1934: il Mondiale di calcio durante il regime fascista

La Coppa del Mondo che ha fatto la storia

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  Chiara Calabria
  13 settembre 2022
  3 minuti, 30 secondi

L’organizzazione della seconda edizione dei Campionati mondiali di calcio fu affidata all’Italia dopo che la Svezia vi rinunciò per motivi economici. Il regime fascista fu particolarmente vicino a questo evento e si impegnò con mezzi e strutture affinché la manifestazione venisse realizzata al meglio. Nell’organizzazione del Mondiale furono coinvolte otto città italiane: Roma, Milano, Torino, Napoli, Genova, Trieste e Bologna; ciascuna di queste città avrebbe accolto partecipanti e tifosi da tutto il mondo nei propri stadi, alcuni dei quali furono ristrutturati per essere in grado di ricevere fino a 70.000 persone.

Il regime fascista si assicurò di creare un clima di socievolezza con tutte le squadre partecipanti. Il comitato organizzatore, nonostante la previsione di un forte deficit economico, al termine della manifestazione chiuse i conti con un guadagno di 900 mila lire (oggi corrisponderebbero a 464.81€).

In questa seconda edizione dei Mondiali di calcio, la lista dei partecipanti si allungò rispetto al campionato precedente: vi presero parte 32 nazioni e venne stabilito un girone preliminare, al termine del quale soltanto 16 squadre ebbero accesso alla fase finale. La seconda edizione della Coppa del Mondo si disputò con le nazionali di Cecoslovacchia, Austria, Germania, Spagna, Svizzera, Ungheria, Svezia, Argentina, Francia, Olanda, Romania, Egitto, Brasile, Belgio, Stati Uniti e Italia. L’Uruguay, vincitore del Mondiale del 1930, decise di non partecipare, per ripagare l’Italia con la stessa moneta: nella prima edizione, svoltasi proprio in Uruguay, accorsero soltanto 13 team nazionali, escluse le maggiori squadre europee, tra cui l’Italia.

La nazionale italiana debuttò ai Mondiali il 27 maggio 1934 allo stadio del Partito Nazionale Fascista di Roma. Il duce desiderava aumentare il valore dell’Italia in campo internazionale. A questo scopo, Benito Mussolini si può considerare tra i primi dell’epoca a fiutare il potenziale mediatico del calcio, nonostante a quei tempi non fosse lo sport più seguito dagli italiani (il nostro Paese seguiva con maggiore passione il ciclismo).

Dopo aver spiazzato gli Stati Uniti con una vittoria azzurra 7-1, la nazionale italiana scese in campo allo stadio comunale Giovanni Berta di Firenze per disputare i quarti di finale contro la Spagna. Questa partita fu in seguito molto contestata dalla parte spagnola per un presunto fallo sul portiere iberico Zamora, portando il punteggio sull’1-1. Al tempo dei fatti narrati i rigori non esistevano e, pertanto, la gara fu disputata nuovamente il giorno successivo, ma con una sorpresa: Ricardo Zamora, il miglior portiere dell’epoca, non fu titolare a causa di un infortunio. L’Italia portò a rete il primo gol con un colpo di testa di Meazza, e alla Spagna venne cancellato un gol irregolare. Gli azzurri arrivarono così a Milano per la semifinale, dove vinsero contro l’Austria. La finale contro la Cecoslovacchia si disputò il 10 giugno 1934 a Roma e vide la vittoria dell’Italia con un punteggio finale di 2-1.

L’eroe, almeno per noi italiani, del Mondiale del ‘34 fu Vittorio Pozzo: piemontese, classe 1886, cosmopolita, giornalista e tecnico sportivo, commissario unico (la figura del commissionario tecnico è nata con Pozzo) della nazionale italiana di calcio dal 1929 al ’48. Nel ventennio di attività guidò 87 volte la nazionale con 60 vittorie, 16 pareggi e solo 11 sconfitte.

Giuseppe Meazza, tra gli eterni campioni italiani, fece parlare molto di sé in quegli anni. Soprannominato “il Balilla” per la giovane età al suo esordio in Serie A (iniziò la sua carriera a 17 anni nell’Ambrosiana-Inter), Meazza segnò due gol nel Mondiale del ’34, tra cui un gol decisivo contro la Spagna nei quarti di finale; preparò inoltre la palla decisiva ad Angelo Schiavio per il gol della vittoria nei supplementari della finale. Complessivamente, Meazza realizzò con la maglia azzurra 33 reti in 55 partite, e tra Inter, Milan, Juventus, Varese e Atalanta ne segnò ben 250. Dopo la sua morte venne a lui dedicato lo stadio milanese di San Siro, nel quale aveva indossato sia la maglia neroazzurra che quella rossonera.

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Chiara Calabria

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