La Città Ideale di Abiy: ragioni sociali e politiche dietro la volontà del Primo Ministro etiope di modernizzare Addis Abeba

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  Aurelia Maria Puliafito
  05 maggio 2025
  4 minuti, 38 secondi

Tradotto da Irene Cecchi


Il 15 marzo 2025 è stato reso pubblico l’accordo tra Ethiopian Airlines Group e la Banca Africana di Sviluppo (AfDB) per la costruzione di un nuovo aeroporto a Bishoftu, 40 chilometri a sud-est di Addis Abeba. Il progetto mira non solo ad alleviare la crescente congestione dell’Aeroporto Internazionale di Bole, ma anche a consolidare il ruolo dell’Etiopia come principale hub dell’aviazione nel continente.

L’Aeroporto Internazionale di Bole, che attualmente gestisce circa 17 milioni di passeggeri all’anno, ha raggiunto il limite della sua capacità. La crescita esponenziale di Ethiopian Airlines richiede infrastrutture in grado di accogliere un flusso crescente di passeggeri e merci, sostenuto dalla vasta rete africana e globale della compagnia. Il nuovo hub di Bishoftu è destinato ad avere una capacità di oltre 60 milioni di passeggeri all’anno entro il 2040, potenzialmente superando l’Aeroporto Internazionale O.R. Tambo di Johannesburg, attualmente il primo del continente.

Il progetto aeroportuale si inserisce in un più ampio slancio verso la modernizzazione urbana del Paese, in particolare della capitale Addis Abeba. Tra le iniziative più rilevanti figurano il Progetto Chaka—un grandioso sviluppo nazionale di città satelliti—e la seconda fase del progetto di sviluppo dei corridoi, recentemente annunciata, che mira a trasformare le infrastrutture e il paesaggio urbano della città.

Dopo una grande ristrutturazione avvenuta negli anni Sessanta sotto l’Imperatore Haile Selassie, sembra ora essere il turno del Primo Ministro Abiy Ahmed di ridisegnare il volto della città. Il suo obiettivo è trasformare Addis in una “città vivibile e accogliente per i suoi abitanti” e per gli investitori internazionali.

La pressione per una radicale modernizzazione della città nasce dal fatto che il Primo Ministro “utilizza lo spazio costruito come uno strumento politico”, secondo un architetto intervistato dal Guardian. La trasformazione fisica di Addis Abeba è guidata da un approccio pianificatorio dall’alto verso il basso, che favorisce in larga misura le élite politiche ed economiche a discapito della popolazione più ampia. “Ogni volta che si pongono domande su questi progetti, si viene semplicemente messi a tacere” ha spiegato l’intervistato.

L’attuazione dei progetti di Abiy comporta infatti alti costi sociali. Ad esempio, nel cuore di Addis Abeba, lo storico quartiere di Piassa è stato raso al suolo lo scorso anno da bulldozer, nell’ambito di un progetto di allargamento stradale, causando lo sfollamento di oltre 4.000 persone. Questo è in linea con la convinzione di Abiy che la povertà debba essere rimossa dal centro cittadino per attrarre investimenti stranieri e turismo. A tal proposito, ha indicato Dubai come modello.

Ma l’Etiopia non è gli Emirati Arabi Uniti. Sebbene ambisse a raggiungere lo status di paese a medio reddito entro il 2025, secondo la Banca Mondiale, attualmente è fortemente sostenuta dal paese emiratino, che è poi uno dei maggiori attori nella regione del Corno d’Africa. “Sollevi una qualsiasi pietra nel Corno d’Africa, e trovi gli Emirati Arabi Uniti lì sotto” ha osservato un ex funzionario dell’amministrazione Trump.

I progetti faraonici di Abiy Ahmed sono profondamente legati alle sue strategie nazionali e internazionali più ampie. Il massiccio coinvolgimento economico degli Emirati nello sviluppo dell’Etiopia è un chiaro esempio del filo conduttore che unisce i punti della visione strategica di Abiy. L’impegno degli Emirati è multiforme: spaziando dagli interessi economici, come investimenti in alimenti e bevande, agricoltura, bestiame, logistica, chimica, farmaceutica e immobiliare, fino a questioni geopolitiche e di sicurezza.

Come spiega il dottor Micheale Kihinshen Gebru, “Entrambi i paesi cercano di espandere e migliorare l’accesso ai porti sul Mar Rosso e sull’Oceano Indiano per ragioni economiche, geopolitiche e di sicurezza comuni”.

Questa affermazione è oggi più attuale che mai. Un tempo potenza del Mar Rosso, la perdita dell’accesso diretto al mare da parte dell’Etiopia resta una ferita aperta—una ferita che Abiy ha promesso di curare, definendola “una questione esistenziale”. Sebbene abbia recentemente dichiarato che “l’Etiopia non ha intenzione di entrare in conflitto con l’Eritrea per ottenere l’accesso al mare” il crescente scetticismo è palpabile.

In realtà, nonostante il linguaggio conciliante, Abiy si sta muovendo su più fronti per rafforzare la posizione dell’Etiopia in caso di un confronto militare con la storica rivale Eritrea. Sul piano interno, offre panem et circenses per placare la popolazione e distrarla dalla fragile stabilità interna e rafforzare la propria popolarità; sul piano internazionale, sta raccogliendo il sostegno di potenze regionali e globali—tra cui la Russia, che nel frattempo sta approfondendo la propria partnership con gli Emirati. Questi allineamenti potrebbero alla fine sostenere le rivendicazioni territoriali dell’Etiopia.


Conclusione

Abiy Ahmed sta camminando su un filo geopolitico. Aspira a trasformare l’Etiopia in una forte potenza regionale, mentre il Paese continua a lottare con instabilità interna, sfide economiche e rancori storici. Un potenziale confronto militare per l’accesso al Mar Rosso sarebbe catastrofico da un punto di vista umanitario ma potrebbe, agli occhi di Abiy, consentirgli di compiere una missione storica.

In un ordine globale in rapida trasformazione, il precedente stabilito dall’invasione russa dell’Ucraina e l’atteggiamento accondiscendente del neoeletto Presidente Trump potrebbero (ri)aprire la strada affinché l’Etiopia, senza sbocco sul mare, possa riconquistare l’accesso al mare con la sostanziale acquiescenza della comunità internazionale, incoronando così Abiy come eroe nazionale.

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Aurelia Maria Puliafito

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