Caso Navalny in America: tra nuove sanzioni e vecchie spaccature interne

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  Lorenzo Graziani
  01 marzo 2024
  5 minuti, 34 secondi

Il mondo intero è stato recentemente scosso dalla morte dell’attivista e oppositore politico russo Alexei Navalny, venuto a mancare nella sua cella di prigione il 16 febbraio. Negli Stati Uniti la vicenda ha allargato ancora maggiormente la spaccatura politica tra democratici e repubblicani, che vedono ormai nel conflitto ucraino, e non solo, motivo di discussione più che di comunione.

Il Presidente americano Joe Biden ha fin da subito puntato il dito contro Putin: “Non c’è dubbio” ha dichiarato “che la morte di Navalny sia la conseguenza di qualcosa che Putin e i suoi scagnozzi hanno fatto”.

A supporto delle parole del Presidente sono intervenuti i leader democratici, uniti nell’esprimere l’oltraggio e la rabbia per la morte dell’oppositore politico russo, come enfatizzano le parole della Vice Presidente Kamala Harris che ha definito l’atto un “ennesimo segno della brutalità di Putin”.

Per quanto la reazione russa non presenti grandi sorprese, con il Cremlino che ha fin da subito negato ogni coinvolgimento e Putin che ha descritto le accuse di Biden come “rudi”, le opinioni dell’ala repubblicana negli States hanno destato scalpore presso i colleghi democratici.

Il Senatore repubblicano Ron Johnson ad esempio, che già aveva votato contro il pacchetto di aiuti internazionali proposto dall’amministrazione Biden, ha commentato la recente intervista dell’ex host di Fox News Tucker Carlson, volato in Russia per parlare con Putin, definendo il Presidente russo un “criminale di guerra che ovviamente non sta raccontando tutta la verità” ma parlando dell’intervista come “veramente interessantr” e delle convinzioni del premier russo come a volte “giuste, accurate e ovvie”.

Inoltre, molti rappresentanti repubblicani hanno denigrato la morte di Navalny, arrivando ad esprimere simpatie verso il Presidente russo e scatenando forti reazioni come quella del Senatore della Carolina del Nord Thom Tillis, che ha commentato duramente le idee dei suoi avversari politici: “Navalny ha dato la vita per combattere per la libertà del paese che amava […] Putin è un dittatore omicida, paranoico. La storia non sarà amica di quelli che in America trovano scuse per Putin ed elogiano l’autocrazia russa. Non sarà amica neanche dei leader americani che sono rimasti in silenzio”. La responsabilità storica è un argomento che anche lo stesso Biden ha più volte richiamato per rispondere al blocco degli aiuti internazionali perpetrato dai repubblicani: “the clock is ticking” ha dichiarato, assicurando che “il fallimento di supportare l’Ucraina in questo momento critico non verrà mai dimenticato”.

Nonostante le crepe nel tessuto politico americano, la morte di Navalny sembra aver dato una nuova scossa all’azione antirussa di Biden: giovedì 23 febbraio il Presidente americano ha infatti incontrato in California Yulia Navalnaya, vedova di Navalny, e la figlia Dasha Navalnaya, già attivista politica. Toccato dall’incontro, Biden ha pubblicato un post su X:

“Oggi ho incontrato Yulia e Dasha Navalnaya - i familiari di Alexei Navalny - per esprimere le mie condoglianze per la devastante perdita. L’eredità del suo coraggio rimane viva in Yulia e in Dasha e nelle innumerevoli persone in tutta la Russia che combattono per la democrazia e i diritti umani”.

È proprio a seguito dell’incontro con i cari di Navalny che Biden, intervistato dai giornalisti, ha annunciato che il governo americano avrebbe attivato nuove sanzioni economiche verso Putin e i suoi alleati, confermando ancora una volta la volontà di non volersi “arrendere”. L’annuncio è poi stato ufficializzato dalla Casa Bianca, sottolineandone la natura di “risposta alla morte di Alexei, alla repressione e all’aggressione russa e alla sua brutale e illegale guerra in Ucraina”.

“Domani lanceremo centinaia di nuove sanzioni, qui negli Stati Uniti” ha dichiarato il Segretario del Tesoro americano Wally Adeyemo “ma è importante ricordarci che non sono solo gli stati Uniti a prendere provvedimenti”.

I nuovi provvedimenti, descritti dal Tesoro americano come i più impattanti dall’inizio della guerra, sono infatti stati redatti con il supporto di diversi altri stati e hanno più di 500 target: l’intenzione è quella di colpire l’intera spina dorsale dell’industria russa, anche per quella parte dislocata nei paesi del terzo mondo, diventati essenziali per il Cremlino per il rifornimento delle materie prime e di altri prodotti; singoli individui connessi all’imprigionamento di Navalny, figure importanti del settore finanziario russo ed evasori delle precedenti sanzioni. Si vuole inoltre andare a rivedere l’export dei prodotti petroliferi, che già hanno ricevuto un tetto di prezzo massimo di 60$ al barile in passato, con l’intenzione di ridimensionare i profitti russi derivanti dal commercio di questa materia prima. Diventa inoltre essenziale per gli Stati Uniti colpire anche gli alleati russi, come Iran e Corea del Nord, che secondo Biden permettono al Cremlino di continuare la sua guerra di aggressione.

La speranza della Casa Bianca è che queste sanzioni possano mantenere la Russia di Putin sotto una forte pressione, indipendentemente dalla scelta del Congresso riguardo l’approvazione dei nuovi aiuti finanziari verso Ucraina, Israele e Taiwan.

Questo nuovo provvedimento non ha però distolto l’attenzione da quello che viene considerato il vero turning point della politica estera americana in questo ultimo periodo: Adeyemo stesso ha infatti dichiarato che, nonostante la grande importanza delle sanzioni commerciali contro la Russia, “per cercare di aiutare l’Ucraina, per dargli l’opportunità di difendersi, il Congresso deve dargli le risorse e le armi delle quali necessita”.

Anche Peter Harrel, ex funzionario del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha ridimensionato l’importanza della scelta di Biden sostenendo che la decisione del Congresso riguardo gli aiuti finanziari sarà nettamente più importante di “qualunque cosa possa essere fatta con delle sanzioni”, anche se il Dipartimento del Tesoro ha confermato che il vecchio pacchetto di sanzioni ha portato ad una contrazione dell’economia russa del 2,1%, già solo nel 2022.

È proprio alla luce dell’ormai essenziale importanza che la questione degli aiuti internazionali ha acquisito nell’opinione pubblica degli States che le due fazioni politiche non sembrano avere alcuna intenzione di fare un passo indietro, anche e soprattutto in vista delle prossime elezioni presidenziali. Di fronte alla continua resistenza repubblicana, i leader democratici continuano infatti a supportare gli alleati ucraini: Biden, dopo aver parlato con il Presidente ucraino Zelensky, ha descritto come “assurda” l’idea di abbandonare gli ucraini proprio ora che stanno finendo armi e munizioni. Al contempo, il leader della maggioranza in Senato Chuck Schumer si è recato in Ucraina per rassicurare Zelensky sul continuo supporto americano: “sento di dover essere lì perché è cruciale” ha dichiarato ai giornalisti “siamo arrivati ad un vortice, un punto critico per tutto l’Occidente. E se dovessimo abbandonare l’Ucraina, le conseguenze per l’America sarebbero severe”.

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