Cina: le proteste contro la politica zero-Covid

  Articoli (Articles)
  Chiara Andreoli
  13 dicembre 2022
  5 minuti, 58 secondi

Durante gli ultimi giorni, la popolazione cinese è scesa in strada per protestare contro la rigida politica anti-Covid attuata dal governo a partire dallo scoppio della pandemia. Le proteste sono cominciate a fine novembre, dopo l’incendio che ha colpito una palazzina ad Urumqi, la capitale dello Xinjiang, in cui sono morte dieci persone.

I video diffusi in rete mostrano che i pompieri hanno avuto grandi difficoltà nel raggiungere il luogo dell’incendio a causa delle barriere fisiche intorno alla struttura imposte dal governo cinese per contenere i contagi.

Questo è solo uno dei numerosi casi denunciati. A Lanzhou, un bambino ha perso la vita in seguito ad una fuga di gas, durante la quale non è stato possibile intervenire tempestivamente dato che l’edificio si trovava in un complesso residenziale chiuso per lockdown.

Le proteste, scoppiate ad Urumqi, si sono diffuse a macchia d’olio e sono arrivate a coinvolgere anche molte delle principali città cinesi, tra cui la capitale Pechino, Shanghai, Wuhan, Guangzhou, Zhengzhou, Chengdu, Chongqing, Dali, Nanchino e Xian.

I cittadini sono scesi nelle strade e nelle piazze per manifestare il proprio malcontento e l’esasperazione conseguente ai lunghissimi lockdown imposti dal 2020; in caso di positività da Covid-19, interi palazzi, quartieri e addirittura città venivano posti in isolamento.

Sicuramente la politica attuata dal governo cinese ha messo a nudo alcune problematiche che riguardano il paese, come la fragilità del sistema sanitario, impreparato a far fronte ad un impennata dei ricoveri.

Le chiusure previste dalla politica zero-Covid riguardano regioni cruciali per l’economia cinese, gravemente compromessa da questi anni di pandemia.

Queste politiche di isolamento chiaramente scoraggiano la mobilità ed i consumi interni l: il traffico della metropolitana delle dieci città più grandi cinesi è diminuito del 32%, i ricavi al botteghino, simbolo della vita sociale e della voglia di uscire delle persone, sono crollati del 64%. Molti cinema e centri commerciali hanno dovuto chiudere definitivamente e, infine, la disoccupazione giovanile è cresciuta esponenzialmente.

Le conseguenze dei lockdown sono state percepite anche a livello internazionale; essendo la Cina uno dei principali fornitori di materie prime e prodotti intermediari per la maggior parte del globo, le catene di approvvigionamento mondiali hanno subito gravi rallentamenti.

La rivoluzione dei fogli bianchi 

Tali proteste, a differenza di come si potrebbe pensare, non sono le prime dimostrazioni di malcontento che attraversano il paese: ricordano infatti l’ondata di scioperi del 2010 e le proteste avvenute nel 2020, nella regione di lingua mongola, dove studenti e famiglie si erano opposti alla riforma dell’istruzione che voleva fare del mandarino la lingua franca a livello regionale. La manifestazione che ha attraversato la Cina nelle scorse settimane è però la più grande degli ultimi quarant’anni ed esprime malcontenti e problemi trasversali condivisi dall'intera società cinese.

È stata denominata la “rivoluzione dei fogli bianchi” perché i cittadini cinesi sono scesi nelle strade innalzando dei fogli A4 bianchi o rappresentanti le equazioni di Friedmann. Per quanto riguarda i fogli bianchi, si sostiene che sia un modo per evitare la censura e per rappresentare l’assenza di libertà di parola. Le equazioni di Friedmann, invece, sono un insieme di equazioni in cosmologia fisica che governano l'espansione dell'universo, e potrebbero rappresentare il desiderio dei manifestanti di un’apertura; o forse, semplicemente, si associa il nome Friedman all’espressione “free man”, significato comunque relativo ad un desiderio di libertà.



La reazione del Governo cinese

La reazione del regime di Xi Jinping - Presidente della Cina per il terzo mandato consecutivo ed eletto in seguito al XX Congresso del Partico Comunista - è stata immediata. Di fatto, le manifestazioni si sono trasformate in una critica diretta al Presidente: già pochi giorni prima del Congresso, a Pechino, sono comparsi degli striscioni di critica a Xi, che ne invocavano la rimozione.

Allo scoppio delle proteste, le autorità sono intervenute subito, anche se impreparate ad una manifestazione di questa portata. A Shanghai hanno rimosso dalla strada le indicazioni che portavano alla via dove era in corso la protesta, per evitare che altre persone la raggiungessero.

In tutta la Cina, le persone hanno manifestato con slogan esplicitamente contro il regime, come “Xi Jinping dimettiti" o contro il Partito comunista in generale.

Il governo è intervenuto fin da subito con la censura: le autorità, infatti, sono al lavoro per eliminare ogni traccia delle proteste, soprattutto online. La censura è arrivata a coinvolgere Twitter. Le immagini dei mondiali in Qatar sono state censurate nelle parti in cui mostrano persone senza mascherina, affinché non si alimentasse l’idea secondo cui solo in Cina sono ancora in vigore restrizioni anti-covid.

Dall’altra parte, le proteste stanno avendo effetto - il Governo sta aumentando la campagna vaccinale ed allo stesso tempo sta allentando le restrizioni. A Pechino, per esempio, è decaduto l’obbligo di presentare un test Covid negativo prima di salire sui mezzi pubblici.

E difficile stabilire il numero preciso delle persone arrestate durante i giorni di proteste, si sa solo che molti dei manifestanti sono stati fermati e poi rilasciati i giorni successivi a fini intimidatori. Per le strade cittadine vi sono ronde di poliziotti con l’obiettivo di scoraggiare nuove manifestazioni e in alcuni casi arrestare i cittadini scesi in piazza a protestare. Secondo quanto riferito dal Guardian, a Pechino e Shanghai era possibile vedere la polizia che pattugliava le aree dove sui social media alcuni gruppi avevano suggerito alle persone di radunarsi.

Su Twitter, Wechat e Weibo numerosi utenti hanno raccontato di controlli a campione sui telefoni dei passanti per verificare che non vi fossero immagini o video di proteste e che non avessero attivato reti private virtuali (VPN) utilizzate dai manifestanti nel fine settimana.

Possibile riapertura della Cina?

Da un lato gli esperti sostengono che, se si abbandonasse del tutto la politica zero-Covid, nel Paese si registrerebbero in poche settimane circa 363 milioni di infezioni: 5,8 milioni di cinesi finirebbero in pronto soccorso e si registrerebbero almeno 620 mila morti. Per le autorità cinesi si tratta di fare una scelta: perdere il controllo sul virus o perdere il sostegno della popolazione.

Alcune cariche dello Stato hanno affermato che la variante "omicron" è meno contagiosa e che la lotta contro il covid sta entrando in una “nuova era”. In alcune città sono state allentate le restrizioni, con una graduale riapertura di centri commerciali, negozi e ristoranti.

Ad ogni modo, per la Cina una totale rimozione delle restrizioni sarebbe rischiosa, in quanto la popolazione rimane non sufficientemente vaccinata e le strutture mediche non adeguate. Non è stata ufficializzata una fine di “zero-Covid” e la possibilità di dietrofront sulle riaperture rimane comunque presente. Eppure, sembrerebbe che le proteste non sono rimaste inascoltate: nonostante la repressione da parte delle forze dell’ordine, il Partito si è reso conto di non poter rischiare di perdere il supporto della popolazione, né di poter continuare a danneggiare la propria economia con le misure di contenimento.



Fonti consultate il presente articolo:

https://www.unive.it/pag/14024/?tx_news_pi1%5Bnews%5D=13466&cHash=f99a15a6822db0c1d89474fddb3caf3b

https://www.ilpost.it/2022/11/28/cina-proteste-fogli-bianchi/

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/proteste-cina-cosa-ce-da-sapere-36936

Condividi il post

L'Autore

Chiara Andreoli

Categorie

Diritti Umani

Tag

Cina Covid19 Xijinping Politica