Alla conquista del mare

La piattaforma continentale USA

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  Matteo Gabutti
  03 marzo 2024
  10 minuti, 16 secondi

Che si prenda peso durante le vacanze natalizie non è una sorpresa. Più raro è invece anticipare il processo già a inizio dicembre, prima di sdoganare panettoni e affini. Una cosa è poi metter su qualche chiletto, un’altra aumentare la propria taglia di un’area pari a quella dell’Egitto. Per di più, senza che nessuno lo faccia notare.

A dicembre 2023 gli Stati Uniti hanno annunciato l’allargamento più significativo dall’acquisto dell’Alaska del 1867, senza sparare un colpo e senza piantare bandierine a stelle e strisce. Oltretutto, nell’indifferenza generale. O quasi.

Come abbiamo fatto a non accorgercene?

Semplicemente, quella reclamata da Washington non è terra nel senso comune del termine, quanto l’estensione del territorio americano sotto il mare, denominata piattaforma continentale (continental shelf).

Il Dipartimento di Stato ha reso note le coordinate geografiche dei limiti esterni della cosiddetta piattaforma continentale estesa (extended continental shelf). Per quanto passata relativamente in sordina, la pubblicazione potrebbe comportare implicazioni considerevoli sul piano della geopolitica e del diritto internazionale, soprattutto per quanto riguarda la regione artica.


Diritti e confini

L’attuale classificazione delle aree marine è contenuta nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, comunemente nota con l’acronimo UNCLOS.

In base al trattato uno Stato costiero esercita la propria sovranità sulle proprie acque territoriali fino a 12 miglia nautiche dal litorale. Da quel limite fino a 200 miglia nautiche si estende poi la zona economica esclusiva (ZEE), ove un Paese è l’unico a godere del diritto di sfruttamento delle risorse naturali, comprese quelle non viventi presenti entro la propria piattaforma continentale. Tuttavia, se quest’ultima eccede la ZEE, prende il nome di piattaforma continentale estesa (ECS) e lo Stato litorale può invocarvi diritti economici fino a un massimo di 350 miglia nautiche dalla “linea di base normale”, ovvero "la linea di acque poco profonde lungo la costa" (Art. 5). Ancora oltre, giacciono le acque internazionali, dove vige il diritto universale di navigazione, sorvolo, pesca, ricerca scientifica…

Come sottolinea la prof.ssa Abbie Tingstad, mentre uno Stato litorale può godere della propria ZEE senza alcuna dichiarazione formale, la faccenda si complica per l’ECS. L’Art. 76 dell’UNCLOS, infatti, prevede che un Paese possa rivendicare diritti esclusivi sulle risorse situate sopra o sotto il fondale marino al di là di 200 miglia nautiche a patto di dimostrare e delineare l’estensione naturale della propria piattaforma continentale estesa attraverso una mappatura batimetrica, ovvero una mappatura atta a misurare e rappresentare le diverse profondità marine.


La ricerca

Tale mappatura è proprio quella che gli Stati Uniti hanno presentato a fine 2023 in un Riepilogo Generale. La raccolta di dati cominciò nel lontano 2003, dando vita al più ampio sforzo mai compiuto da Washington per tracciare una mappa dell’alto mare americano.

Il risultato descrive una piattaforma continentale estesa di circa un milione di chilometri quadrati – paragonabile, appunto, all’Egitto – su sette regioni: Artico, Atlantico, Mare di Bering, Golfo del Messico Orientale e Occidentale, Isole Marianne – un arcipelago vulcanico nel Pacifico nord-occidentale – e Pacifico. Alla luce di ciò, il rapporto elenca anche i Paesi con cui gli Stati Uniti condividono dei confini marini, già stabiliti o ancora irrisolti, tra cui figurano alleati come Canada e Giappone, partner come il Messico, ma anche rivali come Cuba e Russia.

Oltre la metà dell’ECS identificata dallo studio sarebbe situata nell’Artide, ove la piattaforma estesa americana raggiungerebbe le dimensioni della California. Non un fazzoletto di terra, soprattutto in una regione sempre più rilevante dal punto di vista della navigazione e dell’estrazione di idrocarburi, in larga parte grazie allo scioglimento del ghiaccio polare


UNCLOS sì, UNCLOS no

Il Riepilogo americano fa espressamente riferimento all’Art. 76 dell’UNCLOS. Eppure, gli Stati Uniti rimangono l’assente per eccellenza della Convenzione, che a oggi conta 169 Parti contraenti, compresa la stessa Unione Europea.

Come analizzato in un precedente articolo, le prime esitazioni statunitensi verso il trattato emersero sotto l’Amministrazione Reagan e vertevano essenzialmente sul timore di perdere sovranità e ricche opportunità economiche in nome di una crescente globalizzazione. Proprio tali preoccupazioni furono al centro delle rinegoziazioni della Convenzione negli anni Novanta, che vinsero il favore dell’Amministrazione Clinton.

Eppure, nel 1994 l’UNCLOS entrò in vigore senza la ratifica statunitense. Quasi trent’anni dopo, Washington non ha ancora aderito al trattato internazionale nonostante la volontà delle varie amministrazioni, inclusa quella attuale, dal momento che manca l’approvazione di almeno due terzi del Senato richiesta dalla Costituzione (Art. II, Sezione 2).

Pur non essendo Parte contraente, di fatto gli States continuano ad applicare la Convenzione, e ne considerano tuttora larga parte come riflesso del diritto internazionale consuetudinario.


Diritto consuetudinario

Per diritto consuetudinario s’intende quell’insieme di regole vincolanti. Sono tali non perché scritte in una convenzione, ma in quanto frutto di pratiche generali e consolidate, accompagnate da un senso di obbligo legale.

Le caratteristiche che distinguono il diritto consuetudinario (customary law) dal diritto dei trattati (treaty law) consistono nell’essere non-negoziato, non-scritto e universale. Quest’ultimo elemento, in particolare, assegnerebbe alle norme consuetudinarie un’efficacia erga omnes, nel senso che sarebbero applicabili "nei confronti di tutti".

Se le misure dell’UNCLOS fossero davvero espressione del diritto consuetudinario, dunque, varrebbero non per le sole Parti contraenti al trattato, ma per tutti i soggetti del diritto internazionale, ivi compresi gli Stati Uniti.


Cherry-picking

A questo punto, però, sorge l’accusa a Washington di scegliere attentamente le norme dell’UNCLOS che ritiene valgano per tutti, senza sottoscrivere il trattato per intero, ed esporsi quindi anche a quegli obblighi cui si oppongono i senatori repubblicani recalcitranti alla ratifica.

Che uno Stato litorale possa esercitare la propria sovranità sulla propria piattaforma continentale sembra effettivamente essersi imposta come norma consuetudinaria, riflessa anche nell’Art. 77 dell’UNCLOS.

Più controversa è la questione se lo stesso valga per l’Art. 76 dell’UNCLOS sulla definizione di piattaforma continentale, citato nel Riepilogo Generale americano. In particolare, l’elemento cardine è il paragrafo 8, secondo cui:

Lo Stato costiero sottopone alla Commissione sui Limiti della Piattaforma Continentale […] dati e notizie sui limiti della propria piattaforma continentale, quando questa si estende oltre 200 miglia marine dalle linee di base […]. La Commissione fornisce agli Stati costieri raccomandazioni sulle questioni relative alla determinazione dei limiti esterni della loro piattaforma continentale. I limiti della piattaforma, fissati da uno Stato costiero sulla base di tali raccomandazioni, sono definitivi e vincolanti.


- UNCLOS, Art. 76(8)

Se questa misura fosse una norma consuetudinaria, gli Stati Uniti avrebbero il dovere di presentare il Riepilogo alla Commissione. Allo stesso tempo, i limiti dell’ECS americana verrebbero stabiliti in maniera definitiva e vincolante per tutti, comprese le Parti contraenti l’UNCLOS, con pretese territoriali in parte sovrapponibili agli States, come Canada, Giappone, Bahamas, e potenzialmente anche la Russia.

Tuttavia, rimane arduo sostenere che il paragrafo 8 rientri nel diritto consuetudinario. Per quanto si dicano pronti a farlo, a oggi gli Stati Uniti non hanno ancora sottoposto i propri risultati alla Commissione sui Limiti della Piattaforma Continentale (CLCS), consci delle probabili obiezioni da parte di alcuni Paesi UNCLOS.


Una via percorribile?

Nelle parole della Dott.ssa Ekaterina Antsygina, da un punto di vista pragmatico "la comunità internazionale beneficerebbe probabilmente di più dall’avere i limiti esterni degli USA esaminati dagli esperti della CLCS piuttosto che stabiliti unilateralmente senza alcuna revisione esterna".

Eppure, la prof.ssa Tingstad avverte che senza una ratifica americana dell’UNCLOS alleati e avversari di Washington potrebbero leggere il Riepilogo come il tentativo di aggirare le norme del diritto internazionale marittimo, schivando quelle indesiderate e santificando quelle favorevoli come espressione del diritto consuetudinario. "In un mondo di scelte difficili – conclude – l’annuncio di oggi fornisce una soluzione scomposta".

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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