Cos'è la biopirateria?

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  Alessia Pagano
  15 febbraio 2023
  5 minuti, 22 secondi

In passato, la biodiversità era considerata parte del "patrimonio comune dell'umanità". Sotto questo regime, le risorse biologiche erano definite come appartenenti al pubblico dominio e non di proprietà di alcun individuo, gruppo o Stato. Tale idea è stata oggetto di convenzioni internazionali, come la Convenzione UNESCO del 1972 per la Protezione del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale, che stabiliva che le risorse genetiche fossero esenti da sovranità nazionale o diritti di proprietà privata.

Circa 30 anni fa, la Convenzione Sulla Biodiversità modificò i termini in cui si parlava di gestione delle risorse genetiche, definendole soggette alla sovranità dei singoli Stati e stabilendo che l’utilizzo di tali risorse richiedesse un consenso informato preliminare. Questo avvenne per tutelare sia la presenza delle risorse in natura sia i Paesi da cui le risorse venivano prelevate.

Nel 1993, l’attivista Pat Roy Mooney coniò il termine “biopirateria” per indicare gli atti di appropriazione indebita o richiesta di esclusività su risorse genetiche e conoscenze tradizionali di un Paese da parte di persone, organizzazioni e aziende estere. Per contrastare la biopirateria sono stati siglati vari trattati internazionali, tra cui il Protocollo di Nagoya, che mira a impedire che le risorse genetiche e le conoscenze tradizionali vengano utilizzate, riprodotte o commercializzate senza che le comunità locali abbiano prima espresso il loro consenso e assicurando loro un’adeguata compensazione.

In epoca coloniale quello che oggi definiremmo biopirateria si concretizzava nell’appropriazione di risorse genetiche attraverso il trasferimento di beni come caffè, cacao e zucchero da Africa e America del Sud in Europa. Attualmente, invece, tra i maggiori protagonisti di queste vicende spiccano le industrie farmaceutiche e quelle nel settore della biotecnologia.

Quando si tratta di biopirateria?

Nel 1997 la hoodia, una pianta originaria del Sudafrica da cui può essere estratta una sostanza che agisce da soppressore dell'appetito, venne “scoperta” e raccolta estensivamente per essere commercializzata su larga scala. Il popolo San, una comunità indigena che utilizzava la hoodia per far sì che gli uomini non perdessero energie a causa della fame durante la caccia, non solo non ricevette credito per una scoperta che per i suoi membri, al contrario degli occidentali, era vecchia di secoli, ma non fu informato del brevetto fino al 2001. Questa vicenda divenne nota come uno dei più emblematici casi di biopirateria dell’epoca moderna, e si concluse con il riconoscimento della proprietà intellettuale del popolo San e del suo diritto a ricevere una parte dei profitti.

Un caso ben più recente, invece, è quello dei baobab la cui esportazione è stata bloccata dallo stato del Kenya a ottobre 2022. La natura controversa della questione nasce dal fatto che a differenza della tribù indigena dei San, i baobab non erano su suolo pubblico ma in quello di agricoltori che hanno dato il loro consenso e hanno ricevuto dei pagamenti per gli alberi ceduti. L’imprenditore Georgy Gvasaliya, infatti, aveva offerto tra i 100.000 e i 300.000 scellini kenioti per ogni baobab, e a ottobre ha dichiarato di voler portare gli alberi in un giardino botanico nel suo Paese, la Georgia, per salvarli, visto che gli agricoltori li avrebbero abbattuti in ogni caso per far spazio a piantagioni di mais.

Tuttavia, poiché i baobab sono alberi appartenenti a una specie a rischio e costituiscono l’habitat di numerose specie di insetti, rettili e uccelli, la prospettiva del loro sradicamento ha allarmato i gruppi ambientalisti, e il ministero dell’ambiente ha deciso di intervenire, interrompendo i lavori. A seguito di questi eventi, alcuni agricoltori hanno affermato di essersi sentiti sfruttati e traditi, poiché diversi di loro sono venuti a conoscenza della vera identità dell’acquirente e dei suoi progetti solo dopo che la transazione era avvenuta. Inoltre, il parere di diversi esperti è che la compensazione non fosse adeguata, e che l’imprenditore straniero avesse approfittato degli agricoltori pagando un prezzo oggettivamente troppo basso ma che era stato comunque accettato per via della svantaggiosa situazione economica dei locali. Considerando illegittima la rimozione dei baobab, il governo ha dichiarato che le licenze ottenute da Gvasaliya non erano valide.

È stato inoltre ribadito che nonostante si tratti di suolo privato, per via del ruolo fondamentale rivestito dai baobab nel loro ecosistema si applica il Protocollo di Nagoya, di cui il Kenya è firmatario e che prevede che prima di qualsiasi esportazione la comunità debba dare il suo consenso informato e che debba essere raggiunto un accordo tra chi prende le risorse genetiche, il governo e la comunità su come i benefici da esse derivanti dovrebbero essere condivisi. I baobab sono quindi rimasti in Kenya, ed è in corso una campagna a favore del loro ripristino nella contea di Kifili, dove alcuni di loro avevano affondato le radici per più di un secolo.

La lotta alla biopirateria

Il caso della hoodia in Sudafrica e quello dei baobab in Kenya hanno avuto un lieto fine, ma nonostante la crescente attenzione sul piano internazionale e la maggiore tutela data da trattati come il Protocollo di Nagaoya, i casi di biopirateria sono ancora molti, e spesso i popoli indigeni non hanno le risorse per contrastare le azioni di multinazionali straniere. Il Protocollo stesso, principale strumento del diritto internazionale, manca di efficaci meccanismi di applicazione, ed è a volte difficile garantire la conformità di Paesi e delle aziende ai suoi standard. Inoltre, molti Stati, tra cui alcuni dei maggiori centri di biodiversità, devono ancora ratificare il Protocollo o applicarne pienamente le disposizioni. Nonostante queste sfide, il Protocollo di Nagoya rimane uno strumento importante per promuovere la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità e delle conoscenze tradizionali, e si continua a lavorare per migliorarne l'attuazione e l'efficacia.

Ulteriori misure che i governi possono mettere in atto sono dichiarare più specie protette e promuovere organizzazioni come l’Unione per il Biotrade Etico, che si occupa di aiutare le aziende a rispettare gli standard internazionali contro la biopirateria, o iniziative come la Biblioteca Digitale della Conoscenza Tradizionale, un database istituito dal governo dell'India, con lo scopo di proteggere le antiche conoscenze della nazione dallo sfruttamento indotto dai brevetti non-etici.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://unsplash.com/it/foto/G40jEUyEsEk

https://whc.unesco.org/en/conv...

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC419806/

https://gfbr.global/wp-content/uploads/2015/09/Fifth_Casestudy4.pdf

https://www.dire.it/22-11-2022/836982-no-alla-biopirateria-e-il-kenya-blocca-lazienda-che-vuole-sradicare-i-baobab/

https://www.bbc.com/news/world-africa-63716286

https://www.theguardian.com/global-development/2022/oct/24/kenya-baobab-trees-uprooting-export-environmental-groups

https://www.the-star.co.ke/news/realtime/2023-01-31-lobby-in-court-to-stop-further-uprooting-of-baobab-trees-in-kilifi/

https://www.dw.com/en/what-is-biopiracy-and-how-could-it-threaten-deal-to-save-nature/a-62172855

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Alessia Pagano

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Kenya Sudafrica Biopirateria Nagoya baobab biodiversità CBD risorse genetiche risorse UNESCO