Aiuti europei all'Ucraina: un barlume di speranza, dopo mesi di difficili negoziati

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  Tiziano Sini
  31 gennaio 2024
  2 minuti, 55 secondi

Nei prossimi giorni dovremmo raggiungere un accordo su un'integrazione di 5 miliardi di euro del Fondo europeo per la pace (EPF) al fine d'istituire al suo interno uno specifico 'Fondo di assistenza all'Ucraina' basato su un nuovo approccio per incentivare il sostegno militare degli Stati membri dell'Ue all'Ucraina" queste le parole del Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell'Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, a margine dei lavori con i Ministri degli Esteri Europei[1].

Un annuncio importante che rileva il tentativo di superare l’impasse creato dalle posizioni divergenti di alcuni Paesi sui futuri aiuti all’Ucraina, in particolare da quella del Premier ungherese Victor Orban, che ha più volte ribadito la sua contrarietà a nuovi aiuti economici e militari.

La novità risiede proprio nel tentativo di promuovere un’iniziativa, che rientrerebbe in una strategia di medio periodo, finalizzata a fornire un supporto maggiormente strutturato nell’arco dei prossimi 4 anni.

Questa, infatti, non solo prevede, come anticipato dalle parole di Borell, uno speciale strumento di assistenza dentro EPF, che dovrebbe già garantire l’erogazione di una prima trance da circa 6,5 miliardi; ma la pianificazione di ulteriori stanziamenti fra il 2024 ed il 2027, di circa 5 miliardi l’anno[2].

La logica è di fatto quella di finanziare in maniera congiunta e coordinata gli acquisti di armamenti da parte dei Paesi europei, attraverso il rimborso agli Stati stessi; meccanismo che permetterebbe di agevolare i diversi attori europei nell’acquisto dei materiali bellici, in modo da equilibrare sia il fabbisogno che il bilanciamento interno, attraverso anche un coinvolgimento di molte aziende europee, sia fornendo una risposta tempestiva alle esigenze materiali dell’Ucraina[3].

È inoltre evidente che a valle dell’intera proposta soggiace anche un ulteriore ragione, forse la principale: trovare una soluzione che eviti un ulteriore veto da parte dell’Ungheria, come di fatto era già accaduto lo scorso dicembre con la prima proposta relativa agli aiuti militari all’Ucraina, che prevedeva uno stanziamento totale di circa 50 miliardi, di cui 33 in prestiti e 17 in sussidi.

Una soluzione che almeno all’atto pratico, per quanto diversa, potrebbe non bastare per convincere Orban ed il suo Governo, riluttante di procedere all’approvazione di un piano pluriennale, preferendo procedere con l’approvazione degli aiuti anno per anno; meccanismo che di fatto renderebbe l’Ucraina ancora più debole ed alla merce di scelte politiche interne all’Unione.

Proprio a quest’ultima criticità, tuttavia, se ne collega anche un’altra: la questione del totale sblocco dei Fondi congelati all’Ungheria. L’apertura, proprio in fase negoziale, da parte delle Istituzioni europee, non è stata seguita da nessuna apertura concreta da parte di Budapest, ragione che ha fatto salire al massimo la tensione fra il Paese e la stessa Commissione, tanto da far propendere quest’ultima a valutare in maniera concreta la cosiddetta “opzione nucleare”.

Quest’ultima non è altro che la procedura, prevista dall’art.7 del Trattato Ue, che consente di sospendere in via temporanea alcuni diritti, fra cui quello di voto in seno al Consiglio.

Una soluzione spinosa, che, per favorire il raggiungimento di un obiettivo, rischierebbe di aprire delle crepe all’interno del fragile scacchiere europeo.

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Tiziano Sini

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EU Hungary Ukraine EPS economic aid Commissione Europea art. 7 TUE