Può James Cameron conquistarci con ogni suo film?

Avatar: The Way of Water

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  Jacopo Cantoni
  16 December 2022
  4 minutes, 39 seconds

Dopo 13 anni è finalmente arrivato il momento di parlare del secondo capitolo di una delle colonne portanti della storia del cinema:
Avatar - The Way of Water.

Uscito nelle sale italiane il 14 dicembre con prima nazionale tenutasi al cinema Arcadia di Melzo, è, per come la penso io, “un esteticamente straordinario susseguirsi di cliché narrativi”.

Parto dai difetti, Avatar: The Way of Water è un film la cui storia non ci stupisce mai. Ogni cosa che succede è prevedibile. Durante tutta la sua durata non sono rimasto colpito da nessuna scelta compiuta dai protagonisti né da accadimenti accidentali o decisioni del nemico. Tutto è molto pronosticabile.

Il secondogenito, Lo’ak, per molte volte compie la stessa identica presa di posizione, il padre gli ordina di rimanere in disparte e lui disobbedisce, dopo tre ore di film diventa davvero ridondante e quasi noioso, come detto prima troppo prevedibile.

Lo’ak fratello di mezzo di Neteyam e Tuktirey, insieme a Kiri, che scopriremo poi essere la figlia della dottoressa Grace Augustine e interpretata dalla stessa Sigourney Weaver, e Spider, figlio del colonnello Miles Quaritch, che a livello visivo è Tarzan, ci introducono la “nuova generazione”, che diventa fondamentale per il film e per il tema principale del lungometraggio, la famiglia.

Perché mettere un così bel “valore” nei difetti? Per il modo in cui ci viene presentato. I figli chiamano il padre “Signore”, cosa molto americana, e devono sottostare a ordini che non vengono giustificati. Mi è parso un modo arcaico e del tutto sorpassato di considerare la famiglia.

La linearità della trama è nello stile di Cameron che prediligere film con trame uniformi e senza troppi fronzoli per far sì che lo spettatore possa fruire in modo pieno ed esaustivo dell’estetica propria della pellicola.

Proprio l’estetica è il motivo per cui bisogna andare al cinema a vedere questo film. Dico bisogna perché il film ci permette di sognare, ancora una volta a distanza di 13 anni, il mondo di Pandora. Un pianeta con paesaggi mozzafiato, montagne inesplorate e specie animali mai viste da scoprire, dove l’uomo non ha ancora distrutto la bellezza di un mondo abitabile.

Dopo aver scoperto la rinascita in forma na’vi del colonnello Miles Quaritch, la famiglia di Jake Sully è costretta a lasciare il proprio clan ed è proprio questo espediente narrativo che ci permette di scoprire nuovi panorami e clan del pianeta. I “Sully” devono quindi adattarsi ad un nuovo habitat e ai suoi abitanti.

Ci viene anche mostrata una nuova faccia del pianeta. Lo scenario del primo film era la foresta, grandi alberi e piccole radure si perdevano a vista d’occhio, ora c’è un nuovo paesaggio e un nuovo popolo na’vi, il clan dei Metkayina, popolo che ha scelto la via dell’acqua e che vive in riva all’oceano in stretto contatto con la fauna marina. Animali fantastici giocano e collaborano per una convivenza pacifica e serena con i na’vi, studiati in ogni particolare vi stupiranno e sono uno dei punti di forza del film.

Il cambio di regione e di clan impone ai protagonisti l’adattamento che diventa un altro tema importante messo in contrapposizione con la distruzione e colonizzazione portate dagli umani.

Lo spettacolo è pieno di combattimenti e scene d’azione che sono davvero incredibilmente curate, dettagliate e con pochi eventi lasciati al caso. Mi sbilancio dicendo che dopo la morte di Neteyam, il salvataggio di Tuk e Kiri è una delle sequenze migliori del film e forse anche del primo.

Consultando la classifica dei film più redditizi della storia del cinema ci accorgiamo che nella top tre ci sono Avatar, Avengers: Endgame e Titanic, continuando la ricerca scopriamo che il primo e il terzo titolo sono dello stesso regista, James Cameron. Circondati da cinecomic e film d’azione, i due cult degli anni 2009 (Avatar) e 1997 (Titanic) sono lì saldamente ancorati, pur essendo film drammatici.

Questo vuol dire che il pubblico ha cambiato “rotta” in fatto di gusti intorno al genere? Direi di no. Mi sento di dare il merito a più fattori. Il successo di Titanic è legato alla storia del transatlantico. I primi spettatori di quella proiezione andavano a vedere una storia perduta, solo raccontata e senza prove visive esaustive e non l’attore e/o il lavoro del regista del film.

Dopo la prima visione la spettacolarità presentata sullo schermo, gli effetti speciali studiati ad hoc, le grandi interpretazioni e la linearità con cui il racconto è messo on the screen, hanno permesso al film di diventare un fenomeno mediatico, di grande successo e quindi altamente remunerativo ($2,201,647,264).

Quasi analogamente Avatar deve il successo, iniziale, alla tecnologia 3D. Più che un film di cui si bramava il voler scoprire l’intreccio narrativo, le relazione tra i personaggi e il finale di una storia che aveva dell’incredibile, si fremeva per vedere frecce e proiettili sfiorarci il viso attraverso quei piccoli occhialini di carta che appoggiavamo sul naso.

Se andare al cinema per The Way of Water significa questo allora vi troverete di fronte ad un film eccezionale, se cercate la crescita dei personaggi (che è comunque molto più presente rispetto al primo film) e una narrazione profonda e sottile rimarrete leggermente delusi.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.boxofficemojo.com/chart/ww_top_lifetime_gross/?area=XWW&ref_=bo_cso_ac

https://www.badtaste.it/cinema/speciali/avatar-2-cast-personaggi/#0-il-focus-sui-personaggi-in-avatar-2

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L'Autore

Jacopo Cantoni

Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.

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