Conferenza di Monaco: poche prospettive positive a discapito di molte preoccupazioni per il futuro

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  Tiziano Sini
  21 febbraio 2024
  3 minuti, 28 secondi

Lo scorso fine settimana, da venerdì 16 febbraio a domenica 18 febbraio, si è tenuto uno degli appuntamenti annuali più importanti ed attesi: la Conferenza di Monaco sulla sicurezza. Un’occasione di confronto di primissimo livello per quanto riguarda i temi di politica estera e di difesa, soprattutto in un momento delicato come quello attuale.

Già lo scorso anno, con lo scoppio della guerra in Ucraina, il clima sembrava profondamento mutato rispetto agli anni precedenti, evidenziando la necessità urgente di un cambiamento strategico nei rapporti internazionali.

Una situazione che non sembra però variata nemmeno quest’anno, con la Conferenza che è stata l’occasione da parte di 40 Leader mondiali ed oltre 100 Ministri, provenienti da 96 Paesi, di discutere in maniera urgente una situazione globale ulteriormente peggiorata, come dimostra non solo il proseguire della guerra in Ucraina, ma anche l’invasione da parte dell’Esercito Israeliano a Gaza, a seguito dell’attacco terroristico dello scorso 7 ottobre da parte di Hamas e delle conseguenze che questo sta generando e potrebbe generare in Medio Oriente[1].

Se le premesse non erano positive all’inizio dei lavori, anche durante l’evento non si è verificata nessuna svolta sperata, ma anzi nubi grigie si sono addensate dopo la diffusione di due notizie preoccupanti provenienti dalla Russia; la presa da parte dell’esercito russo dopo mesi di strenui combattimenti, di Avdiivka (una delle roccaforti ucraine nella regione di Donetsk sin dallo scoppio del conflitto nel 2014)[2]e la morte del dissidente politico Aleksej Naval'nyj, che ha destato sgomento e rabbia fra i presenti, come testimoniamo diverse prese di posizioni pubbliche.

Ma, non meno rilevante è la notizia della decisione del gabinetto di guerra israeliano di sospendere i negoziati per un cessate il fuoco e di procedere con le operazioni militare a Gaza, con l’obiettivo di programmare nelle prossime settimane un’azione su Rafah, città al confine con l’Egitto, dove al momento si sono rifugiati circa 1,5 milioni di sfollati, con le conseguenze potenzialmente catastrofiche che una mossa come questa può scaturire.

A margine dell’evento, viste anche le premesse, è stato evidente che ben poco era stato raggiunto durante la Conferenza, risuonando come una presa d’atto sull’incapacità almeno nel breve periodo di superare una fase di estrema criticità, senza nemmeno un briciolo di positività per il futuro, che paradossalmente sembrare aleggiare maggiormente durante la scorsa Conferenza.

Una condizione piuttosto chiara tenendo in considerazione, non solo gli eventi attuali, ma soprattutto quanto accadrà nei prossimi mesi, segnati da numerosi impegni elettorali, uno fra tutti negli Stati Uniti, dove l’ascesa di Donald Trump in questo ultimo periodo sembra inarrestabile.

Ed è proprio intorno alle parole dell’ex Presidente durante la campagna elettorale, che molto si è discusso in questi ultimi giorni, a partire proprio dall’impegno economico dei Paesi facenti parte della Nato, rei, secondo il Tycoon, di coprirsi dietro l’ombrello americano, senza rispettare gli impegni pattuiti, in questo caso il raggiungimento del 2% del Pil da destinare alle spese militari.

Un tema legato a doppio filo con un'altra questione dirimente: quella della difficoltà nell’approvazione degli aiuti militari all’Ucraina da parte del Congresso americano, che si sono delineati all’interno di un braccio di ferro durato ormai mesi, sullo stanziamento di risorse per la gestione dei flussi migratori e dei confini con il Messico.

Ed è proprio con il blocco degli stanziamenti da parte degli USA, che è stato necessario un passo avanti ulteriore da parte degli alleati Europei, che, non solo fra mille difficoltà sono stati in grado di sbloccare il pacchetto di aiuti da 50 miliardi, ma proprio durante le giornate della Conferenza hanno firmato importanti accordi di sicurezza bilaterali con l’Ucraina; come hanno dimostrato da Francia e Germania, a cui con molta probabilità si aggiungerà anche l’Italia[3].

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