Una crisi tutta europea, fra egoismi nazionali e debolezze istituzionali

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  Tiziano Sini
  08 ottobre 2022
  3 minuti, 35 secondi

La crisi energetica e le implicazioni che sta generando nel sistema economico risultano ormai temi centrali nelle agende politiche dei leader nazionali ed europei. Le vicissitudini delle ultime settimane hanno impresso, però, crescenti preoccupazioni, oltre che la stringente necessità di adottare risposte urgenti.

La controffensiva Ucraina sta cambiando l’inerzia della guerra, aprendo anche a scenari totalmente inediti, oltre che potenzialmente catastrofici, con particolare riferimento alle possibili risposte da parte della Russia. Analogamente - all’interno della contrapposizione economica ed energetica, parallela a quella militare - si innesta il caso del sabotaggio dei condotti Nord Stream 1 (ormai chiuso, dopo la riduzione dei flussi degli ultimi mesi), e Nord Stream 2 (mai entrato in funzione, ma comunque colmo di gas, anche se non pompato)[1].

Evitando di soffermarsi sulla ricostruzione degli accadimenti, su cui non è ancora stata fatta luce; risulta rilevante esaminare, però, le implicazioni di tale gesto. Il sabotaggio, in particolare del Nord Stream 2, assume una connotazione politica e simbolica estremamente profonda, che supera anche la mera dimensione economica (l’infrastruttura è costata 12 miliardi). Un’azione di tale portata ha costituito, infatti, un vero e proprio troncamento dei rapporti fra Germania e la stessa Russa.

Quel gasdotto, oltre ad essere un asset strategico, assurgeva simbolicamente a vero e proprio “ponte diplomatico” fra le due potenze. Portato avanti alacremente, infatti, contro l’opposizione dei partner - americani su tutti - esprimeva la volontà tedesca di mantenere una porta aperta alla Russia, nel continente Europeo; in perfetta continuità con la visione bismarkiana della Russia[2].

Forse - anche se resta estremamente complesso giustificare i comportamenti e le politiche nazionali - tali dinamiche possono fornire una chiave di lettura sul comportamento della Germania nelle ultime settimane. Scelte strategiche intraprese in totale autonomia ed in contrasto con le dinamiche europee potrebbero essere frutto di una “sconfitta” patita nelle ultime settimane e mesi, sia dal punto di vista economico ed energetico, sia, soprattutto, da quello strettamente politico. Strategie che, come detto, rischiano seriamente di far sprofondare l’intera Unione Europea in un crisi ancora più profonda.

Gli accadimenti, invero, hanno spinto la Germania a varare un piano emergenziale colossale, da circa 200 miliardi di euro (analogo quasi alla quota del PNRR italiano), garantito anche dalle maggiore capacità fiscali del Paese. L’obiettivo è di riuscire ad evitare una contrazione dell’economia, a causa del costo dell’energia ed il conseguente aumento delle bollette per famiglie e aziende. Un iniziativa che prevede anche l’introduzione di un price cap nazionale[3].

Contestualmente, nel versante europeo, però, le politiche messe in atto stanno creando non pochi malumori fra i partner, delusi dal cambio di paradigma e dalla totale discrezionalità con cui le autorità tedesche hanno deciso di muoversi, in quello che sembrerebbe un ultimo moribondo afflato di un'Unione Europea fragile ed incapace di attuare misure coordinate e forti in uno dei momenti più difficili della sua storia.

Di fronte a tali vicissitudini, lo scorso 30 novembre, durante il Consiglio europeo straordinario tra i Ministri dell’Energia dell’Unione, è stata trovata finalmente un’intesa più robusta per contrastare la crisi. Una strategia che verte principalmente in tre misure: una riduzione obbligatoria del 5% della domanda elettrica, da attuare nelle ore di punta in tutti gli Stati membri; un tetto di 180 euro per MWh ai ricavi per le aziende infra marginali, che forniscono energia da fonti rinnovabili e nucleare sul mercato elettrico. Ed infine, un prelievo aggiuntivo del 33% sugli extra-profitti delle aziende che forniscono elettricità da fonti fossili, denominato “contributo di solidarietà”[4].

Del resto, per il momento, la misura più discussa, il famigerato “price cap”, continua a non essere preso in considerazione e, anche a causa di una forte reticenza da alcuni paesi, la sua introduzione, sembra stia tramontando. Una parabola discendente quella del “price cap”, che bene si sovrappone allo stato di salute dell’Unione Europea, dove, guerra, crisi economica e crisi politica interna rischiano seriamente di minare alla radice il sogno europeo.

[1] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/nord-stream-ipotesi-sabotaggio-36286

[2] https://www.nord-stream.com/the-project/history/

[3] https://www.dw.com/en/germany-presents-new-200-billion-relief-plan-in-response-to-soaring-energy-prices/a-63279609

[4] https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2022/09/30/council-agrees-on-emergency-measures-to-reduce-energy-prices/

Immagine: https://unsplash.com/photos/3o...

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