Le foreste tropicali sono una riserva inestimabile di biodiversità. Ospitano più del 90% della diversità genetica animale e vegetale e, allo stesso tempo, rappresentano un alleato importante contro il cambiamento climatico. Le piante e gli alberi, come sappiamo, immagazzinano e trasformano l’anidride carbonica presente nell’atmosfera in ossigeno attraverso quel processo conosciuto come “fotosintesi clorofilliana”.
Negli ultimi anni, abbiamo sentito parlare sempre più di deforestazione, che causa la distruzione di peculiari ecosistemi in varie parti del mondo: questo ha comportato un acuirsi dell’effetto serra e del riscaldamento globale. Infatti, secondo una stima del World Resources Institute (WRI), gli ecosistemi distrutti nell’ultimo biennio hanno rilasciato nell’atmosfera più di 2,7 miliardi di tonnellate di CO2. Parliamo di un’emissione paragonabile a quella dell’India in un intero anno. Considerando che l’India è uno dei Paesi più popolosi del mondo e uno tra i più inquinanti nella classifica per emissione di gas serra, intuiamo subito quanto questo fenomeno abbia provocato la perdita di ettari di verde.
Ancora, nel 2022 i monitoraggi satellitari da parte del WRI sono stati allarmanti. Abbiamo perso un’area di circa 4,1 milioni di ettari di foresta pluviale tropicale, il che significa aver perso un polmone verde a livello mondiale delle dimensioni della Svizzera o dei Paesi Bassi.
Alcuni importanti impegni per ridurre la deforestazione sono stati presi già a partire dalla Conferenza delle Nazioni unite nel 2021, a Glasgow, da parte di ben 141 Paesi con l’intento di invertire la rotta entro il 2030. Tuttavia, nonostante i numerosi sforzi, la dirittura d’arrivo, ad oggi, sembra parecchio lontana.
Il caso del Brasile e la foresta amazzonica
Il Brasile è la nazione con la foresta pluviale più grande al mondo: detiene circa il 60% della foresta amazzonica, vitale per contenere gli effetti del cambiamento climatico e conservare numerose specie animali e vegetali.
È da sempre uno degli Stati che fa più discutere sul tema della deforestazione, soprattutto durante le Conferenze delle Parti, tra cui l’ultima conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici - la COP28 a Dubai - dove i leader mondiali hanno discusso nuovamente l’urgenza di invertire la rotta sul problema della deforestazione entro il 2030, questa volta con interventi di rilievo. Insieme agli altri Paesi interessati dalla superficie estesa della foresta amazzonica, quali Colombia, Venezuela, Guyana, Guyana Francese, Suriname, Bolivia e Perù – il Brasile ha ben chiaro l’obiettivo e sembra crederci fortemente.
Già a novembre 2023, la Banca Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (BNDES) del Brasile aveva approvato lo stanziamento di 65 milioni di dollari dal Fondo Amazzonia per un progetto volto alla salvaguardia della foresta pluviale contro le attività illegali. Durante la COP28, la stessa banca ha poi stretto un accordo di cooperazione con la compagnia elettrica nazionale Eletrobras, siglando una partnership per l’investimento di circa 1,9 milioni di euro in progetti volti alla decarbonizzazione in Amazzonia e ponendo l’attenzione sulla volontà del Brasile di rimettersi seriamente in gioco in vista della prossima COP30 nel 2030 a Belem, nello Stato brasiliano del Para, porta d'ingresso della foresta amazzonica.
“Il pianeta è stufo degli accordi sul clima infranti e di obiettivi trascurati, di discorsi eloquenti e vuoti. Abbiamo bisogno di atteggiamenti concreti”. – ha affermato il Presidente e leader brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva in uno dei suoi discorsi durante la COP28. Lula dovrà monitorare i progressi che il Brasile sta ottenendo sul campo ambientale, compresa la deforestazione dell’Amazzonia.
Peraltro, l’evento COP28 era stato preceduto dalla notizia della volontà del governo brasiliano di istituire un Fondo per la Conservazione delle Foreste; uno sforzo, sembrerebbe, per innescare un meccanismo di risarcimento dei danni provocati nel Sud del mondo dai Paesi più ricchi e che più sono coinvolti in opere distruttive di disboscamento a scopo commerciale.
Ricordiamo, infatti, che tra le principali cause della deforestazione ci sono in primis le attività intensive di allevamento di bestiame, che nella maggior parte dei casi avvengono in maniera illegale nell’Amazzonia brasiliana. Inoltre, altre attività di sfruttamento del suolo a uso agricolo, come la produzione di legno, soia e olio di palma, sono avviate per lo più da aziende multinazionali che da sempre operano in maniera poco trasparente, incombendo sulle popolazioni locali e indigene brasiliane.
In conclusione
Che il tema sia stato nuovamente discusso a livello internazionale è senza dubbio un segnale positivo. Tuttavia, il Brasile ha fatto promesse ambiziose sulla deforestazione e meno sul tema dell’utilizzo dei combustibili fossili, un’altra piaga del Paese. Ma l’impegno e la fiducia si dimostrano a poco a poco: non possiamo dire che l’ultima conferenza mondiale sul clima non si sia chiusa quanto meno con qualche buon proposito a favore del pianeta.
La deforestazione è una piaga sociale e ambientale ancora da discutere e su cui lavorare. Bisogna farlo per il nostro pianeta, sì, ma anche per i risvolti sociali negativi derivanti da questa pratica. La speranza per il futuro è che il mondo possa accogliere con dignità tutti i suoi abitanti nel rispetto dei loro habitat e anche di tutti quegli ettari di foreste che costituiscono la fonte vitale per la sopravvivenza di tutti gli abitanti, compresi i più privilegiati.
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L'Autore
Beatrice Basone
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