Può James Cameron conquistarci con ogni suo film?

Avatar: The Way of Water

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  Jacopo Cantoni
  16 dicembre 2022
  4 minuti, 45 secondi

Dopo 13 anni è finalmente arrivato il momento di parlare del secondo capitolo di una delle colonne portanti della storia del cinema: Avatar - The Way of Water. Uscito nelle sale italiane il 14 dicembre e con la prima nazionale tenutasi al cinema Arcadia di Melzo, la pellicola è, per come la penso io, “un susseguirsi di cliché narrativi esteticamente straordinario”.

Iniziamo dai difetti. Avatar: The Way of Water è un film la cui storia non ci stupisce mai: ogni cosa che succede è prevedibile. Durante tutta la sua durata, non sono rimasto colpito da nessuna delle scelte compiute dai protagonisti, né da fatti accidentali o decisioni prese del nemico. Tutto è molto pronosticabile. Il secondogenito, Lo’ak, prende la stessa identica presa di posizione per molte volte: il padre gli ordina di rimanere in disparte ma lui disobbedisce. Dopo tre ore di film, questa sequenza diventa davvero ridondante e quasi noiosa. E come detto prima, troppo prevedibile.

Lo’ak, fratello intermedio tra Neteyam e Tuktirey, insieme a Kiri, che poi scopriremo essere la figlia della dottoressa Grace Augustine e interpretata dalla stessa Sigourney Weaver, e Spider, figlio del colonnello Miles Quaritch, che a livello visivo è Tarzan, ci introducono alla “nuova generazione”, che è il tema principale del lungometraggio: la famiglia. Perché mettere un così bel “valore” nei difetti? Per il modo in cui ci viene presentato. I figli chiamano il padre “Signore”, una cosa molto all'americana, e devono sottostare a ordini che non vengono giustificati. Questo mi è parso un modo arcaico e ormai sorpassato di pensare la famiglia.

La linearità della trama è nello stile di Cameron, che predilige film con trame uniformi e senza troppi fronzoli per far sì che lo spettatore possa fruire in modo pieno ed esaustivo dell’estetica propria della pellicola. Proprio l’estetica è il motivo per cui bisogna andare al cinema e guardare questo film: bisogna guardarlo perché ci permette di sognare - ancora una volta a distanza di 13 anni - il mondo di Pandora. Un pianeta con paesaggi mozzafiato, montagne inesplorate e specie animali mai viste tutte da scoprire, dove l’uomo non ha ancora distrutto la bellezza di un mondo già di per sé abitabile. Dopo aver scoperto la rinascita in forma Na’vi del colonnello Miles Quaritch, la famiglia di Jake Sully è costretta a lasciare il proprio clan. Ed è proprio questo espediente narrativo che ci permette di scoprire altri scenari visivi e clan del pianeta. I “Sully” devono quindi adattarsi ad un nuovo habitat e ai suoi abitanti.

Insomma, ci viene mostrata una nuova faccia del pianeta. Lo scenario del primo film era la foresta con grandi alberi e piccole radure che si perdevano a vista d’occhio, invece, adesso c’è un paesaggio diverso e un altro popolo Na’vi, il clan dei Metkayina, un popolo che ha scelto la via dell’acqua e che vive in riva all’oceano in stretto contatto con la fauna marina. Animali fantastici giocano e collaborano per una convivenza pacifica con i Na’vi e vengono osservati in ogni particolare: oltre a stupirvi, queste specie sono uno dei punti di forza del film. Il cambio di regione e di clan impone quindi ai protagonisti l’adattamento, che diventa un altro tema centrale - e viene messo in contrapposizione con l'opera di distruzione e conseguente colonizzazione realizzata dagli esseri umani.

La pellicola è piena di scene d'azione e di combattimenti curate incredibilmente bene, dettagliate e con pochi eventi lasciati al caso. Mi sbilancio dicendo che dopo la morte di Neteyam, il salvataggio di Tuk e Kiri costituisce una delle migliori sequenze del film, e forse anche del primo capitolo.

Consultando la classifica dei film più redditizi della storia del cinema, ci accorgiamo che nella top 3 ci sono Avatar, Avengers: Endgame e Titanic. Continuando la ricerca, vediamo che il primo e il terzo titolo sono stati realizzati dallo stesso regista, James Cameron. Circondati da cinecomic e film d’azione, i due cult rispettivamente del 2009 e del 1997 sono lì saldamente ancorati, pur essendo film drammatici. Ciò vuol dire che il pubblico ha effettuato un cambio di “rotta” in fatto di gusti intorno al genere? Direi di no. Mi sento di dare il merito a più fattori. Il successo di Titanic è legato alla storia del transatlantico: i primi spettatori di quella proiezione volevano vedere una storia perduta, solo raccontata e senza prove visive autentiche, e non l’attore e/o il lavoro del regista. Dopo la prima visione, la spettacolarità presentata sullo schermo, gli effetti speciali studiati ad hoc, le grandi interpretazioni e la linearità con cui il racconto è messo on the screen hanno permesso al film di diventare un fenomeno mediatico di grande successo e altamente remunerativo ($2,201,647,264). Quasi analogamente, Avatar deve il suo successo, almeno quello iniziale, alla tecnologia 3D. Più che per un film di cui si bramava il voler scoprire l’intreccio narrativo, le relazione tra i personaggi e il finale di una storia che aveva dell’incredibile, si fremeva per vedere frecce e proiettili sfiorarci il viso attraverso quei piccoli occhialini di carta che appoggiavamo sul naso. 

Se per voi andare al cinema e guardare The Way of Water significa questo, allora vi troverete di fronte ad un film eccezionale. Se invece siete interessati a vedere un'evoluzione e uno sviluppo dei personaggi - tratto che è comunque molto più presente rispetto al primo film - e una narrazione profonda e sottile, rimarrete leggermente delusi.

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L'Autore

Jacopo Cantoni

Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.

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Cultura Società

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