Un mese dall’annessione della West Bank da parte di Israele: a che punto non siamo?

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  Redazione
  11 agosto 2020
  7 minuti, 40 secondi

A cura di Giulia Geneletti

Il piano per l’annessione della Cisgiordania da parte di Israele è stato un punto programmatico fondamentale nelle campagne elettorali che hanno accompagnato Benjamin Netanyahu alle urne ben tre volte lo scorso anno.
Il piano di annessione programmato per il 1° Luglio 2020 ha scatenato moltissime controversie e divisioni all’interno dei territori palestinesi, di Israele e della comunità internazionale... Ma cosa è effettivamente successo?

Disclaimer iniziale: riassumere la complessità ed ambiguità del conflitto israelo-palestinese in poche righe rappresenta sicuramente un lavoro lacunoso ed incompiuto, ma allo stesso tempo necessario per il tipo di analisi qui svolta.

Un minimo di contestualizzazione: i territori contesi e l’evoluzione dei confini tra Risoluzioni Onu e piú di 70 anni di conflitto

I confini di Israele e dei territori palestinesi sono stati oggetto di conflitto e trattative sin dalla dichiarazione di indipendenza di Israele del 1948. I principali avvenimenti che hanno portato la “Terra Santa” alla divisione che oggi conosciamo furono quelli sanciti dalla Guerra arabo-israeliana del 1948, la Guerra dei Sei giorni del 1967 e gli Accordi di Oslo del 1993. Proprio questi ultimi stabilirono la divisione della Cisgiordania, la cosiddetta West Bank, in tre aree: la A sotto controllo dell’Autorità Palestinese (18% della WB), la B sotto controllo concorrente (21% della WB) e la C sotto controllo israeliano (61% della WB). Concernente il piano di annessione così come sostenuto dall’amministrazione israeliana è il 50% dell’Area C, la quale ospita oltre 650 mila insediamenti israeliani e una percentuale molto ridotta di palestinesi.

Chi sono i cosiddetti “coloni” o settlers? Essi sono cittadini israeliani che dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 hanno deciso di trasferirsi nei territori palestinesi contesi sotto la spinta di una convizione politica, ideologica, storica e/o religiosa di appartenenza a quella terra. Spesso un’altra piú “banale” motivazione per la scelta dei settlers è il basso costo della terra, degli immobili e della vita.

Il diritto alla terra e la legittimità di un senso di appartenza storico-religioso rappresentano punti focali del conflitto israelo-palestinese, le cui implicazioni di diritto internazionale e di amministrazione civile cercheremo di analizzare nei prossimi punti.

L’annessione dell’Area C: quali cambiamenti prevede l’”annexion plan” della Cisgiordania?

Il tanto discusso piano di annessione della Cisgiordania, o meglio del 30% di essa, è stato definito da molti come un passaggio formale e simbolico.

A partire dagli anni ’90 nell’area C della West Bank vengono applicati la legge e il diritto israeliano, e il territorio si trova sotto un controllo militare con collegamento diretto con Israele. L’annessione di parte dell’Area C, per la quale manca ancora un piano completo e specifico di azione, comporterebbe un’estensione dei confini ufficiali di Israele ed una piena applicazione della sovranità di quel Paese sui territori.

Il dubbio nel capire esattamente quali cambiamenti comporterebbe l’annessione nel breve e lungo periodo rimane, nella consapevolezza che il sistema democratico su cui Israele si basa necessiterebbe per decisioni legali e politiche di un certo rilievo del consenso della Knesset (il parlamento). Quello che ad oggi sappiamo è che l’annessione programmata per il 1° Luglio non è avvenuta... Scopriamo quali potrebbero esserne i motivi.

Lo stallo dell’annessione: cosa è “andato storto”

Il 2020 è stato indubbiamente un anno pieno di imprevisti e colpi di scena.
Israele sta vivendo uno dei momenti piú politicamente ed economicamente instabili degli ultimi anni.
Dall’impasse elettorale e da sempre piú nette divisioni interne, allo scoppio della pandemia e alla gestione dell’imminente recessione economica, oggi Israele presenta uno dei tassi di diffusione del Covid19 piú alto al mondo.

La storica firma politica del longevo Primo Ministro Netanyahu, incentrata su un forte spirito sovranista e conservatore, ha dovuto affrontare non solo le instabilità interne al paese, ma anche quelle del proprio alleato storico. Gli Stati Uniti di Trump hanno sostenuto politiche a favore di Israele come nessun’altra amministrazione statunitense aveva fatto prima. Il piano di annessione della Cisgiordania è infatti punto programmatico dell’altrettanto dibatittuto “Trump Peace Plan”, ovvero l’ultima proposta di risoluzione al conflitto israelo-palestinese avanzata nel Gennaio 2020.
Tuttavia, l’amministrazione Trump, nell’affrontare altrettanti disagi interni provocati dalla pandemia, ha dimostrato esitazione nel sostenere l’ultimazione del piano di annessione.
A distanza di pochi mesi dalle elezioni presidenziali, il contesto internazionale dimostra come questo stallo stia in realtà smascherando una strategia politica che poco concerne con il vero piano di annessione, ma piuttosto si presta a diversi interessi economico-politici di entrambe le parti.
Anche Anshel Pfeffer, giornalista e autore della biografia di Mr Netanyahu, ha sostenuto come il progetto di inglobamento in realtà non rappresentasse altro che una strategia politica per focalizzare l’attenzione della pubblica opinione israeliana lontana dalla crisi, dall’impellente recessione economica e dai processi per abuso di ufficio, corruzione e frode a carico di “King Bibi”.

I tumulti politici interni, le rivolte nei territori palestinesi, le critiche e condanne della comunità internazionale e di altri alleati strategici sono sicuramente altri fattori che possono aver indotto Israele a fare un passo indietro. Tali considerazioni ci riportano al fulcro insito del dibattito: la legittimità degli insediamenti in Cisgiordania.

Le controversie di diritto internazionale: le posizioni della Comunità Internazionale, dell’Autorità Palestinese e di Israele

Nel marzo 1979 il Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 446 definì la creazione di insediamenti israeliani nei territori arabi occupati dal 1967 come illegale e come un ostacolo al raggiungimento di una pace stabile, giusta e completa. Il riferimento legale è quello della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949, in particolare l’articolo 49 in cui si proibisce il trasferimento della popolazione su un territorio occupato risultato di un conflitto armato. Secondo tale Convenzione solo operazioni militari considerate necessarie legittimano la distruzione della proprietà privata dei residenti.

La risoluzione 2334 del 2016 ha ribadito tale concetto esprimendo preoccupazione per le conseguenze che le attività di insediamento israeliano possano avere nella fattibilità della cosiddetta “Two-State Solution”.

Le Nazioni Unite hanno così sempre criticato l’annessione in quanto contraria al diritto internazionale. Le condanne sono state recentemente ribadite anche da Giordania, Egitto, Cina, Russia e dall’Unione Europea (tramite l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell). L’Autorità Palestinese ha reagito al programmato piano di annessione minacciando di porre fine a tutti gli accordi in vigore con Israele e Stati Uniti.

I ricorsi delle Nazioni Unite sono sempre stati visti negativamente da Israele, il quale ne ha spesso dichiarato l’illegittimità. Secondo lo Stato Ebraico gli insediamenti non violerebbero la Convenzione di Ginevra in quanto i cittadini israeliani, sotto precise regolamentazioni, si trasferirebbero nella West Bank per propria libera volontà, su territori che precedentemente al 1967 non erano mai stati riconosciuti internazionalmente come legalmente sovrani (non è mai esistito un vero e proprio Stato della Palestina). Anche gli Stati Uniti nel 2019 affermarono come gli insediamenti israeliani non risultino in contrasto con il diritto internazionale. Inoltre, dopo gli Accordi di Oslo, nell’Accordo ad Interim del 1995 le parti ribadirono la competenza giuridica e amministrativa israeliana sugli insediamenti.

Le opinioni della dottrina sulla materia si dividono.

La controversia legale riguarda anche l'applicabilità di queste disposizioni di diritto internazionale su un Piano di Annessione che concerne un'area che è già sostanzialmente sotto completo controllo israeliano.

Non si deve dimenticare inoltre le numerose dichiarazioni di associazioni umanitarie per i diritti umani (tra le prime Amnesty International) che accusano le violenze nei territori contesi e le povere condizioni socio-economiche dei residenti palestinesi.

Il futuro dell’annessione e la soluzione dei due Stati: quali prospettive

L’annessione avverà veramente? Difficile a dirsi, è molto probabile che Israele alle prese con il Coronavirus continuerà a rifarsi all’annessione come un mero escamotage politico per distogliere l'attenzione dell’opinione pubblica da una crisi economica che, al contrario di come era successo con quella del 2008, non risparmierà lo Stato ebraico. Israele potrebbe procedere con l’annessione anche senza il formale assenso degli Stati Uniti, il quale sarebbe espresso anche da una semplice non-opposizione. Un consenso tacito rappresenterebbe con ogni probabilità anche la strategia pragmatica di Biden, che in caso di vittoria non potrebbe incrinare drasticamente i rapporti con l’alleato storico Israele, a maggior ragione in un contesto geopolitico così inasprito come quello che gli Stati Uniti di Trump hanno incentivato fino ad oggi.

Da rilevare è anche l’attuale debolezza della causa palestinese, causata da divisioni interne, carenza di leadership e lacunosa di un forte supporto internazionale. Le numerose condanne e critiche al piano di annessione non solo presagiscono una possibile escalation del conflitto ma anche una definitiva riconsiderazione della fattibilità della tanto dibattituta soluzione dei due Stati.

Un’annessione unilaterale potrebbe inoltre inasprire le relazione internazionali di Israele con Paesi come la Giordania, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. Nonostante le critiche mosse dai Paesi dell’Unione Europea, questi difficilmente arriverebbero a imporre sanzioni che comprometterebbero in gran modo gli interessi economici di entrambe le parti.

Ci troviamo di fronte ad un quadro geopolitico che ogni giorno accresce di complessità e conflitti di interessi. Mantenere una visione neutra e imparziale sul conflitto israelo-palestinese è tanto difficile quanto necessario per comprenderne gli avvenimenti e le possibilità di risoluzione.

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