmeno l’1%.

Nonostante tutto, però, la politica di Trump e dei suoi più fedeli collaboratori sembra quanto mai chiara: smantellare definitivamente lo USAID. Eppure, diversi giuristi statunitensi hanno fatto notare che il Presidente non avrebbe l’autorità costituzionale per abolire unilateralmente un’agenzia come lo USAID e che per farlo necessiterebbe dell’autorizzazione del Congresso. Bisogna però ricordare che già ai tempi del suo primo mandato, quando il Congresso si era rifiutato di approvare il taglio di un terzo del budget per gli aiuti internazionali che aveva proposto, l’amministrazione Trump aveva trovato il modo per aggirare il blocco, principalmente imponendo congelamenti mirati.

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Lorenzo Graziani

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America del Nord

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