Xi Jinping: la vision del leader cinese per una Cina globale

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  Redazione
  26 settembre 2023
  9 minuti, 17 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Oggi, le ambientazioni e i protagonisti da un lato sono cambiati, ma le problematiche e conflitti a carattere geopolitico, anche globale, continuano con intensità. In genere si tratta di varianti relative al realismo politico e liberalismo economico che talvolta confliggono ma più spesso competono tra loro per analizzare e poter prevedere con buona approssimazione il processo decisionale e pertanto il comportamento finale di uno stato.

A volte, gli analisti discutono a lungo, per sapere se il mondo stia assistendo alla fine della sua storia, oppure a uno scontro di alleanze o civiltà e , in mancanza d’altro, persino a qualcosa, qualificato dubbiosamente sempre come indefinito. Pertanto, non sorprende che una delle questioni che ora attirano maggiore attenzione degli analisti sia l'ascesa della Cina Popolare sotto il suo attuale presidente, Xi Jinping, e la sfida economica e strategica che presenta al potere mondiale degli Stati Uniti.

Al termine del XX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC), con una modifica del dettato costituzionale, Xi ha consolidato il suo potere assicurandosi la terza conferma all’apice delle istituzioni statali. Pur nella storica complessità e spesso indecifrabilità della politica internazionale cinese, gli analisti occidentali hanno cercato di decodificare la visione del mondo dove Xi sta al comando e le ambizioni finali per la sua Cina.

Il marxismo-leninismo

Un’importante componente di pensiero è stata la grande assente da questa tipologia di analisi e di comprensione: il marxismo-leninismo. Questo fatto è abbastanza insolito perché il marxismo-leninismo è l'ideologia ufficiale della Cina dal 1949.

Ma l'omissione è anche comprensibile, dal momento che la maggior parte degli analisti occidentali molto tempo fa è arrivata a considerare – peccando di non poca superficialità - l'ideologia comunista come effettivamente morta anche in Cina, tenendo conto e memoria che alla fine del 1970, il leader del PCC, Deng Xiaoping, ha messo da parte l'ortodossia marxista-leninista tanto propagandata dal suo predecessore, Mao Tze Tung, a favore di qualcosa di molto più simile ad un accentuato e vigoroso capitalismo di stato.

Deng Xiaoping riassunse i suoi pensieri sulla questione ideologica di base con la consueta quanto caratteristica schiettezza, riassunta efficacemente con una frase passata alla storia, fra le tante che hanno caratterizzato il suo mandato presidenziale: “Bu zhenglun”, ovvero "Facciamo a meno della teoria", come egli la pronunciò di fronte ai partecipanti del congresso nazionale del PCC, nel 1981. Anche i suoi successori, Jiang Zemin e Hu Jintao, seguirono il suo esempio, espandendo rapidamente il ruolo del mercato libero nell'economia interna cinese e abbracciando una politica estera che massimizzava la partecipazione della Cina nella sfida all’ordine economico, stavolta globale, guidato dagli Stati Uniti.

La nuova linea politica

Il nuovo ed attuale leader, Xi Jinping, ha portato con sé quell'era di governo concreto e razionale nel pensiero, pragmatico nella prassi e in alcun modo ideologico ad una brusca battuta d'arresto. Al suo posto, ha sviluppato una nuova forma di nazionalismo ad impronta marxista, la stessa che attualmente ispira e modella la sostanza della politica interna e internazionale, dell'economia e della geopolitica cinese. Xi ha riaffermato l'influenza e il controllo che il PCC esercita su tutti i settori della politica pubblica e della vita privata, ha rinvigorito le imprese statali e ha posto nuove restrizioni al settore privato.

Nel frattempo, ha alimentato il nazionalismo perseguendo una politica estera sempre più assertiva, alimentata da una convinzione - meglio dire presunzione - di natura e derivazione ideologica, di chiara ispirazione marxista, che propaganda come la storia sia irreversibilmente e stabilmente posta dalla parte della Cina Popolare. A questo slogan la sua propaganda aggiunge l’ostentata sicumera di un mondo ancorato saldamente al potere cinese e capace di produrre un ordine internazionale più prospero e giusto. In breve, l'ascesa di Xi ha significato niente di meno che la riedizione di una sorta di leadership su base ideologica con l’esordio del culto della propria personalità.

Il confronto con Mao Tse Tung

Sarebbe un errore ritenere che le tendenze ideologiche di Xi non sono semplicemente un ritorno all'era dell’antico leader Mao. Infatti, la visione del mondo di Xi appare decisamente più articolata e complessa di quella di Mao Tse Tung: egli mescola la purezza ideologica – affermandola con forza anche nell’ultimo congresso generale del PCC - con il pragmatismo tecnocratico, come può accadere in uno stato totalitario fortemente burocratizzato come quello comunista storico.

La prassi governativa è costantemente dominata da una certa severità politica all’insegna della famosa frase maoista “La rivoluzione non è un pranzo di gala”.

Le dichiarazioni di Xi sulla storia cinese così come sul sistema di potere e la gestione governativa della giustizia potrebbero destare l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale, apparendo come misteriosi e impenetrabili

Tuttavia, l’Occidente sbaglia ad ignorare il messaggio ideologico del leader cinese trascurando il rischio politico e per certi versi il pericolo insito in esso. Non importa quanto astratte e sconosciute possano essere le idee di Xi. Il fatto è, però, che esse stanno avendo profondi effetti positivi e concreti sul piano dei contenuti nel mondo reale sia della politica cinese che della sua azione in ambito internazionale.

E’ un uomo di partito

Come tutti i marxisti-leninisti, Xi Jinping basa fondamentalmente il suo pensiero sull’ideologia del materialismo storico (un approccio alla storia incentrato sull'inevitabilità del progresso attraverso la lotta di classe in corso) e sul materialismo dialettico (un approccio alla politica che si concentra su come il cambiamento avviene quando forze contraddittorie e contrapposte si scontrano e vengono risolte).

Nei suoi scritti pubblicati, Xi utilizza il materialismo storico per posizionare la rivoluzione cinese nella storia del mondo in un contesto in cui il passaggio della Cina a uno stadio più avanzato del socialismo accompagna necessariamente il declino dei sistemi capitalisti.

Attraverso questa presuntuosa lente del materialismo dialettico, ritrae la sua agenda come un passo avanti nella competizione sempre più accesa tra il PCC e le forze “reazionarie” in patria (un settore privato arrogante, organizzazioni non governative ovviamente “influenzate” dall'Occidente, movimenti religiosi) e all'estero (gli Stati Uniti e i loro alleati).

Questi concetti possono sembrare astrusi e arcani a chi si trova al di fuori della Cina. Ma sono presi molto sul serio dalle élite del PCC, dagli alti funzionari cinesi e da molti degli studiosi di relazioni internazionali che consigliano il governo.

E gli scritti pubblicati da Xi sulla teoria politica sono molto più estesi di quelli di qualsiasi altro leader cinese dopo Mao.

Il PCC attinge anche alle tipologie più virtuose di consulenza economica e strategica che tipicamente hanno ispirato e guidano tuttora il liberalismo dei sistemi politici occidentali.

All'interno del sistema cinese, il marxismo-leninismo funge ancora da sorgente ideologica di una visione del mondo che pone la Cina dalla parte giusta della storia e ritrae gli Stati Uniti come alle prese con l'inevitabile declino capitalista, dunque consumati dalle proprie contraddizioni politiche interne e destinati a cadere inesorabilmente nel dimenticatoio. Questa, secondo la “vision” di Xi, sarà la vera e irreversibile fine della storia americana e globale.

Sotto Xi, l'ideologia guida la politica più spesso che il contrario.

Nel 2013, appena cinque mesi dopo la sua nomina a segretario generale del partito, Xi ha tenuto un discorso alla Conferenza centrale sull'ideologia e la propaganda, un incontro dei principali leader del partito a Pechino.

I contenuti del discorso non sono stati riportati all'epoca, ma sono trapelati tre mesi dopo e pubblicati da China Digital Times. Il discorso offre un ritratto senza filtri delle convinzioni politiche più profonde di Xi. In esso, si sofferma sui rischi del decadimento ideologico che ha portato al crollo del comunismo sovietico, sul ruolo dell'Occidente nel fomentare la divisione ideologica all'interno della Cina e sulla necessità di reprimere ogni forma di dissenso.

"La disintegrazione di un regime spesso parte dall'area ideologica", ha detto Xi. "I disordini politici e il cambio di regime possono verificarsi da un giorno all'altro, ma l'evoluzione ideologica è un processo a lungo termine", ha continuato, avvertendo che una volta che "le difese ideologiche sono violate, altre difese diventano molto difficili da mantenere".

Ma il PCC "ha la giustizia dalla nostra parte", ha assicurato i rappresentanti al suo ultimo congresso nazionale, incoraggiandoli a non essere "evasivi, timidi o usare mezzi termini" nel trattare con i paesi occidentali, il cui obiettivo è quello di "competere con noi per i campi di battaglia dei cuori della gente e per le masse, e alla fine rovesciare la leadership del PCC e tutto il sistema socialista cinese".

Ciò ha significato la repressione spietata di tutto il dissenso interno e la richiesta che i membri del PCC dimostrassero incondizionata lealtà non solo al partito, ma anche alla persona stessa di Xi.

Xi ha poi riaffermato il controllo del partito sull'Esercito popolare di liberazione e sulla polizia armata popolare e ha centralizzato i sistemi di sicurezza informatica e sorveglianza dell’intera Cina. Infine, nel 2019, Xi ha introdotto una campagna educativa a livello di partito intitolata "Non dimenticare lo scopo originale del partito, tieni a mente la missione". In definitiva, Xi non cercava altro che trasformare il PCC nella chiesa suprema della fede comunista rivitalizzata e ancora più laica.

Più Marx

Il passaggio all'ortodossia marxista nella politica economica sotto Xi è stato più graduale.

Xi ha anche progressivamente perso fiducia nell'economia di mercato in seguito alla crisi finanziaria globale del 2008 e alla crisi finanziaria interna della Cina del 2015, che è stata scatenata dallo scoppio di una bolla storica del mercato azionario e ha portato a un tragico crollo di quasi il 50% del valore delle azioni cinesi prima che i mercati si stabilizzassero definitivamente nel 2016.

Da questo momento di passaggio da un consenso a sostegno delle riforme di mercato all'abbraccio di un maggiore intervento del partito e dello stato, la politica governativa è stata disomogenea, contestata e talvolta contraddittoria.

Al congresso del PCC del 2021, Xi ha salutato una transizione più rapida verso una fase superiore del socialismo respingendo il gradualismo di Deng e l'idea che la Cina fosse condannata a un futuro indefinito di imperfezione dello sviluppo e disuguaglianza di classe.

Nel frattempo, i pianificatori economici del PCC avrebbero avuto il compito di progettare e attivare un'economia “a doppia circolazione", ovvero nella quale la Cina sarebbe diventata sempre più autosufficiente in tutti i settori dell'economia mentre le restanti economie mondiali sarebbero state sempre più dipendenti dalla Cina stessa.

Alla fine del 2020, Xi ha delineato un approccio alla redistribuzione del reddito noto ufficialmente come "agenda di prosperità comune", attraverso il quale ci si doveva aspettare che i ricchi distribuissero "volontariamente" i fondi a programmi favoriti dallo stato per ridurre la disuguaglianza di reddito.

Alla fine del 2021, era chiaro che l'era di "riforma e apertura" di Deng stava volgendo al termine. Al suo posto c'era la tanto agognata e nuova ortodossia economica statalista.

Ovvero la sua.

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Asia Orientale

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